Clientelismo

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clientelismo

Il clientelismo è un fenomeno degenerativo della vita politica e sociale che ha origini antichissime che risalgono all'Antica Roma e consiste, in ambito politico, nell'uso di risorse e istituzioni pubbliche per creare un rapporto di dipendenza tra sé e una parte della popolazione, soddisfacendone i bisogni materiali con l'unica finalità di mantenere o accrescere il proprio potere politico.

Origine del termine: i clientes romani

Istituzionalizzato nell'Antica Roma, il clientelismo deve il suo nome ai clientes (dal verbo latino clùere, obbedire), cittadini romani in status libertatis, cioè formalmente liberi, che si trovavano tuttavia in condizioni economiche disagiate, o perché schiavi affrancati o perché stranieri immigrati, e che quindi si mettevano a disposizione di un patronus che offriva loro aiuto e protezione in campo economico e giuridico in cambio di fedeltà assoluta. I clientes difendevano il patronus con le armi, testimoniavano in suo favore nei tribunali, arrivando anche a sostenerli sul piano finanziario qualora le circostanze lo avessero richiesto. Con l’avvento della Repubblica, gli obblighi dei clientes nei confronti del patronus si estesero anche all’ambito elettorale, con l'obbedienza alle indicazioni fornite dal patronus, o dando il proprio voto a lui o al candidato da lui prescelto.

I rapporti clientelari erano quindi un fenomeno tipico di una società tradizionale come quella romana, nella quale continuava a prevalere un'economia naturale chiusa, volta alla produzione per il consumo diretto anziché per lo scambio commerciale. In una società siffatta, l'organizzazione politica era riconducibile in primis alla comunità domestica, che oltre dunque ad essere la struttura economica fondamentale che si occupava di coltivare la terra era anche a sua volta un microcosmo politico governato dal pater familias, e solo in secondo luogo a una comunità politica statale, che nei fatti era una federazione di più comunità domestiche (res publica). Il limite di una società politica organizzata in questo modo era ed è che la tutela dei diritti fondamentali ricade inevitabilmente sulle strutture familiari e non su quelle statali, originando così il fenomeno della dipendenza tra i ricchi signori dell'aristocrazia romana e gli indigenti che non avevano altra soluzione che mettersi al totale servizio dei primi[1].

L'evoluzione del fenomeno nei secoli

Se lo studio dei rapporti clientelari è stato sin da subito oggetto d'indagine da parte degli antropologi, che li hanno studiati soprattutto a livello di piccole comunità rurali, l'analisi sotto il profilo politico e sociale iniziò a partire dagli anni '70 del Novecento, e sul fronte accademico italiano vide tra i principali contributi quello di Luigi Graziano.

Come ricordava lo studioso in uno dei suoi vari contributi, definire il clientelismo come fenomeno sociale e politico è complicato poiché esso si è manifestato in fasi molto diverse dello sviluppo delle società e, per giunta, con modalità altrettanto differenziate[2].

Questa complessità reale del fenomeno trova riflesso nella diversità di accezioni con cui il termine è stato usato in sede accademica. Alex Weingrod rilevò nel 1968 che antropologi e politologi impiegavano lo stesso termine ma riferendosi a cose molto diverse. Mentre per i primi clientelismo denotava un tipo di rapporto interpersonale, i politologi lo definivano come un modo di esercizio del potere da parte del partito politico. Più precisamente, nell'accezione degli antropologi lo:

«studio del clientelismo è l'analisi di come persone d'ineguale potere, e tuttavia legate da vincoli d'interessi e d'amicizia, organizzano i loro rapporti per conseguire i loro fini" In scienza politica, invece, lo studio del clientelismo è tipicamente lo "studio dei modi in cui leaders di partito cercano di utilizzare le istituzioni e le risorse pubbliche ai propri fini, e di come favori di vario genere sono scambiati contro voti"»[3]

