Gianfranco Trezzi


Gianfranco Trezzi (N.D. - Vigevano, 10 dicembre 1988) è stato un imprenditore italiano, vittima innocente di mafia.

Biografia

Titolare di una piccola impresa a conduzione familiare nel campo dell'acciaio, Trezzi abitava in via Amalfi 23, nella periferia di Milano, e ogni mattina usciva alle 7:00 di casa per raggiungere la sua azienda in via dell'Industria a Vimodrone, nella quale oltre ai figli lavoravano una decina di dipendenti. L'azienda aveva un fatturato annuo di 7-8 miliardi di lire.

Il sequestro

La mattina del 19 settembre 1988 tuttavia Trezzi non si presentò al lavoro. Non vedendolo arrivare, gli impiegati, preoccupati, chiamarono la moglie Mercedes e i figli Massimo, Paolo e Cristina, per avere notizie. Avendolo visto uscire come al solito, telefonarono in Questura per sapere se vi fossero notizie di Trezzi, avendo ricevuto risposta negativa si recarono a fare la denuncia di scomparsa. Nel frattempo, a mezzogiorno gli impiegati ritrovarono la sua auto, una Golf bianca: le portiere erano ancora aperte e le chiavi nel cruscotto.

Le indagini

Pochi giorni dopo arrivò alla famiglia Trezzi una lettera, cui era allegata una foto di Gianfranco con in mano il giornale del 22 settembre, dove si chiedeva per la liberazione dell’uomo un riscatto di cinque miliardi di lire. La famiglia affidò a un legale la trattativa, ma il 26 ottobre ci fu una svolta improvvisa nelle indagini coordinate dal sostituto procuratore Salvatore Cappelleri.

In una zona deserta tra la pista di Linate e l'Idroscalo, i Carabinieri scorsero nella nebbia tre auto: una Bmw, una Opel e una Golf, ferme accanto a una moto, sotto alla quale vi era un uomo col cranio sfondato da una mazza e un proiettile nello stomaco. La vittima, riconosciuta successivamente, era Valerio Affaitato, 35 anni, pregiudicato, già complice di Rodolfo Crovace Mammarosa, il fascista sanbabilino diventato rapinatore, e nel mirino degli inquirenti perché notato qualche giorno prima del sequestro intorno a casa Trezzi.

Quando i militari si avvicinano, le tre auto ripartirono sgommando, i Carabinieri aprirono il fuoco e si gettarono all'inseguimento. La BMW riuscì a sfuggire, mentre la Opel venne ritrovata in fiamme e la Golf con le gomme bucate. Non lontano dal cadavere di Affaitato, un'altra auto abbandonata.

Seguendo la pista della quarta auto gli inquirenti arrivarono all'insospettabile e ricco orefice Bruno Mario D'Alessandri, il quale, temendo per la propria vita, decise di collaborare con la giustizia, rivelando i retroscena del sequestro Terzi. Insieme ad Affaitato era stato ucciso anche l'altro membro della banda, Rodolfo Valentino, poiché avevano preteso una fetta maggiore del riscatto.

Gli altri membri della banda erano Pasquale Bergamaschi, 49 anni, titolare di una piccola azienda di impianti idraulici, la Crim, Amico e vicino di casa di Trezzi, che fece da basista; Antonio Sbordone, calabrese di Palmi, già accusato di estorsione a Brescia e sotto inchiesta a Novara per attentati contro caserme dei carabinieri; Michele Sidoti, autotrasportatore di 32 anni; infine, Giuseppe Pino Sanzone, affiliato alla NCO di Raffaele Cutolo[1] notissimo nella Milano nera per essere stato il gorilla di Michele Argento, ed essere evaso nel '76 dal carcere di Favignana a bordo di un motoscafo, all'epoca dei fatti con oltre 40 centimetri di note caratteristiche nel terminale del Viminale.

L'idea dei sequestratori era quella di incassare il riscatto di 5 miliardi e poi di rivendere l'ostaggio alla 'ndrangheta. Tuttavia, Trezzi fu ucciso da Sanzone con un colpo di pistola alla testa nella villa «Tana del Lupo» dell'imprenditore Renato Danny, il quale pensava di risolvere i propri problemi economici prestandola alla banda per il sequestro. Probabilmente aveva riconosciuto Pasquale Bergamaschi e Antonio Sbordone, suoi amici che incontrava spesso al bar.

Trezzi fu ritrovato in un sacchetto di plastica in 73 frammenti ossei in avanzato stato di decomposizione, cosa che non permise mai il riconoscimento da parte dei familiari. L'imprenditore era infatti stato fatto a pezzi, sciolto nell'acido e quel che rimaneva chiuso nel sacchetto ritrovato dai carabinieri e sepolto tra le fitte radici di un grande albero. Sicuri che quel fagotto nascosto in una vasta tenuta sulle rive del Ticino non sarebbe mai stato scoperto, i componenti della banda continuarono a chiedere soldi alla famiglia anche quando Trezzi era già stato ucciso.

Processi

Il 22 dicembre 1990 Sanzone, Sbordone e Danny furono condannati all'ergastolo, mentre Bergamaschi a 30 anni. D'Alessandri a 18, per aver collaborato con la giustizia[2].

Note

  1. citato in Luca Fazzo, Uccisero l'imprenditore Trezzi, tre condannati all'ergastolo, la Repubblica, 23 dicembre 1990
  2. Ibidem

Bibliografia

  • Archivio Storico de La Stampa
  • Archivio Storico de La Repubblica