Giorgio Ambrosoli: differenze tra le versioni

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<center>''È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.''<ref>Stajano C., Un eroe borghese, il Saggiatore, 2016 p.100</ref>  </center>
                             
<center>('''Giorgio Ambrosoli''')</center>
'''Giorgio Ambrosoli''' (Milano, 17 ottobre 1933 – Milano, 11 luglio 1979) è stato un avvocato italiano. Fu assassinato da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano [[Michele Sindona]], sulle cui attività Ambrosoli stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.
'''Giorgio Ambrosoli''' (Milano, 17 ottobre 1933 – Milano, 11 luglio 1979) è stato un avvocato italiano. Fu assassinato da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano [[Michele Sindona]], sulle cui attività Ambrosoli stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.


[[File:Giorgio Ambrosoli.jpg|400px|thumb|right|Giorgio Ambrosoli]]
[[File:Giorgio Ambrosoli.jpg|400px|thumb|right|Giorgio Ambrosoli]]


== Biografia ==
Giorgio Ambrosoli nacque il 17 ottobre del 1933 a Milano, in via Paolo Giovio, figlio primogenito di Omero Riccardo Ambrosoli, avvocato, e Piera Agostoni. Frequentò le scuole elementari in via Crocefisso fino al 1943, anno in cui a causa dei bombardamenti la famiglia fu sfollata a Ronco di Ghiffia, sul Lago Maggiore. Qui Ambrosoli frequentò la scuola elementare e media mentre le scuole superiori al Liceo Classico Manzoni a Milano. Non fu uno studente modello e dovette ripetere l’anno della maturità. Nell’anno accademico 1952-53 Giorgio s’iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e negli stessi anni s’impegnò attivamente nell’Unione monarchica Italiana, partito politico italiano volto a instaurare in Italia la monarchia costituzionale. Qui conobbe la sua futura moglie Anna Lorenza Goria, che sposò nel 1962 nella chiesa di San Babila e con la quale ebbe tre figli: Francesca, Filippo e Umberto.
Nel 1958 si laureò con una tesi in Diritto Costituzionale dal titolo “il Consiglio Superiore della Magistratura”.
Iniziò così la pratica forense, diventando procuratore ed esercitando la professione legale nello studio dell’avvocato Cetti Serbelloni.
Nel 1964 Ambrosoli ebbe l’occasione di specializzarsi nel settore del diritto societario e fallimentare, essendo stato chiamato a collaborare con i commissari liquidatori della Società Finanziaria Italiana. Tale collaborazione durò diversi anni, durante i quali Giorgio maturò qualità professionali ma anche umane, tra cui un profondo senso di giustizia.
=== La nomina a commissario liquidatore della Banca Privata Italiana e l’inizio della vicissitudine ===
Nel 1974, dieci anni dopo la vicenda SFI, Ambrosoli fu nominato unico commissario liquidatore della Banca Privata Italiana (di proprietà di Michele Sindona) dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli. <ref> Decreto del ministro del Tesoro del 27 settembre 1974 </ref>
Per Giorgio Ambrosoli iniziarono le vicissitudini che lo portarono alla morte.
La Banca Privata Italiana e  Michele Sindona.
Michele Sindona nacque a Patti, paese in provincia di Messina, nel 1920, figlio di un operatore del consorzio agrario. Dall’età di quattordici anni iniziò a lavorare per mantenersi agli studi, svolgendo lavori tra cui dattilografo, aiuto  contabile e impiegato.
Nel 1942 si laureò in Giurisprudenza all’Università di Messina.
Nel 1946 si trasferì a Milano, dove iniziò l’attività di procuratore prima e quella di avvocato e consulente nel settore fiscale poi. Nel corso degli anni ’50 la sua fama divenne nazionale e all’inizio degli anni ‘60 dalla professione di avvocato si spostò in prima battuta nell’ambito finanziario e in seguito diventò banchiere. 
