Cesare Terranova: differenze tra le versioni

Da WikiMafia.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
(completamento voce)
Nessun oggetto della modifica
Riga 1: Riga 1:
{{espandere}}


''Cesare Terranova fu uomo di alto sentire e di grande cultura: amava profondamente la sua Sicilia e viveva con angoscia la fase di trapasso che l'isola attraversava, dall'economia del feudo e rurale all'economia industriale e collegata con le grandi correnti di traffico europeo e mediterraneo. Ma egli era anche animato, oltre che da un virile coraggio, anche da infinita speranza, che scaturiva dalla sua profonda bontà d'animo: speranza nel futuro dell'Italia e della Sicilia migliori, per le quali il sacrificio della sua vita, fervida, integra ed operosa non è stato vano. Ancora una volta così la violenza omicida della delinquenza organizzata ha colpito uno degli uomini migliori, uno dei figli più degni della terra di Sicilia.
<center>''"Oggi si parla di quarta mafia, la terza, la quinta, ma la realtà è che la mafia è sempre una, ha una sua continuità; si succedono naturalmente i capi, i personaggi, cambiano i sistemi operativi, cambiano gli obiettivi di lucro, ma la mafia è sempre quella."'' </center>
Sandro Pertini <ref>iverieroi.blogspot.it/2010/07/cesare-terranova.html</ref>
''
= BIOGRAFIA =
Cesare Terranova (15 agosto 1921, Petralia Sottana- 25 settembre 1979, Palermo) è stato un magistrato e un politico italiano, vittima di Cosa Nostra.
Entra in magistratura nel 1946, non appena tornato dalla guerra e dalla prigionia. È Pretore a Messina e poi a Rometta. Nel 1958 si trasferisce dal Tribunale di Patti a quello di Palermo, in cui avvia i celebri processi di mafia contro Liggio e altri boss mafiosi.
Giunge poi a Marsala, dove, in veste di Procuratore della Repubblica, svolge numerose e difficili indagini.
Eletto deputato, diviene componente della Commissione parlamentare antimafia e qui si distingue per impegno, intuito e professionalità, ponendo al servizio delle più alte istituzioni la esperienza accumulata nel corso della carriera di magistrato. Proprio in questi anni alcune sentenze di condanna di pericolosi appartenenti all'organizzazione mafiosa vengono annullate. Molti mafiosi tornano liberi e alzano il livello di scontro contro lo Stato.
Terminato nel 1979 il mandato parlamentare, Terranova decide di tornare "a Palermo per terminare il lavoro cominciato".<ref>www.associazionemagistrati.it/doc/423/in-ricordo-di-cesare-terranova.htm</ref>  
Muore il 25 settembre 1979 in un vile attentato mafioso assieme al maresciallo Lenin Manuso.


= L’IMPORTANZA DEL LAVORO DI TERRANOVA NELLA LOTTA ALLA MAFIA =
<center>('''Cesare Terranova''')</center>
== IN MAGISTRATURA ==
Da palermitano, Cesare Terranova, comprese ed intuì la pericolosità crescente dei Corleonesi e la sua attività da magistrato si contraddistinse proprio per l’importantissimo ruolo di contrasto alla mafia siciliana. Soprattutto intuì la trasformazione della mafia che, al passo con i tempi e con l’evolversi dell’economia, da agricola divenne imprenditrice, conquistando privilegi, commesse e licenze edilizie.
La svolta nella sua carriera si registrò durante l’istruzione del processo ai danni di Luciano Liggio, Totò Riina, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella.
Tuttavia, ci si trovava in un’epoca in cui l’associazione per delinquere di stampo mafioso non esisteva ancora penalmente (art. 416 bis c.p.) e l’unica arma che i giudici potevano utilizzare per ottenere una qualche incriminazione nei confronti degli appartenenti alle cosche mafiose era quella di provare l’esistenza di un’associazione criminale e, quindi, l’associazione per delinquere prevista dall’art. 416 c.p.
Nel primo vero processo alla mafia, tenutosi a Bari nel 1969 ed in cui ricopriva il ruolo di procuratore d’accusa, Terranova riuscì a portare alla sbarra almeno un centinaio di mafiosi, ma nonostante il grande impegno, la passione e la lungimiranza del magistrato, gli imputati furono quasi tutti assolti.
Nel 1974, però, la rivincita con il processo dal quale ottenne la condanna all’ergastolo della “primula rossa” di Corleone, Luciano Liggio, imputato per l’omicidio del boss Michele Navarra.
Dopo un periodo in politica, nel 1976, Terranova fu prima nominato Consigliere della Corte d’Appello del Tribunale di Palermo e poi capo dell’Ufficio Istruzione del medesimo Tribunale.
Il giudice, come risultò dalle indagini, fu tuttavia fermato dalla mafia prima che potesse diventare giudice istruttore all’interno della commissione antimafia.<ref>www.narcomafie.it/2015/09/25/cesare-terranova-36-anni-fa-lomicidio/</ref>  