Le due definizioni divergono banalmente perché antropologi e politologi indagano il fenomeno in fasi diverse dello sviluppo della società e a livelli diversi dei sistemi sociale e politico. Gli antropologi sono tipicamente (anche se non esclusivamente) interessati a studiare i rapporti clientelari nell'ambito di piccole comunità "primitive", mentre i politologi li studiano piuttosto in quanto caratteristica di sistemi politici in via di modernizzazione. Gli uni e gli altri analizzano del fenomeno manifestazioni che si situano in punti diversi di un'ipotetica scala di modernizzazione. Come ha sostenuto Luis Roniger, studiare il sistema clientelare significa affrontare una molteplicità di tematiche di grande rilevanza:

«Il clientelismo ed i rapporti patrono-cliente sono strettamente legati con molte aree di ricerca delle scienze sociali quali ad esempio la stratificazione e i mercati sociali, la parentela, lo scambio, l’organizzazione e la partecipazione politica, le strutture della fiducia nella società, gli orientamenti culturali, la società rurale e le relazioni centro-periferia»[4].

Nello specifico, come ricordano Fantozzi e Raniolo[5], la differenza tra clientela e clientelismo è che la prima è una relazione sociale presente in tutte le società antiche e moderne anche se in forme diverse, il clientelismo si ha quando questa relazione si diffonde ed influenza in modo significativo il sistema sociale, economico e politico-istituzionale di una specifica realtà territoriale e in un tempo storico ben definito. Già nel 1973 il Segretario Regionale della Sicilia del Partito Comunista Italiano, Emanuele Macaluso, spiegava:

«Clientelismo è una parola ormai vecchia e che bisognerà al più presto sostituire. Evoca infatti la lettera di raccomandazione del notabile, che ancora è pratica esistente e frequente in Sicilia, ma sempre meno. Da almeno quindici anni il clientelismo è andato mutando il suo volto, e da verticale che era, discendeva cioè dal notabile al postulante, è diventato orizzontale, investe ora intere categorie, blocchi d'interessi, gruppi di impiegati, dipendenti di uffici pubblici o aziende regionali. E' un clientelismo di massa, organizzato, efficiente, fatto di leggi, leggine, provvidenze straordinarie, provvedimenti di emergenza, contributi e concessioni non più dirette al singolo ma ai molti del ceto favorito. Per mettere in funzione questa possente macchina, la Democrazia Cristiana ha dovuto procedere nel tempo alla collocazione di uomini di partito in ogni livello del potere, in ogni posto chiave, in ogni ganglio minimamente vitale. Il clientelismo è oggi un rapporto di massa con il potere pubblico»[6].

Nonostante la modernizzazione dell'economia abbia avuto un impatto considerevole inizialmente sulla rete dei legami clientelari, ponendo fine formalmente ai rapporti di dipendenza personale, questi tuttavia sono riusciti a sopravvivere, adattandosi alla nuova realtà che prevedeva un'amministrazione centrale dello Stato e nuove strutture politiche (il Parlamento, i partiti politici) e nuovi processi elettorali dovuti al progressivo allargamento del suffragio.

Il clientelismo del partito dei notabili

vignetta clientelismo politico
Una vignetta sul clientelismo politico

Salvo l'eccezione del potere mafioso, che sopravvisse come micro-cosmo autonomo alternativo al sistema politico statuale, i nuovi clientes della modernizzazione economica tendevano a porsi in posizione subalterna al sistema politico, come nel caso classico del "partito dei notabili", intesi come proprietari fondiari cui faceva capo, come nel caso del patronus romano, una rete di rapporti clientelari che però si era trasformata in strutture di accesso e contatto col sistema politico[7].

Soprattutto in epoca di suffragio ristretto (ma in parte anche universale), il notabile, cui di diritto o di fatto era riservato un rapporto privilegiato col potere politico, aveva la funzione di raccordo tra questo e la società civile, all'interno della quale continuava a proteggere e aiutare i propri clientes in cambio di appoggio elettorale.

