Salvatore Riina: differenze tra le versioni

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==== [[Prima Guerra di Mafia|La prima guerra di mafia]] ====
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Il 17 gennaio 1963 Salvatore La Barbera sparì improvvisamente a Palermo: la sua Giulietta color ghiaccio fu ritrovata sei giorni dopo nelle campagne della provincia di Agrigento, con le chiavi nel cruscotto, le portiere aperte e la carrozzeria senza un graffio. Si trattava di lupara bianca. Fu questo il primo atto di quella che passò alla storia come "'''[[Prima Guerra di Mafia|La prima guerra di mafia]]'''". Anni dopo si seppe che a mettere l'una contro l'altra le famiglie palermitane era stato [[Michele Cavataio]]. I Corleonesi di Totò Riina restarono prudentemente fuori dallo scontro, ma alla fine anche il futuro Capo dei Capi fu tra gli 855 sospetti mafiosi arrestati nelle quattro province della Sicilia occidentale, in risposta alla [[Strage di Ciaculli]].
Nel febbraio [[1962]] i fratelli La Barbera e i Greco erano membri di un consorzio che finanziò la spedizione di un carico di eroina dall'Egitto diretta sulla costa meridionale della Sicilia; a sovrintendere le operazioni di carico della merce sul transatlantico ''Saturnia'' diretto a New York fu inviato [[Calcedonio Di Pisa]]. I boss americani che ricevettero la droga oltreoceano si accorsero che il quantitativo di eroina era inferiore a quello pattuito. Il cameriere a cui Di Pisa aveva consegnato l'eroina fu torturato ma non parlò; quindi i La Barbera cominciarono a sospettare dello stesso Di Pisa, ma la Commissione, chiamata a decidere sul caso, lo assolsero da ogni accusa, nonostante le rimostranze del capo di Palermo Centro.
 
Il primo atto della "'''[[Prima Guerra di Mafia|La prima guerra di mafia]]'''" andò in scena il [[26 dicembre]] 1962: Calcedonio Di Pisa fu ammazzato in piazza Principe di Camporeale, a Palermo, da due killer che gli spararono addosso con una Trentotto e una doppietta a canne mozze<ref>Dickie (2009), p.328</ref>. Poco dopo furono attaccati altri membri della Famiglia di Di Pisa. La reazione non si fece attendere: il [[17 gennaio]] [[1963]] Salvatore La Barbera sparì improvvisamente a Palermo: la sua Giulietta color ghiaccio fu ritrovata sei giorni dopo nelle campagne della provincia di Agrigento, con le chiavi nel cruscotto, le portiere aperte e la carrozzeria senza un graffio. Si trattava di lupara bianca. Da lì fu un'escalation di omicidi. Anni dopo si seppe che a mettere l'una contro l'altra le famiglie palermitane era stato [[Michele Cavataio]]. I Corleonesi di Totò Riina restarono prudentemente fuori dallo scontro, ma alla fine anche il futuro Capo dei Capi fu tra gli 855 sospetti mafiosi arrestati nelle quattro province della Sicilia occidentale, in risposta alla [[Strage di Ciaculli]].


Il [[15 dicembre]] [[1963]] fu arrestato per un caso fortuito dai poliziotti del commissariato di pubblica sicurezza di Corleone, terza pattuglia di servizio esterno, alle 21:15, lungo la statale Palermo-Agrigento, in località San Michele Arcangelo. Le forze dell'ordine avevano ricevuto una soffiata, ma si aspettavano di cogliere di sorpresa una banda di rapinatori, non certo un sicario ricercato per cinque omicidi "''consumati dal settembre del 1958 al luglio del 1962 in concorso con Bernardo Provenzano, Calogero Bagarella e altri ignoti...''". Benché si fosse dichiarato all'arresto come Giovanni Grande, contadino di San Giuseppe Jato, come da carta di identità falsa, Riina fu riconosciuto al commissariato di Corleone dal brigadiere [[Biagio Melita]], nell'ufficio del commissario [[Angelo Mangano]]. Il giorno successivo fu interrogato per sei ore di fila dal commissario e poi fu rinchiuso all'Ucciardone di Palermo.
Il [[15 dicembre]] [[1963]] fu arrestato per un caso fortuito dai poliziotti del commissariato di pubblica sicurezza di Corleone, terza pattuglia di servizio esterno, alle 21:15, lungo la statale Palermo-Agrigento, in località San Michele Arcangelo. Le forze dell'ordine avevano ricevuto una soffiata, ma si aspettavano di cogliere di sorpresa una banda di rapinatori, non certo un sicario ricercato per cinque omicidi "''consumati dal settembre del 1958 al luglio del 1962 in concorso con Bernardo Provenzano, Calogero Bagarella e altri ignoti...''". Benché si fosse dichiarato all'arresto come Giovanni Grande, contadino di San Giuseppe Jato, come da carta di identità falsa, Riina fu riconosciuto al commissariato di Corleone dal brigadiere [[Biagio Melita]], nell'ufficio del commissario [[Angelo Mangano]]. Il giorno successivo fu interrogato per sei ore di fila dal commissario e poi fu rinchiuso all'Ucciardone di Palermo.