'''Cesare Terranova''' ([[15 agosto]] [[1921]], Petralia Sottana- [[25 settembre]] [[1979]], Palermo) è stato un magistrato e un politico italiano, vittima di un agguato mafioso di [[Cosa Nostra]], insieme alla sua fedele guardia del corpo [[Lenin Mancuso]].
== IN POLITICA ==
[[File:Cesare-terranova.jpg|thumb|right|300px|Cesare Terranova, dopo l'agguato]]
Cesare Terranova fu deputato alla Camera, nella lista del PCI, come indipendente di sinistra, nel 1972 e nel 1976, anno in cui fece rientro a Palermo per ricoprire il ruolo di consigliere della Corte d’Appello presso il Tribunale di Palermo.
Fu parte anche della Commissione parlamentare antimafia durante la VI Legislatura e fu in questo periodo che, insieme ai deputati La Torre, Benedetti, Malagugini ed ai senatori Adamoli, Chiaromonte, Lugnano, Maffioletti, partecipò alla stesura della Relazione di minoranza in cui si criticava la Relazione di maggioranza sul fenomeno mafioso.  
Quest’ultima veniva valutata in chiave fortemente critica, evidenziando come la medesima, per niente soddisfacente, non solo deludeva le aspettative dell’opinione pubblica, ma non rafforzava neppure il prestigio delle istituzioni democratiche.  
La Relazione di Maggioranza, infatti, non solo ricostruiva erroneamente la genesi del fenomeno mafioso a partire dall’unità d’Italia, ma anche e soprattutto perché sottovalutava i collegamenti tra mafia e politica e sottaceva i coinvolgimenti della Democrazia Cristiana in varie vicende di mafia. Non mancavano, tra l’altro, all'interno della Relazione di Minoranza, pesanti accuse nei confronti di personaggi quali Salvo Lima, Vito Ciancimino ed altri personaggi politici intrattenenti relazioni con il potere mafioso<ref>Dalla Relazione di minoranza, archiviopiolatorre.camera.it/imgrepo/DOCUMENTAZIONE/Antimafia/03_rel.pdf</ref>. 


= L’OMICIDIO =
== Biografia ==
Il 25 settembre del 1979, verso le 8,30 del mattino, una Fiat 131 arriva sotto casa del giudice Cesare Terranova a Palermo per condurlo in ufficio.
Entrato in magistratura nel [[1946]], subito dopo la fine della guerra, esercitò prima come pretore a Messina e poi a Rometta. Nel [[1958]] si trasferì dal Tribunale di Patti a quello di Palermo, dove avviò i primi grandi processi di mafia contro [[Luciano Leggio]] e gli altri boss mafiosi di Corleone. Da palermitano, infatti, Terranova, aveva capito la crescente pericolosità della nuova leva di "viddani" che avevano sterminato [[Michele Navarra]] e i suoi fedelissimi, prendendone il posto; capì anche la trasformazione della mafia siciliana, che dal feudo si spostava sulle opportunità di speculazione edilizia offerte dalle città. Fu '''il primo magistrato''' a mettere per iscritto nella sentenza istruttoria per la [[Strage di viale Lazio|strage di viale Lazio]] del [[10 dicembre]] [[1969]], che gli amministratori comunali di allora rappresentavano in centro propulsore della nuova mafia<ref>Lodato, p. 23</ref>.
Il magistrato è alla guida della vettura ed accanto a lui siede il maresciallo di Pubblica Sicurezza Lenin Mancuso, al quale è stata affidata la sua protezione.
 
L'auto imbocca una strada secondaria che trova inaspettatamente chiusa per "lavori in corso". Quindi alcuni killer affiancano l'auto e aprono il fuoco con una carabina Winchester e con delle pistole. Il magistrato ingrana la retromarcia nel tentativo di sottrarsi ai proiettili, mentre il maresciallo Mancuso impugna la Beretta di ordinanza. Viene esplosa una trentina i colpi. Il giudice muore sul colpo, Mancuso poche ore dopo in ospedale.
Procuratore d'accusa nel processo di Bari contro Liggio, [[Totò Riina]], [[Bernardo Provenzano]] e [[Calogero Bagarella]], nel [[1969]] venne sconfitto da una sentenza di assoluzione per quasi tutti gli imputati: la forza della repressione giudiziaria dello Stato esplosa dopo la [[Strage di Ciaculli]] era già finita.
Secondo l'amico e scrittore Leonardo Sciascia, Cesare Terranova fu ucciso perché "stava occupandosi di qualcosa per cui qualcuno ha sentito incombente o immediato il pericolo"<ref>www.associazionemagistrati.it/doc/423/in-ricordo-di-cesare-terranova.htm</ref>.
 