Il clientelismo dei partiti di massa durante la Guerra Fredda

Il "partito dei notabili", tipico delle società in via di sviluppo, non esaurisce però la gamma delle possibili manifestazioni del clientelismo. Con l'affermazione dei grandi partiti di massa nel Secondo Dopoguerra, pur se in linea teorica il loro approccio con la società civile era nettamente opposto a quello clientelare, fondandosi su vincoli orizzontali di classe o di interessi cui si dava rappresentanza politica, si affermò una nuova forma di clientelismo, tipica della c.d. "Prima Repubblica". Al posto dei notabili vi erano i politici di professione, i quali offrivano in cambio di legittimazione e sostegno elettorale ogni forma di pubblica risorsa che potevano manovrare (cariche e impieghi pubblici, finanziamenti, licenze, e così via).

In maniera molto simile al clientelismo tradizionale, quello dei partiti di massa aveva come esito politico non un consenso istituzionalizzato, bensì una rete di fedeltà personali fondata sia su un uso personale da parte del politico di professione delle risorse dello Stato, sia, a partire da queste ultime, sull'appropriazione di autonome risorse "civili"[8].

Durante la Guerra Fredda, i partiti borghesi europei "a vocazione maggioritaria" come la Democrazia Cristiana accompagnavano l'uso di risorse simboliche (dall'anticomunismo al nazionalismo, fino al qualunquismo) all'impiego di risorse assai più materiali per provare a intercettare quanti più consensi tra la c.d. "classe media", in un'ottica di scambio marcatamente clientelare. In questo senso, il foraggiamento della clientela del politico di turno, così come anche le più svariate forme di corruzione politica o di collusione con l'organizzazione mafiosa, venivano politicamente sostenute e legittimate in quanto "male minore" rispetto a un'ipotetico avvento al potere dei comunisti.

La "macchina politica" USA come modello clientelare dopo la fine della Guerra Fredda

clientelism usa

Come detto, il ruolo politico dei notabili era una conseguenza della loro eminente posizione sociale. La "massificazione" della politica, in particolare l'estensione del suffragio, fece sorgere politici professionisti che vivevano interamente "di" politica. Negli Stati Uniti d'America, ma non solo, molti di questi vivevano di politica secondo la tipica vocazione capitalistica dell'imprenditore[9]. Il centro decisionale smise di essere localizzato nel Parlamento nazionale, spostandosi nella società civile, dove il leader costruiva il suo potere organizzando una nuova risorsa di massa: il voto[10]. I voti non venivano conquistati sulla base della "deferenza", né attraverso la mobilitazione ideologica, che il leader politico aborriva, ma venivano "comprati" distribuendo incarichi e altri vantaggi materiali. Benché il partito si andasse via via burocratizzando, diventando un'organizzazione complessa, il suo coordinamento a livello nazionale diventava difficile per via dell'autonomia con cui i "boss" locali gestivano le proprie clientele[11]

Questo nuovo boss era un imprenditore "capitalista" in un duplice senso: da un lato, la razionalità della sua azione politica è quella propria dell'accumulazione capitalista; dall'altro, il boss per la sua "giudiziosa discrezione" nel maneggiare i finanziamenti ricevuti, "è l'uomo naturale di quei circoli capitalisti che finanziano le elezioni"[12].

Egli concepiva la lotta politica in termini prossimi allo scambio economico: non difendeva principi ma comprava voti. Per operare con profitto, aveva bisogno di una totale "mercificazione della politica". Il boss è a capo di un partito che non è anti-ideologico, dato che il pragmatismo è un'ideologia che implica l'accettazione e la difesa dello status quo, ma è elettoralistico: tutta la sua attività è concentrata su quelle elezioni che sono determinanti per l'assegnazione degli uffici.

