Camorra

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Dissi di una simil setta. La camorra infatti, nel significato generale del vocabolo, designa ben altro che l'associazione [...] Il vocabolo si applica a tutti gli abusi di forza o di influenza. Far la camorra, nel linguaggio ordinario, significa prelevar un diritto arbitrario e fraudolento.
(Marc Monnier[1])


Con l'espressione "Camorra" si indica normalmente la declinazione campana del fenomeno mafioso, attiva sin dagli inizi del XIX Secolo e radicata in maniera particolare nella città di Napoli, nel suo hinterland, nonché nella provincia di Caserta, Salerno e Avellino. A differenza della ben più famosa Cosa Nostra o della 'ndrangheta, la Camorra non ha mai avuto una struttura unitaria, ma una costellazione di Clan spesso entrati in conflitto tra loro nelle c.d. "faide". Tutti i tentativi di creare una struttura unitaria (la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo, la Nuova Famiglia dei Clan Bardellino-Nuvoletta-Alfieri, la Nuova Mafia Campana di Carmine Alfieri) fallirono totalmente.

Origini del nome

Sull'origine del termine "Camorra" non c'è accordo tra gli studiosi. Nel XVII Secolo il termine indicava un particolare tipo di stoffa e, poiché l'abbigliamento dei camorristi è sempre stato molto appariscente, alcuni linguisti hanno individuato l'origine in "Gamurra", un abito femminile in uso in Europa nel Tardo Medioevo e nel Rinascimento, mentre altri ancora in "Gamurri", banditi spagnoli famosi per il loro giubbotto.

La prima volta però che il termine comparve in un atto pubblico fu nel 1735, legato al gioco d'azzardo: si trattava di una "prammatica" (legge) in cui venivano autorizzate a Napoli solo otto case da gioco, tra queste "Camorra avanti palazzo", in attività sin dal XVII secolo e situata a fianco al Maschio Angioino. Che il termine indicasse un particolare gioco d'azzardo è testimoniato anche in un'istanza a re Carlo III di Borbone, dove si chiedeva al sovrano di reintrodurre tra i giochi legali "Li cotte, lo Sghizzo e la Camorra".

Va segnalato inoltre che "Camorra" in spagnolo significa "lite": "Buscar camorra" significa letteralmente "fare a botte". Vista l'influenza anche linguistica della dominazione spagnola nel dialetto napoletano, molti studiosi vi fanno risalire l'origine del termine.

Di recente un'altra interpretazione di Francesco Montuori[2], fa derivare "Camorra" da "Camerario", il gabelliere addetto alla riscossione delle tasse in molte amministrazioni italiane: la camorra sarebbe quindi una tassa e i camorristi gli esattori. Questa interpretazione si sposa bene anche con la principale attività della Camorra, l'estorsione: a Napoli "prendersi la camorra" significa infatti estorcere una somma di denaro su qualsiasi attività, attraverso la minaccia o l'uso della violenza.

Storia ed evoluzione

Le origini

Storicamente la Camorra si organizzò molto prima della mafia siciliana e della 'ndrangheta. Il mito della fondazione viene fatto risalire a una fantomatica riunione a Napoli, mai dimostrata, nella Chiesa di Santa Caterina a Formello, nel 1820. Quel che è certo è che l'embrione dell'organizzazione venne varato subito dopo la fallita rivoluzione partenopea del 1799, tra il 1810 e il 1820. A dimostrazione della sua primogenitura tra le altre organizzazioni mafiose, va segnalato che il termine "Camorra" era presente già nelle Procedure per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infettate, meglio note come legge Pica, nel 1863: il termine "mafia" entrò nel codice penale solamente con la legge n.575 del 31/05/1965 "Disposizioni contro la mafia", approvata dopo la Strage di Ciaculli.

Risale invece al 1842 uno statuto a firma di un certo Francesco Scorticelli, in cui si parla della camorra come "Bella società riformata". Il prototipo del "mafioso" della famosa commedia "I Mafiusi della Vicaria" del 1863 era ricalcato inoltre su un camorrista realmente esistito che spadroneggiava nelle carceri borboniche e "camurrìa" in dialetto siciliano significa proprio "fastidio, impiccio".

