Familismo amorale

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Il familismo amorale (amoral familism) è un concetto sociologico introdotto dal sociologo e politologo statunitense Edward Christie Banfield nel 1958 col libro "Le basi morali di una società arretrata"[1].

Utilizzata dal sociologo americano per descrivere la realtà di un piccolo paesino della Lucania (Chiaromonte, in provincia di Potenza, indicato nel libro come "Montegrano"), l’espressione sarebbe diventata ben presto rappresentativa dell’arretratezza sociale ed economica del Mezzogiorno, tanto da entrare persino nei dibattiti della politica nazionale sulla Questione Meridionale.

Il familismo amorale, secondo Banfield

Edward Banfield
Banfield nel 1945, foto di John Collier

Nell’originario significato inteso da Banfield, il familismo amorale si fonderebbe su una legge non scritta che porterebbe gli individui a «massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo». Insomma, l’arretratezza sociale ed economica del Mezzogiorno avrebbe origine proprio da questa peculiare declinazione in senso familiare dell’egoismo individualista, che rende assai difficile che uomini e donne si associno stabilmente per lavorare per il bene comune.

Le basi morali di una società arretrata

Moral Basis of a Backward Society
Il libro "The Moral Basis of a Backward Society"

Il libro di Banfield inizia con due citazioni: una del filosofo britannico Thomas Hobbes che descrive le difficili condizioni dell'Inghilterra durante il XVI e il XVII secolo, l'altra del filosofo e politico francese Alexis de Tocqueville, che definisce la scienza dello studio dell'associazionismo come la madre di tutte le scienze sociali. Il contenuto del saggio è ben spiegato da questa premessa: il Mezzogiorno italiano si trovava in una condizione disastrosa perché le modalità con cui i suoi cittadini si potevano associare liberamente erano sconosciute e perché la popolazione non era in grado di formulare strategie collettive per reagire alla povertà estrema. Le conclusioni dello studio vengono riportate chiaramente già nell'introduzione: le cause dell'arretratezza andavano ricercate nella mancanza di azioni collettive per raggiungere obiettivi di lungo termine; questa mancanza endemica è spiegata dalla presenza di una visione amorale della famiglia, il cosiddetto familismo amorale.

L'ethos amorale, secondo Banfield, era generato da tre circostanze: la prima era socio-economica, ed era la presenza di un alto tasso di mortalità; la seconda era storica, e si trattava di una certa evoluzione storica della distribuzione delle terre; infine la terza era puramente culturale e riguardava l'assenza dell'istituzione della famiglia allargata. Questa circostanza finale veniva considerata la più importante e perciò veniva analizzata diffusamente nel libro.

Le ragioni culturali dell'arretratezza per Banfield

Banfield discusse approfonditamente la mancanza di vita associativa fornendo alcuni dati essenziali. Come ricorda Emanuele Ferragina[2], tutti gli indicatori usati dal sociologo americano vennero ripresi dal politologo Robert Putnam ben 35 anni dopo, per la sua famosa misurazione del capitale sociale nelle regioni italiane.

I dati empirici forniti per testimoniare la mancanza di fiducia e azioni collettive includono l'assenza di quotidiani locali e attività caritatevoli, l'esistenza di un solo circolo, il forte controllo dell'amministrazione centrale di Potenza, le condizioni pessime della scuola e l'instabilità del voto alle elezioni politiche. Tutti questi indicatori, secondo Banfield, costituivano segnali dell'incapacità degli abitanti di Montegrano di intraprendere azioni collettive.

Banfield passò in rassegna tutte le teorie più importanti per spiegare il sottosviluppo: povertà, ignoranza, comportamento apolitico, spirito conservatore dei latifondisti, inefficienza delle istituzioni, attitudine fatalistica degli abitanti; tuttavia nessuna di queste era capace di spiegare la situazione di Montegrano[3]. La povertà estrema non poteva giustificare l'assenza totale di senso civico da parte della popolazione; qualcosa di insito nella cultura preveniva la gente dall'agire collettivamente per migliorare il benessere della comunità. Banfield non offrì argomenti aggiuntivi rispetto al possibile impatto della povertà e non investigò altre cause socio-economiche per spiegare questa arretratezza[4].