Le prime importanti dichiarazioni sull’omicidio Terranova risalgono al 1984, quando Buscetta rivela al giudice Falcone che Terranova era diventato un obiettivo già dal 1975 e che il mandante era stato lo stesso Liggio, il quale aveva ordinato l’esecuzione sia per vendicarsi della condanna all’ergastolo subita, sia perché il giudice si mostrava troppo determinato nella lotta alla criminalità organizzata, anche in quanto parte attiva della Commissione Parlamentare antimafia.  
=== Deputato del PCI ===
Francesco Di Carlo, esponente del mandamento di San Giuseppe Jato e uomo di fiducia di Bernardo Brusca, riconosce Luciano Liggio come mandante dell’omicidio e come esecutori materiali: Giuseppe Giacomo Gambino, Vincenzo Puccio, Leoluca Bagarella e Giuseppe Madonia. È stato riaperto il procedimento contro altre sette persone, esponenti della cupola palermitana, che diedero il permesso di eliminare il giudice, perché stava per diventare giudice istruttore nella commissione antimafia: Michele Greco, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Antonino Geraci, Francesco Madonia, Totò Riina e Bernardo Provenzano<ref>Ecco chi uccise Terranova. Corriere della sera. Archivio storico. 4 giugno 1997.</ref>.
Eletto come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano alla Camera dei Deputati nel [[1972]], vi restò fino al [[1979]]; membro della Commissione Parlamentare Antimafia della VI legislatura, firmò insieme a [[Pio La Torre]] [https://www.slideshare.net/WikiMafia_Staff/relazione-di-minoranza-pio-la-torre-4-febbraio-1976 la relazione critica di minoranza] in cui venivano evidenziati i rapporti tra mafia, politica e imprenditoria, in particolare con esponenti di spicco della Democrazia Cristiana, come [[Giovanni Gioia]], [[Vito Ciancimino]] e [[Salvo Lima]].
 
Dopo l'esperienza parlamentare, Terranova tornò in magistratura per essere nominato Consigliere presso la Corte di appello di Palermo.
 
=== L'omicidio ===
[[File:Morte terranova.jpg|thumb|right|300px|Cesare Terranova, dopo l'agguato]]
La mattina del [[25 settembre]], verso le 8:30 del mattino, il magistrato si mise alla guida della sua Fiat 131, con a fianco la sua guardia del corpo, il maresciallo [[Lenin Mancuso]]. Imboccando la solita strada secondaria per giungere al tribunale, la trovarono chiusa per lavori in corso: fu in quel momento che l'auto venne affiancata dai killer che aprirono il fuoco con una carabina Winchester e pistole. Il magistrato ingranò la retromarcia nel tentativo di sottrarsi ai proiettili, mentre il Maresciallo Mancuso estrasse la Beretta di ordinanza per rispondere al fuoco. Terranova morì sul colpo, Mancuso poche ore dopo in ospedale.  
 
Il Cardinale Salvatore Pappalardo, nell'omelia durante i solenni funerali, disse: "Sappiamo bene che non sono possibili soluzioni semplicistiche e immediate. Il male è talmente profondo e incarnato che le sue velenose radici affondano in un terreno dove si intrecciano da secoli... torbidi interessi, espressioni dell'egoismo e della prepotenza umana, disancorata da ogni visione morale e religiosa della vita"<ref>Lodato, p.25</ref>.
 
=== Le indagini e i processi ===
Alle 9:15 il duplice omicidio venne rivendicato dall'organizzazione fascista Ordine nuovo, con una telefonata anonima a un quotidiano romano, ma gli inquirenti rimasero convinti della matrice mafiosa dell'attentato. Secondo l'amico e scrittore [[Leonardo Sciascia]], Terranova fu ucciso perché "stava occupandosi di qualcosa per cui qualcuno ha sentito incombente o immediato il pericolo"<ref>www.associazionemagistrati.it/doc/423/in-ricordo-di-cesare-terranova.htm</ref>. Ciononostante, dalle carte e dai dossier presenti nell'Archivio del magistrato messi a disposizione della moglie, [[Giovanna Giaconia Terranova]], non emerse nulla.
 