Ai tempi dei Borbone

Negli anni della Restaurazione borbonica, subito dopo il Congresso di Vienna, la Camorra si diede un'organizzazione che prevedeva tre livelli gerarchici: picciotto d'onore, picciotto di sgarro, camorrista. L'aspirante camorrista, prima di poter intraprendere questo particolare cursus honorum, era chiamato "tamurro". Ogni quartiere di Napoli, suddiviso a sua volta in "paranze", aveva un "caposocietà", per un totale di dodici: questi, a loro volta, eleggevano un "capintesta" generale della Camorra, ruolo che per molti anni fu egemonizzato dalla famiglia Cappuccio del quartiere della Vicaria. Ogni capo della Camorra poteva fregiarsi del titolo di "Masto" (Maestro, Padrone). La medesima struttura era presente anche nell'area ristretta tra Caserta, Marcianise e Santa Maria Capua Vetere (la c.d. Terra di Lavoro), ma il capintesta veniva eletto solo tra i capisocietà di Napoli. I comuni, anche capoluoghi di provincia, erano equiparati ai quartieri di Napoli ed eleggevano un solo caposocietà.

Come criminalità urbana, la camorra esercitava la sua principale attività, l'estorsione, soprattutto nelle carceri, vero luogo di reclutamento dell'organizzazione: qualsiasi attività ed eventuale disponibilità materiale del detenuto era "tassata" del 10%. Altri fronti delle attività camorristiche erano i mercati (dove veniva imposta una percentuale sulla vendita di farine, creali, frutta, pesce, carne etc.) e le case da gioco, nonché la prostituzione. A Napoli in pratica non vi era attività commerciale che non prevedesse il pagamento di una tangente alla Camorra. L'addetto agli affari economici e finanziari dell'organizzazione era il "contarulo", nominato da ciascun capososcietà alla gestione del "barattolo", dove finivano tutti gli introiti delle estorsioni.

Ogni quartiere, inoltre, aveva un suo tribunale, che si chiamava "Mamma": il tribunale supremo della città era la "Gran Mamma", presieduto dal capintesta, che in quella funzione assumeva il titolo di "Mammasantissima". Del resto, la stessa polizia borbonica assicurava impunità in cambio di tutela dell'ordine pubblico da parte della Camorra, che dopo la fallita insurrezione liberale del 15 maggio 1848 venne impiegata anche per raccogliere informazioni sulle manovre degli oppositori politici al governo borbonico.

Ai tempi dell'Italia Unita

Quando era oramai chiaro che il Regno delle Due Sicilie non avrebbe retto l'avanzata garibaldina, il ministro borbonico dell'Interno Liborio Romano invitò a casa sua il capintesta Salvatore De Crescenzo (Tore 'e Criscienzo), proponendogli di trasformare capisocietà e picciotti rispettivamente in commissari/ispettori di polizia e in guardie cittadine, in modo da garantire l'ordine pubblico nell'imminente arrivo a Napoli di Giuseppe Garibaldi. La nuova legittimazione in città permise ai camorristi di fare il bello e il cattivo tempo nel periodo di transizione al nuovo regime liberale.

Ma già a metà del novembre 1860 il prefetto di polizia Filippo De Blasio, coadiuvato dai neocommissari Capuano e Jossa, dirigenva una vasta operazione volta a reprimere il contrabbando, utilizzando i carabinieri e le guardie nazionali: in ventiquattro ore oltre 100 camorristi finirono in carcere. Fu con l'insediamento del nuovo ministro dell'Interno del Regno d'Italia, Silvio Spaventa, che la collaborazione tra vertici dello Stato e la Camorra si interruppe: nel più vasto impegno contro il brigantaggio che stava flagellando il Meridione, Spaventa pretese e ottenne l'estensione delle disposizioni della Legge Pica anche ai camorristi.

Il processo Cuocolo: lo scioglimento della Camorra

Nonostante il clima di belligeranza del nuovo Stato liberale, la Camorra continuava ad operare a Napoli e Provincia. Fino all'omicidio di Gennaro Cuocolo, basista di furti di appartamenti, e di sua moglie Maria Cutinelli, ex-prostituta. Ucciso sulla spiaggia di Torre del Greco per essersi appropriato della parte di bottino spettante ai complici finiti in carcere, il caso fu l'occasione per celebrare un "maxi-processo" alla Camorra napoletana che, in assenza di qualsiasi tutela liberale, si concluse con la condanna di oltre 30 pezzi da novanta della Camorra. Fu così che la sera del 25 maggio 1915, nelle Caverne delle Fontanelle, nel popolare rione Sanità, l'organizzazione venne sciolta dai superstiti, presieduti da Gaetano Del Giudice.