Secondo lui, la popolazione non agiva razionalmente senza un tornaconto personale. Un chiaro esempio di questa situazione era fornito dalla regola auto-imposta dagli abitanti di ridurre il numero di figli per poter garantire loro un futuro migliore. Questo avrebbe dovuto dimostrare chiaramente che la popolazione era pessimista solo riguardo le azioni collettive e non rispetto a quelle individuali[5].

Secondo Banfield, la miseria non poteva essere considerata un problema prettamente economico, ma aveva una sua componente culturale. Prova ne erano quelle società primitive con un livello materiale di benessere persino inferiore, ma che non erano "cronicamente infelici"[6]. La paura di perdere il proprio status sociale sarebbe stata un'altra concreta dimostrazione dell'ethos familistico amorale. Anche quando le persone erano in fondo alla scala sociale, infatti, queste avevano paura di perdere il loro status. Questo modo di concepire la relazione col resto della società era, secondo Banfield, più rilevante delle variabili socio-economiche per spiegare l'assenza di un comportamento corretto[7]. Il rischio di retrocedere era sempre presente, mentre la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita nella società sarebbe potuto avvenire solo con la generazion esuccessiva. Ecco perché le famiglie erano portate a ridurre il numero dei figli e a investire tutto su uno solo di questi[8].

L'approccio positivistico di Banfield

Nel capitolo intitolato "Un'ipotesi predittiva", Banfield assunse un approccio positivistico, definendo la teoria del familismo amorale e tutte le conseguenze che da essa sarebbero dovute derivare. Alla chiarezza della formulazione teorica, tuttavia, faceva da contro altare, come nota Ferragina[9], la mancanza di evidenza empirica per supportare un'ipotesi cosi forte.

Secondo Banfield, tutti gli individui avrebbero cercato di massimizzare il vantaggio materiale di breve periodo della famiglia ristretta, sulla base della convinzione che tutti gli altri avrebbero fatto lo stesso. Questo assunto era alla base dell'impossibilità di un'azione collettiva, perché condizionava tutte le altre relazioni sociali e, quindi, impediva un reale cambiamento dello status quo. La principale conseguenza di questo comportamento era che la gente si sarebbe interessata alla cosa pubblica solo ed esclusivamente in funzione del proprio vantaggio personale[10].

Le persone che mostravano interesse per gli affari pubblici erano solo i burocrati e gli impiegati dello Stato, una visione comune in tutto il paese. Se un privato cittadino avesse preso parte alla vita pubblica, sarebbe stato subito accusato di perseguire i propri interessi dal resto della popolazione[11]. Ne conseguiva che i cittadini non potevano controllare gli impiegati pubblici, che dovevano essere redarguiti solamente dai loro superiori, diminuendo di fatto il controllo civico della pubblica amministrazione, nella quale i suoi impiegati, animati anch'essi da familismo amorale, avrebbero usato la loro posizione solo per trarre vantaggi personali, anziché per migliorare la condizione dell'intera comunità[12]. Anche per questo, i rappresentanti dello Stato sarebbero stati sempre accusati di ricevere tangenti e di comportarsi in maniera contraria ai doveri di ufficio, anche in assenza di prove[13].

Questi problemi non esistevano, secondo Banfield, solamente tra gli impiegati pubblici. In una società dominata dal familismo amorale, non ci sarebbe spazio per la cooperazione, per la fiducia o per le azioni collettive in nessuna situazione. Il contesto generale di non cooperazione renderà le leggi inutili, non essendovi la certezza di una sanzione commisurata al comportamento deviante[14]. L'effetto di questo diffuso stato di sfiducia generalizzata verso il prossimo rendeva i soggetti più deboli di quella società ad essere conservatori, dato che un cambiamento dello status quo avrebbe potuto significare per loro solamente un peggioramento della loro situazione[15]. Anche qualora un leader si fosse dimostrato capace, sarebbe stato giudicato con sfiducia[16], quindi l'unica figura politica che poteva imporsi era quella del notabile che fondava il suo potere sulla costruzione di una clientela, caratterizzata dal fatto che i clientes avrebbero seguito il loro patronus solo finché questi avrebbe permesso la massimizzazione del proprio interesse personale[17].