Negli Stati Uniti la mobilitazione dei due grandi partiti ancora oggi avviene in occasione delle elezioni presidenziali, che in misura minore rispetto al passato garantiscono centinaia di migliaia di posti di lavoro statali da distribuire a propria discrezione, e in quelle municipali. I limiti della "macchina politica" sono di due tipi: economici e funzionali.

Da un lato il metodo particolaristico d'incentivazione comporta una corruzione e uno spreco di denaro pubblico che Max Weber giudicava "insostenibili", giudizio confermato per altro da successive ricerche sul campo[13], nonché da numerosi scandali di corruzione. La "macchina politica" genera, infatti, un processo d'inflazione della domanda che, tollerabile in una economia in forte espansione, diventa insostenibile in altre circostanze. Questo è uno dei fattori che ne spiega il fallimento nei paesi di nuova indipendenza [14].

Il secondo fattore è ancora più importante. La "macchina politica" comporta un uso patrimoniale (personale, discriminatorio, dilettantistico) dell'ufficio che viola due principi fondamentali della burocrazia statale: la netta separazione fra "sfera privata" e "sfera pubblica", e la regolamentazione astratta e generale delle pratiche e delle materie disciplinate (che non possono essere trattate "caso per caso" a seconda delle simpatie).

Il modello del partito elettoralistico all'americana è andato via via sostituendosi ai partiti di massa ideologici dopo la fine della Guerra Fredda, diventando molto comune anche in Europa.

Clientelismo e familismo amorale

clientelismo
Una vignetta sul clientelismo

La differenza fondamentale tra il clientelismo delle società tradizionali come quella romana antica sta quindi sicuramente nel fatto che il patronus manteneva i clientes coi propri soldi, mentre nelle società capitalistiche contemporanee il politico mantiene la propria clientela con le risorse dello Stato, ai danni dell'intera collettività.

Molto spesso, inoltre, l'intreccio perverso tra clientelismo e familismo amorale ha fatto sì che molto spesso la clientela si identifichi in tutto o in parte con la famiglia (spesso allargata) della persona che detiene il potere, si tratti di un politico o di una qualsiasi altra persona che abbia un incarico pubblico da cui possa esercitare un effettivo potere, come ad esempio il rettore di un’università.

Gli effetti di questo cocktail micidiale sono devastanti: la supremazia del rapporto con il potente svuota la democrazia, mortifica i giovani talenti (che infatti fuggono all’estero) e trasforma i cittadini in sudditi. In un sistema dominato da un sistema clientelare imperniato sul familismo amorale ciò che conta davvero non sono più le capacità personali, la professionalità, il merito, la passione, bensì la conoscenza diretta con il patronus, che garantisce ottimi posti di lavoro in tempi in cui il lavoro, se c’è, è solo precario, oppure permette di avere privilegiati accessi al credito per avviare un’attività e così via. Da qui nasce il legame di gratitudine e di riconoscenza su cui si innesta il clientelismo. E da qui derivano tutta una serie di comportamenti che degradano il tessuto etico-morale di una società, a partire dalla cooptazione collusiva per fedeltà[15].

Gli effetti più negativi a livello sociale si manifestano quando la percezione della diffusione di comportamenti clientelari diventa talmente forte che buona parte dei cittadini si convince della necessità di coltivare pratiche clientelari per non essere scavalcata da coloro che le attuano; sono portati dunque, come nel sistema mafioso, a vedersi i propri diritti garantiti sotto forma di "favori". Anche per questo il clientelismo è considerato uno degli elementi costitutivi della c.d. tassa mafiosa.

Le pratiche clientelari non comportano necessariamente la violazione di norme di legge o di regolamenti, ma comportano sempre la violazione dei principi di equità e giustizia e di norme etiche. Configurano quindi la questione morale, diversa da quella giudiziaria, e ha a che fare con la responsabilità politica dei comportamenti assunti. Ciò che è politicamente rilevante può non esserlo sotto il profilo penale: la confusione tra le due questioni è alla base delle degenerazioni nella vita pubblica e nella vita stessa dei partiti.