La rinascita nel Secondo Dopoguerra

Se la mentalità e i comportamenti camorristici continuarono a vivere, anche sotto al fascismo, una riorganizzazione della Camorra si ebbe solo nel Secondo Dopoguerra, con lo sbarco degli Alleati e le infinite possibilità di guadagno illegale procurato dal mercato nero. Anche in questo caso l'assenza dell'autorità statale sarà fondamentale nel consolidamento del potere camorristico. Il ritorno della democrazia, gli appuntamenti elettorali, il suffragio universale e la preferenza multipla ridiedero alla Camorra il suo ruolo di collettore di voti: il primo a trarne beneficio fu Achille Lauro, sindaco monarchico, armatore e presidente del Napoli Calcio. Parallelamente, la Camorra si infiltrava nell'organizzazione del contrabbando, nelle attività di protezione e mediazione (soprattutto nei mercati ortofrutticoli), oltre a poter contare su una vasta rete di rapporti con la Pubblica Amministrazione dovuti al suo peso elettorale: molto spesso, infatti, la contropartita per un pacchetto di voti era l'assunzione di persone vicine all'organizzazione negli uffici pubblici.

Il primo salto di qualità della Camorra si ha agli inizi degli anni '60 con il contrabbando di sigarette: con la chiusura del porto franco di Tangeri (1956), i depositi di tabacco vennero spostati nei porti jugoslavi ed albanesi da dove, transitando per la Puglia, le casse di sigarette di contrabbando arrivavano a Napoli, che divenne uno dei principali mercati del Mediterraneo. Per un decennio i camorristi napoletani svolsero un ruolo secondario nel traffico, occupandosi dello sbarco, dei magazzini e della vendita al dettaglio. La crisi di Cosa Nostra siciliana, dopo la repressione messa in moto dallo Stato dopo la Strage di Ciaculli, contribuì all'affermazione di Napoli nel traffico internazionale di tabacco. Ciononostante, i camorristi non sono in grado di proiettarsi su scala internazionale, come aveva fatto Cosa Nostra.

La situazione cambiò agli inizi degli anni '70, quando l'istituto del soggiorno obbligato portò molti mafiosi siciliani in Campania: fu l'inizio della collaborazione tra Cosa Nostra e clan camorristici. La guerra tra mafiosi siciliani e marsigliesi per il controllo di Napoli (1971-1973), vinta dai primi, portò poi tra le fila di Cosa Nostra boss del calibro di Michele e Salvatore Zaza, Angelo e Lorenzo Nuvoletta, Raffaele Ferrara ed Antonio Bardellino. La nuova alleanza, inaugurata nel 1974 e suggellata da un incontro nella tenuta dei Nuvoletta a Poggio Vallesana a cui partecipano Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Brusca, Tommaso Spadaro, Nunzio La Mattina, Nicola Milano e i catanesi Pippo e Antonio Calderone. Dopo cinque anni di affari, la "società" venne sciolta consensualmente per l'interesse di entrambe le controparti verso il traffico di stupefacenti.

Già a metà degli anni '70 era attivo a Napoli un trafficante internazionale di cocaina, Umberto Ammaturo, prima in affari con Luigi Grieco (detto 'o sciecco), eliminato dai siciliani, poi con gli Zaza. Il salto definitivo di qualità nella gerarchia internazionale della criminalità mafiosa fu dato quindi dal narcotraffico: Napoli, grazie alla minore attenzione delle autorità e al minore allarme sociale, diventò la piazza principale dello smercio di droga. Il continente privilegiato era l'America Latina, la merce preferita commerciata la cocaina: i clan camorristici acquistarono in questo periodo una dimensione internazionale impensabile fino a dieci anni prima.

Con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti, l'area metropolitana di Napoli diventò un enorme mercato di consumo di eroina e cocaina. Le prime famiglie ad occuparsi del nuovo traffico illegale sono le stesse del contrabbando di sigarette, poi emergono nuovi clan (i Cozzolino, i Mauro): Hashish e cocaina raffinate a Palermo arrivavano a Napoli sin dal 1977. Gli enormi profitti generati dal narcotraffico permisero ad alcune famiglie, come i Nuvoletta, di entrare nel traffico di armi, trattando addirittura una partita di carri armati Leopard con la Germania.