Ne conseguiva, quindi, che anche il voto, il rispetto della legge e la visione politica di ciascun abitante di Montegrano erano guidati da logiche improntate al familismo amorale. L'assenza di una coscienza di classe, per altro già esaminata abbondantemente nelle società rurali da Antonio Gramsci trattando la questione meridionale, veniva spiegata con la prevalenza del principio di massimizzazione dell'interesse personale nel breve periodo[18]. Da qui ne derivava l'instabilità politica e l'assenza di una "macchina politica" su base partitica[19], dovuta essenzialmente a tre ragioni:

  1. la segretezza del voto non consentiva un accordo sicuro;
  2. non c'erano abbastanza benefici di breve periodo per giustificare l'investimento in una macchina elettorale;
  3. non era economicamente sostenibile un'organizzazione di questo tipo in un contesto cosi povero.

Tuttavia, Banfield ometteva di notare che l'assenza di una vera e propria macchina elettorale e l'instabilità del voto non corrispondevano alla situazione generale del Mezzogiorno, dato che la Democrazia Cristiana era stata abbondantemente il primo partito per oltre un decennio, tra il 1948 e il 1958, e avrebbe governato per tutta la c.d. Prima Repubblica, formando ogni volta alleanze a geometria variabile con le altre forze politiche minori, sempre in funzione anti-comunista, con l'unica eccezione della parentesi del compromesso storico e dei governi di solidarietà nazionale.

L'ethos di Montegrano

Montegrano Chiaromonte
La "Montegrano" di Banfield oggi (Chiaromonte, in Basilicata)

Dopo aver discusso la teoria del familismo amorale, Banfield descrisse in modo conciso l'ethos degli abitanti di Montegrano e come questo fosse improntato a logiche che riducevano la possibilità di generare azioni collettive. Secondo Banfield, erano tre le caratteristiche di questo ethos familista e amorale:

  1. il fatto che il passaggio alla vita adulta coincideva solamente col diventare genitore, ogni altra forma di realizzazione dell'individuo non era contemplata[20];
  2. il pessimismo e il fatalismo, in base al quale nulla poteva essere cambiato. Sotto questo profilo, Banfield notò che la maggior parte delle storie raccolte tra gli abitanti riguardavano calamità naturali e sfortune varie, mentre solo due o tre su un totale di 320 interviste avevano un tono positivo[21]. Come nei Malavoglia di Giovanni Verga, i cittadini di Montegrano erano convinti che il successo nella vita dipendesse solo dalla fortuna e che le possibilità di migliorare il proprio status di vita fossero tutte al di fuori del loro controllo[22].
  3. le relazioni sociali erano tutte in funzione dell'interesse personale, tanto che "amici e vicini costituiscono non soltanto un lusso costoso, ma anche un potenziale pericolo"[23] e pure nei matrimoni, finché non vengono celebrati, da parte delle due famiglie vi è un clima di reciproco sospetto[24]. Inoltre, benché "l'essere paesano" non fosse un legame importante, questi era preferito a quelli che venivano da fuori[25].

La formazione di questo ethos aveva radici storiche, dovute essenzialmente al fatto che la terra da coltivare era sempre stata nelle mani dell'aristocrazia fondiaria, rendendo impossibile la collaborazione tra piccoli proprietari. Poiché "l'uomo è costretto a lottare contro una natura brutale e capricciosa perché la famiglia possa sopravvivere"[26], ne derivava che il capofamiglia per far sopravvivere il proprio nucleo familiare doveva essere disposto a fare tutto ciò che era necessario a vantaggio di esso, anche se talvolta si poteva trattare di cose meschine e ingiuste. Ecco perché ciascuno cercava il rapporto diretto col latifondista, diffidando degli altri piccoli proprietari.