Le prime importanti dichiarazioni sull'omicidio del magistrato arrivarono nel [[1984]] con la collaborazione di [[Tommaso Buscetta]], che rivelò a [[Giovanni Falcone]] come il magistrato fosse diventato un obiettivo già nel [[1975]] per essere riuscito ad ottenere la condanna all'ergastolo di Liggio e per il suo attivismo in Commissione Antimafia.
 
Anche [[Francesco Di Carlo]], esponente del mandamento di San Giuseppe Jato e uomo di fiducia di [[Bernardo Brusca]], riconobbe Liggio come mandante dell’omicidio e come esecutori materiali: [[Giuseppe Giacomo Gambino]], [[Vincenzo Puccio]], [[Leoluca Bagarella]] e [[Giuseppe Madonia]]. Nel [[1997]] venne riaperto il procedimento contro altre sette persone, esponenti della cupola palermitana, che diedero il permesso di eliminare il giudice che stava per diventare giudice istruttore nella commissione antimafia: [[Michele Greco]], [[Bernardo Brusca]], [[Pippo Calò]], [[Antonino Geraci]], [[Francesco Madonia]], [[Totò Riina]] e [[Bernardo Provenzano]]<ref>Ecco chi uccise Terranova. Corriere della sera. Archivio storico. 4 giugno 1997.</ref>.
 
== Memoria ==
Di lui scrisse il Presidente della Repubblica Sandro Pertini: ''Cesare Terranova fu uomo di alto sentire e di grande cultura: amava profondamente la sua Sicilia e viveva con angoscia la fase di trapasso che l'isola attraversava, dall'economia del feudo e rurale all'economia industriale e collegata con le grandi correnti di traffico europeo e mediterraneo. Ma egli era anche animato, oltre che da un virile coraggio, anche da infinita speranza, che scaturiva dalla sua profonda bontà d'animo: speranza nel futuro dell'Italia e della Sicilia migliori, per le quali il sacrificio della sua vita, fervida, integra ed operosa non è stato vano. Ancora una volta così la violenza omicida della delinquenza organizzata ha colpito uno degli uomini migliori, uno dei figli più degni della terra di Sicilia.''
 
== Note ==
<references></references>
 
== Bibliografia ==
* Camera dei Deputati, Archivio Storico
* Lodato, Saverio. Quarant'anni di mafia, Milano, Bur, 2013
 
[[Categoria:Magistrati]] [[Categoria:Vittime di Cosa Nostra]]

Versione delle 12:06, 25 set 2017


"Oggi si parla di quarta mafia, la terza, la quinta, ma la realtà è che la mafia è sempre una, ha una sua continuità; si succedono naturalmente i capi, i personaggi, cambiano i sistemi operativi, cambiano gli obiettivi di lucro, ma la mafia è sempre quella."
(Cesare Terranova)

Cesare Terranova (15 agosto 1921, Petralia Sottana- 25 settembre 1979, Palermo) è stato un magistrato e un politico italiano, vittima di un agguato mafioso di Cosa Nostra, insieme alla sua fedele guardia del corpo Lenin Mancuso.

Cesare Terranova, dopo l'agguato

Biografia

Entrato in magistratura nel 1946, subito dopo la fine della guerra, esercitò prima come pretore a Messina e poi a Rometta. Nel 1958 si trasferì dal Tribunale di Patti a quello di Palermo, dove avviò i primi grandi processi di mafia contro Luciano Leggio e gli altri boss mafiosi di Corleone. Da palermitano, infatti, Terranova, aveva capito la crescente pericolosità della nuova leva di "viddani" che avevano sterminato Michele Navarra e i suoi fedelissimi, prendendone il posto; capì anche la trasformazione della mafia siciliana, che dal feudo si spostava sulle opportunità di speculazione edilizia offerte dalle città. Fu il primo magistrato a mettere per iscritto nella sentenza istruttoria per la strage di viale Lazio del 10 dicembre 1969, che gli amministratori comunali di allora rappresentavano in centro propulsore della nuova mafia[1].

Procuratore d'accusa nel processo di Bari contro Liggio, Totò Riina, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella, nel 1969 venne sconfitto da una sentenza di assoluzione per quasi tutti gli imputati: la forza della repressione giudiziaria dello Stato esplosa dopo la Strage di Ciaculli era già finita.