Cutolo e la Nuova Camorra Organizzata

A scompaginare gli equilibri camorristici in Campania creatisi con la proficua collaborazione tra i clan della Camorra e Cosa Nostra ci pensò Raffaele Cutolo, detto 'o professore. In ottimi rapporti con i boss della 'ndrangheta Giuseppe Piromalli, Salvatore Mammoliti, Paolo De Stefano, Egidio Muraca e Francesco Cangemi, dopo aver eliminato per loro il vecchio boss Mico Tripodo nel carcere di Poggioreale, segue il loro consiglio di creare una sua associazione criminale per non lasciare troppo spazio ai siciliani in Campania.

Fu così che nacque la Nuova Camorra Organizzata: dapprima prestò assistenza ai giovani sbandati finiti in galera, poi giustificò le estorsioni con la necessità di garantire supporto ai carcerati che, una volta tornati in libertà, diventavano a loro volta estorsori e reclutatori per l'organizzazione. La forza di Cutolo fu quella di fare dell'affiliazione alla NCO una vera e propria filosofia di vita, fondata sulla riscossa sociale delle classi subalterne campane. Con oltre 7mila affiliati, la NCO ha rappresentato un unicum nella storia criminale del fenomeno mafioso.

La guerra tra Cutolo e i suoi avversari (riunitisi nel cartello della Nuova Famiglia) fece da sfondo a un evento assai redditizio per i clan della Camorra, il Terremoto dell'Irpinia del 1980. La ricostruzione, tutt'oggi rimasta incompiuta, avrebbe fagocitato centinaia di miliardi di lire, finiti a finanziare i clan. Il confronto armato tra la NCO e la NF durò cinque anni e lasciò a terra circa 1500 morti. La guerra scatenata da Cutolo con l'imposizione di una sua tassa personale sulle casse di sigarette sbarcate in Campani accelerò la crisi del contrabbando di tabacco, contribuendo allo spostamento del core business della Camorra sul narcotraffico.

Contemporaneamente alla guerra di camorra, imperversava a Palermo la Seconda Guerra di Mafia, che avrebbe visto vittoriosi i Corleonesi. La fine di Cutolo e della sua organizzazione si ebbe soprattutto al suo trasferimento nel super-carcere dell'Asinara, preteso dall'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Senza più il capo sul territorio, i suoi luogotenenti vennero eliminati uno a uno, finché la NCO non si dissolse completamente, abbandonata dai servizi segreti nonostante il ruolo svolto nella liberazione di Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse.

Lo scontro tra i vincenti: i Bardellino-Alfieri vs i Nuvoletta

Nel processo di dissoluzione della NCO, molti clan passarono con la fazione vincente e cominciò ad emergere la figura di Carmine Alfieri. Nel frattempo, i Bardellino avevano rotto con i Nuvoletta, divenuti gli unici referenti dei Corleonesi in Campania. Il nuovo scontro, che rischiava di essere ancora più sanguinoso di quello appena concluso, riguardava il controllo delle attività imprenditoriali del dopo-Terremoto. Tra stragi e morti ammazzati (tra cui il giovane cronista del Mattino Giancarlo Siani), l'epilogo della vicenda avrebbe portato ad un rafforzamento del clan di Carmine Alfieri, che a metà degli anni '80 era oramai il più potente della Campania.

Gli Anni '90

La Camorra del Duemila

La Struttura

I Clan

Differenze con Cosa Nostra

Le Faide

Per saperne di più

  • Allum Percy A., Potere e Società a Napoli nel dopoguerra, Torino, Einaudi, 1975
  • Barbagallo Francesco, Storia della Camorra, Bari, Editori Laterza, 2010
  • Commissione Antimafia, Rapporto sulla Camorra, Roma, l’Unità, 21 dicembre 1993
  • Sales Isaia, La Camorra, Le Camorre, Roma, Editori Riuniti, 1988

Note

  1. Marco Monnier, La camorra: notizie storiche raccolte e documentate, Firenze, G. Barbera, 1862
  2. Francesco Montuori, Lessico e Camorra, Napoli, Fridericiana Editrice Universitaria, maggio 2008