Nella parte finale del libro, Banfield cercò di dimostrare come il suo contributo fosse utile non solo per capire la realtà presente, ma anche per disegnare politiche future[27]. Secondo la sua analisi, il cambiamento a Montegrano poteva venire solo dall'esterno, con una leadership politica che fosse in grado di sdradicare i montegranesi dalla loro cultura familistica amorale. Tra questi agenti di cambiamento, vi annoverava sia la Chiesa cattolica che la borghesia industriale del Nord Italia, che i partiti di sinistra, il PSI e il PCI.

Nonostante vedesse dei margini per il cambiamento, il pessimismo venava le conclusioni del libro, dato che l'ethos avrebbe continuato a perpetuarsi per molto tempo anche una volta rimosse le circostanze storiche che lo avevano originato.

Le critiche al libro di Banfield

Diverse furono le critiche al lavoro di Banfield negli anni successivi da parte di antropologi, sociologi, economisti e politologi[28]. Il comun denominatore tra tutte loro era che il familismo amorale non potesse essere generalizzato a tutto il Mezzogiorno, viste le condizioni specifiche della "sua" Montegrano, che nella sua analisi Banfield non avesse pienamente contezza della realtà sociale e politica delle regioni meridionali italiane, ma soprattutto, dal punto di vista metodologico, le interviste fossero state utilizzate solo per dimostrare i pregiudizi dell'autore sulla realtà meridionale.

Il concetto di familismo amorale, oggi

Nonostante le feroci (e giuste) critiche che nei decenni ha sollevato il lavoro di Banfield, Pierpaolo Farina, nella sua analisi sul rapporto tra mafia e capitalismo nel XXI Secolo[29], ha ripreso il concetto di familismo amorale, inteso come tendenza a considerare prioritari gli interessi della propria famiglia rispetto a quelli della società in cui si vive, per ricomprendere in una determinata classe gli atteggiamenti individuati da Emanuele Ferragina[30], i quali costituiscono, insieme all’omertà, una componente dell’habitus mafioso che è evidentemente presente anche in quello borghese, nella sua versione liquida. D’altronde, come osservò tempo fa Robert Merton, "l’abuso o anche il cattivo uso di un principio non è una ragione sufficiente per impedirne l’uso".

Come ha dimostrato Ferragina, il familista amorale è presente anche, e in misura maggiore, in contesti dominati da un relativo benessere economico, come nel Nord Europa. In via generale la teoria di Banfield viene così confermata: i familisti amorali sono infatti meno propensi degli altri cittadini europei a fare volontariato, a frequentare amici e colleghi, ad avere fiducia negli altri e nelle istituzioni e a discutere di politica con gli amici. Tuttavia, i dati mostrano come i meridionali risultino meno familisti amorali dei settentrionali e dei nord-europei. Risultato che può essere spiegato, nell’analisi di Ferragina, con il fatto che Banfield aveva posto un’eccessiva enfasi sull’effetto negativo dell’elevato interesse per la famiglia nucleare, in un contesto dove «l’atomizzazione degli individui, la mancanza di strutture sociali, l’inefficienza dei servizi pubblici e del mercato era e rimane predominante»: in una società dove l’unica istituzione funzionante è la famiglia, la sua centralità diventa più una necessità che una scelta[31].

Poiché nella società liquida descritta da Zygmunt Bauman dal benessere della famiglia, e dal capitale sociale che esprime, dipende il successo personale dell’individuo, nel momento in cui storicamente è scomparsa la grande fabbrica fordista e si è puntato tutto sul dinamismo di piccole imprese che spesso sono a conduzione familiare, l’investimento sulla famiglia diventa un mezzo fondamentale per l’acquisizione di maggiori utilità economiche, che è il metro di giudizio del successo personale.

