Articolo 41 bis: differenze tra le versioni

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L’art. 41 bis O.P., così come enucleato dalla legge Gozzini, non innovò in modo significativo la disposizione abrogata di cui all’art. 90 O.P., ma mirava più che altro a chiarire in maniera più puntuale i presupposti necessari e legittimanti il potere di sospensione delle normali regole di trattamento del Ministro di Giustizia. In particolare, all’interno della norma, si fa riferimento a “casi eccezionali di rivolta o ad altre gravi situazioni di emergenza” al fine di sottolineare l’imprevedibilità e l’eccezionalità di tali situazioni, circoscrivendo solo ad esse l’operatività della norma.1 L’art. 90 O.P., invece, parlava genericamente di “gravi ed eccezionali motivi di ordine e sicurezza” attribuendo in questo modo all’amministrazione penitenziaria un margine più ampio di discrezionalità nell’applicazione dell’istituto.
L’art. 41 bis O.P., così come enucleato dalla legge Gozzini, non innovò in modo significativo la disposizione abrogata di cui all’art. 90 O.P., ma mirava più che altro a chiarire in maniera più puntuale i presupposti necessari e legittimanti il potere di sospensione delle normali regole di trattamento del Ministro di Giustizia. In particolare, all’interno della norma, si fa riferimento a “casi eccezionali di rivolta o ad altre gravi situazioni di emergenza” al fine di sottolineare l’imprevedibilità e l’eccezionalità di tali situazioni, circoscrivendo solo ad esse l’operatività della norma.1 L’art. 90 O.P., invece, parlava genericamente di “gravi ed eccezionali motivi di ordine e sicurezza” attribuendo in questo modo all’amministrazione penitenziaria un margine più ampio di discrezionalità nell’applicazione dell’istituto.
Ulteriore aspetto di differenziazione tra le due norme è, inoltre, rappresentato dalla diversa collocazione sistematica delle due all’interno della legge sull’ordinamento penitenziario. L’art 90 O.P. appariva, infatti, come una norma di chiusura dal momento che era stato collocato tra le disposizioni finali e transitorie della legge. Al contrario, la collocazione dell’art. 41 bis O.P. all’interno del corpo della normativa faceva sì che esso assumesse il ruolo di sanzione di comportamenti collettivi non altrimenti neutralizzabili.
===Limiti dell’art. 41 bis nella sua prima formulazione===
L’art. 41 bis O.P., prevedendo il potere per il Ministro di Grazia e Giustizia di sospendere l’applicazione delle normali regole di trattamento penitenziario nei casi di rivolta e di altre gravi situazioni di emergenza interne all’istituto, aveva come unico scopo quello di porre rimedio unicamente a stati transitori di crisi di origine ambientale, in quanto tali non legati a particolari comportamenti o categorie di soggetti detenuti. Entrambe le fattispecie introdotte dalla legge del 1986 (artt. 14 bis e 41 bis O.P.), infatti, venivano attivate soltanto se si verificavano avvenimenti tali da mettere in discussione la sicurezza all’interno del carcere. Per tali ragioni la norma risultava produrre scarsi effetti pratici.
Il punto maggiormente criticato della nuova disposizione introdotta dalla legge Gozzini era rappresentato dai benefici che potevano essere concessi ai detenuti sottoposti alla sua applicazione. Infatti i benefici concessi erano ritenuti eccessivamente premiali e permissivi determinando un allentamento sul piano della prevenzione generale in favore della prevenzione speciale. Inoltre, i criteri adottati nella concessione degli stessi benefici risultavano indeterminati a causa della forte discrezionalità di cui godeva la magistratura di sorveglianza.
Di tali aspetti problematici si rese conto anche il legislatore del 1991 il cui intervento, però, si limitò a prevedere un irrigidimento delle condizioni di uscita dal carcere per i soggetti ritenuti, anche solo preventivamente, appartenere alla criminalità organizzata.
===La legge 356/1992 e l’introduzione del comma 2 all’art. 41 bis O.P.===
La legge 356/1992 fu emanata subito dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio nelle quali furono assassinati i giudici Falcone, Morvillo e Borsellino e gli agenti della scorta. A seguito della recrudescenza raggiunta dal fenomeno mafioso in quel periodo da più parti si premeva per un intervento decisivo da parte dello Stato.
L’introduzione del regime speciale, ad opera dell’art. 19 del decreto 306/1992, avvenne in via provvisoria e non ebbe applicazione immediata. Si dubitava perfino della conversione in legge del medesimo decreto. Solo a partire dal 20 luglio 1992, all’indomani della rinnovata emergenza che seguì la strage di via D’Amelio, con la conversione del decreto nella legge 356, venne attuato il secondo comma dell’art. 41 bis O.P. L’istituto previsto dalla norma in esame è stato vigente per decenni in regime di provvisorietà, sino alla emanazione della legge 279/2002 che ne ha disciplinato definitivamente il contenuto apportando talune modifiche per superare i problemi sollevati dalla formulazione originaria.  Tale regime consiste nella sospensione, in tutto o in parte, delle normali regole di trattamento o degli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario.  Le regole di trattamento si riferiscono tanto alla vita interna al carcere dei detenuti, quanto ai contatti che questi continuino a mantenere con l’esterno. L’intenzione del legislatore era non solo quella di affrontare una grave situazione di emergenza, ma anche quella di far cessare una ''“palese posizione di privilegio e di supremazia"'' di alcuni detenuti “eccellenti” nei confronti di altri detenuti e, talvolta, anche nei confronti degli stessi controllori penitenziari.
===La riforma del 2002. Legge 279/2002===
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