Note

  1. Alfio Mastropaolo, "Clientelismo", in Bobbio, Norberto; Pasquino, Gianfranco; Matteucci, Nicola (1983). Dizionario di politica, Torino, Utet, pp. 166-168.
  2. Graziano, Luigi (1980). Clientelismo e sistema politico. Il caso dell'Italia, Milano, Franco Angeli, p. 16.
  3. Alex Weingrod, "Patrons, Patronage and Politicai Parties", in Comparative Studies in Society and History, luglio 1968, p. 379 (saggio riportato nell'antologia Clientelismo e sviluppo politico, a cura di Luigi Graziano, Milano, Franco Angeli, 1974).
  4. Roniger, Luis (1981). "Clientelism and Patron-Client Relations: A Bibliography", in Eisenstadt Shmuel Noah, Lemarchand René (a cura di), Political Clientelism, Patronage and Development, Beverly Hills - London, Sage, p. 285.
  5. Fantozzi, Pietro; Raniolo, Francesco (2018). «Clientelismo, privatizzazione del pubblico e governo di partito», in Clientelismo e privatizzazione del pubblico, Quaderni di Sociologia, n. 78, pp. 11-39.
  6. G. Saladino, Guardando dentro la De siciliana. L'accalappia voti - Intervista a Emanuele Macaluso, L'Ora di Palermo, 23 luglio 1973, citato da Graziano, op.cit., p. 15.
  7. Alfio Mastropaolo, op.cit.
  8. Mastropaolo, op.cit.
  9. Si veda Max Weber, Economia e società, cit., vol. II, p. 254.
  10. Per approfondire, si veda al riguardo Giovanni Sartori (1976). Parties and Party Systems, New York, Knopf.
  11. Graziano, (1980). op.cit., pp. 42-43.
  12. Max Weber, "Politics as a Vocation", cit., p. 109.
  13. Graziano, (1980). op.cit., p. 46.
  14. Cfr. Scott, "Corruzione, machine politics e mutamento politico", in Clientelismo e mutamento politico, cit. A.J. Heidenheimer (1970). Political Corruption, Holt, New York, Rinehart & Winston.
  15. Farina, Pierpaolo (2012). La tassa mafiosa. A proposito di mafia e corruzione, Tesi di Laurea, Milano, Università degli Studi di Milano, p. 10.

Bibliografia

  • Bobbio, Norberto; Pasquino, Gianfranco; Matteucci, Nicola (1983). Dizionario di politica, Torino, Utet.
  • Fantozzi, Pietro; Raniolo, Francesco (2018). «Clientelismo, privatizzazione del pubblico e governo di partito», in Clientelismo e privatizzazione del pubblico, Quaderni di Sociologia, n. 78, pp. 11-39.
  • Farina, Pierpaolo (2012). La tassa mafiosa. A proposito di mafia e corruzione, Tesi di Laurea, Milano, Università degli Studi di Milano.
  • Graziano, Luigi (a cura di) (1974). Clientelismo e mutamento politico, Milano, Franco Angeli.
  • Graziano, Luigi (1980). Clientelismo e sistema politico. Il caso dell'Italia, Milano, Franco Angeli.
  • Pizzorno, Alessandro (1974). "I ceti medi nei meccanismi del consenso", in Il caso Italiano, a cura di Fabio Luca Cavazza e Stephen Richards Graubard, Milano, Garzanti, 2 voll.
  • Roniger, Luis (1981). "Clientelism and Patron-Client Relations: A Bibliography", in Eisenstadt Shmuel Noah, Lemarchand René (a cura di), Political Clientelism, Patronage and Development, Beverly Hills - London, Sage, pp. 274-295.

Voci correlate