Il concetto di familismo amorale in questa accezione che tiene conto della trasformazione della società capitalista occidentale, passata dal fordismo al post-fordismo, viene individuato anche tra le componenti culturali che danno origine alla tassa mafiosa.

Note

  1. Edizione originale: The Moral Basis of a Backward Society, Glencoe, III, New York, The Free Press, 1958
  2. Ferragina, Emanuele (2009). “Le teorie che non muoiono mai sono quelle che confermano le nostre ipotesi di base: cinquant'anni di familismo amorale”, in Meridiana, n. 65/66, p. 270.
  3. Banfield, op.cit., p. 35.
  4. Come fa notare Ferragina, si potrebbe supporre, invece, che le interazioni sociali siano pesantemente condizionate dall'esistenza di una povertà persistente che distrugge progressivamente il tessuto sociale, si veda op.cit., p. 270.
  5. Ivi, pp. 39-40.
  6. Ivi, pp. 64-65.
  7. Ivi, p. 73.
  8. Ivi, p. 76.
  9. Ferragina, op.cit., p. 271.
  10. Banfield, op.cit., p. 85.
  11. Ivi, p. 87.
  12. Ivi, p. 91.
  13. Ivi, p. 92.
  14. Ibidem.
  15. Ivi, p. 96.
  16. Ivi, pp. 99-100.
  17. Ivi, p. 100.
  18. Ibidem.
  19. Ivi, p. 103.
  20. Ivi, p. 120.
  21. Ivi, p. 109.
  22. Ivi, pp. 122-125.
  23. Ivi, p. 131.
  24. Ivi, p. 127.
  25. Ivi, p. 132.
  26. Ivi, p. 137.
  27. Ivi, p. 165 e ss.
  28. Per una breve rassegna, si veda sempre Ferragina (2011), pp. 284-287, ma anche, dello stesso autore, (2009). “Le teorie che non muoiono mai sono quelle che confermano le nostre ipotesi di base: cinquant'anni di familismo amorale”, in Meridiana, n. 65/66, pp. 265-287. Sul punto si veda anche Santoro, Marco (2007). “Dall’ethos all’habitus (ovvero perché a Montegrano c’è sempre qualcosa da fare)”, in Contemporanea, Rivista di storia dell'800 e del '900, n. 4/2007, pp. 695-701, che riprendeva il già citato articolo di Pizzorno (1967). “Familismo amorale e marginalità storica. Ovvero perché non c’è niente da fare a Montegrano”, in Quaderni di sociologia, 3, pp.247-261.
  29. Farina, Pierpaolo (2021). Le Affinità elettiva. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Milano, Tesi di dottorato - Ciclo XXXIII, Università degli Studi di Milano, 13 luglio, p. 76 e ss.
  30. Ferragina (2011). op.cit.
  31. Farina, op.cit., p. 78.

Bibliografia

  • Banfield, Edward Christie (2010). Le basi morali di una società arretrata, Bologna, Il Mulino.
  • Farina, Pierpaolo (2021). Le Affinità elettiva. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Milano, Tesi di dottorato - Ciclo XXXIII, Università degli Studi di Milano, 13 luglio.
  • Ferragina, Emanuele (2009). “Le teorie che non muoiono mai sono quelle che confermano le nostre ipotesi di base: cinquant'anni di familismo amorale”, in Meridiana, n. 65/66, pp. 265-287.
  • Ferragina, Emanuele (2011). “Il fantasma di Banfield: una verifica empirica della teoria del familismo amorale”, in Stato e Mercato, n.92, pp. 283-312.
  • Pizzorno, Alessandro (1967). “Familismo amorale e marginalità storica. Ovvero perché non c’è niente da fare a Montegrano”, in Quaderni di sociologia, 3, pp.247-261.
  • Santoro, Marco (2007). “Dall’ethos all’habitus (ovvero perché a Montegrano c’è sempre qualcosa da fare)”, in Contemporanea, Rivista di storia dell'800 e del '900, n. 4/2007, pp. 695-701.