Deputato del PCI

Eletto come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano alla Camera dei Deputati nel 1972, vi restò fino al 1979; membro della Commissione Parlamentare Antimafia della VI legislatura, firmò insieme a Pio La Torre la relazione critica di minoranza in cui venivano evidenziati i rapporti tra mafia, politica e imprenditoria, in particolare con esponenti di spicco della Democrazia Cristiana, come Giovanni Gioia, Vito Ciancimino e Salvo Lima.

Dopo l'esperienza parlamentare, Terranova tornò in magistratura per essere nominato Consigliere presso la Corte di appello di Palermo.

L'omicidio

Cesare Terranova, dopo l'agguato

La mattina del 25 settembre, verso le 8:30 del mattino, il magistrato si mise alla guida della sua Fiat 131, con a fianco la sua guardia del corpo, il maresciallo Lenin Mancuso. Imboccando la solita strada secondaria per giungere al tribunale, la trovarono chiusa per lavori in corso: fu in quel momento che l'auto venne affiancata dai killer che aprirono il fuoco con una carabina Winchester e pistole. Il magistrato ingranò la retromarcia nel tentativo di sottrarsi ai proiettili, mentre il Maresciallo Mancuso estrasse la Beretta di ordinanza per rispondere al fuoco. Terranova morì sul colpo, Mancuso poche ore dopo in ospedale.

Il Cardinale Salvatore Pappalardo, nell'omelia durante i solenni funerali, disse: "Sappiamo bene che non sono possibili soluzioni semplicistiche e immediate. Il male è talmente profondo e incarnato che le sue velenose radici affondano in un terreno dove si intrecciano da secoli... torbidi interessi, espressioni dell'egoismo e della prepotenza umana, disancorata da ogni visione morale e religiosa della vita"[2].

Le indagini e i processi

Alle 9:15 il duplice omicidio venne rivendicato dall'organizzazione fascista Ordine nuovo, con una telefonata anonima a un quotidiano romano, ma gli inquirenti rimasero convinti della matrice mafiosa dell'attentato. Secondo l'amico e scrittore Leonardo Sciascia, Terranova fu ucciso perché "stava occupandosi di qualcosa per cui qualcuno ha sentito incombente o immediato il pericolo"[3]. Ciononostante, dalle carte e dai dossier presenti nell'Archivio del magistrato messi a disposizione della moglie, Giovanna Giaconia Terranova, non emerse nulla.

Le prime importanti dichiarazioni sull'omicidio del magistrato arrivarono nel 1984 con la collaborazione di Tommaso Buscetta, che rivelò a Giovanni Falcone come il magistrato fosse diventato un obiettivo già nel 1975 per essere riuscito ad ottenere la condanna all'ergastolo di Liggio e per il suo attivismo in Commissione Antimafia.

Anche Francesco Di Carlo, esponente del mandamento di San Giuseppe Jato e uomo di fiducia di Bernardo Brusca, riconobbe Liggio come mandante dell’omicidio e come esecutori materiali: Giuseppe Giacomo Gambino, Vincenzo Puccio, Leoluca Bagarella e Giuseppe Madonia. Nel 1997 venne riaperto il procedimento contro altre sette persone, esponenti della cupola palermitana, che diedero il permesso di eliminare il giudice che stava per diventare giudice istruttore nella commissione antimafia: Michele Greco, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Antonino Geraci, Francesco Madonia, Totò Riina e Bernardo Provenzano[4].

Memoria

Di lui scrisse il Presidente della Repubblica Sandro Pertini: Cesare Terranova fu uomo di alto sentire e di grande cultura: amava profondamente la sua Sicilia e viveva con angoscia la fase di trapasso che l'isola attraversava, dall'economia del feudo e rurale all'economia industriale e collegata con le grandi correnti di traffico europeo e mediterraneo. Ma egli era anche animato, oltre che da un virile coraggio, anche da infinita speranza, che scaturiva dalla sua profonda bontà d'animo: speranza nel futuro dell'Italia e della Sicilia migliori, per le quali il sacrificio della sua vita, fervida, integra ed operosa non è stato vano. Ancora una volta così la violenza omicida della delinquenza organizzata ha colpito uno degli uomini migliori, uno dei figli più degni della terra di Sicilia.

Note

  1. Lodato, p. 23
  2. Lodato, p.25
  3. www.associazionemagistrati.it/doc/423/in-ricordo-di-cesare-terranova.htm
  4. Ecco chi uccise Terranova. Corriere della sera. Archivio storico. 4 giugno 1997.

Bibliografia

  • Camera dei Deputati, Archivio Storico
  • Lodato, Saverio. Quarant'anni di mafia, Milano, Bur, 2013