Nell’ottobre del 1961 era già socio di maggioranza nella Banca Privata Finanziaria, la cui effettiva proprietaria era la società Fasco Italiana di Michele Sindona.
Nel 1964 con Carlo Bordoni, famoso broker, fondò una società di brokeraggio l’Euro-Market Money Brokers.
Nel 1968 Sindona diventò proprietario della maggioranza (51%) della Banca Unione, attraverso la società Comarsec, mentre il 16% era posseduto dallo Ior, Istituto per le Opere di Religione e cioè la Banca Vaticana (che fu un partner fondamentale per Sindona).  Inoltre Michele Sindona possedeva la Banca di Messina e la Finabank di Ginevra.
Alla fine degli anni Sessanta il volume degli affari di Sindona superò i 40 milioni di dollari annuali, egli divenne proprietario di una serie di società italiane e statunitensi e più di un migliaio furono le banche-clienti, tra cui spiccava il Banco di Roma.
Nei primi anni Settanta l’opinione pubblica vedette in Sindona un personaggio di spicco dell’alta finanza e uno dei più geniali uomini d’affari del mondo. Giulio Andreotti lo definì addirittura “il salvatore della lira”. 
Il grande progetto sindoniano iniziò nel 1971. 
Egli mirava al controllo delle società finanziarie Bastogi e Centrale e alla loro fusione e inoltre al controllo della Banca Nazionale dell’Agricoltura: mirò cioè a creare un polo alternativo rispetto a Mediobanca di Enrico Cuccia, uno degli Istituti di Credito più importanti del paese. 
Il 5 agosto del 1971 Sindona acquisì il controllo della Centrale, ma il governatore Carli bloccò il controllo sia della Bastogi sia della Banca Nazionale dell’Agricoltura e il 31 agosto ordinò un'ispezione della Banca d’Italia alla Banca Unione, mentre il 20 settembre alla Banca Privata Finanziaria. Le ispezioni si chiusero rispettivamente il 7 febbraio e il 24 marzo, riscontrando gravi irregolarità e un'illecita costituzione di contabilità riservata. Per Banca Unione si chiese lo scioglimento degli organi amministrativi per gravi irregolarità. Nonostante l’esito delle ispezioni, la Banca d’Italia fu cauta e il governatore Carli si limitò a segnalare le irregolarità riscontrate senza procedere alla liquidazione coatta e allo scioglimento degli organi amministrativi.
Nel frattempo Sindona si trasferì negli Stati Uniti, dove nel luglio del 1972 acquistò la Franklin National Bank, la ventesima banca americana.
Sul fronte italiano invece, a seguito dell’opposizione di Carli, Sindona tentò di riorganizzare in un’unica società, la finanziaria Finambro, le partecipazioni italiane. Per fare questo fu necessaria la autorizzazione di un aumento di capitale di 160 miliardi di lire, autorizzazione che venne negata dal nuovo ministro del Tesoro Ugo La Malfa.
Nel 1973 Sindona avviò una nuova operazione: la fusione tra la Banca Privata Finanziaria e la Banca Unione.
Nell’estate del 1974 le vicende si susseguirono velocemente.
Dal 10 luglio in avanti uomini del Banco di Roma acquistarono il pacchetto di maggioranza della Banca d’Unione attraverso due prestiti di 100 milioni di dollari, autorizzati dalla Banca d’Italia. Il Banco di Roma fu considerato il braccio operativo della Banca d’Italia.
Il 29 luglio del 1974 la Banca d’Italia diede l’autorizzazione per l’incorporazione e il primo agosto nacque la nuova banca sindoniana, la Banca Privata Italiana, ma il suo patrimonio era inesistente. La banca nacque già sull’orlo della liquidazione coatta.  Gli ispettori di vigilanza della Banca d’Italia scrissero nei loro rapporti che il patrimonio delle banche era interamente assorbito dalle perdite ed erano presenti numerose irregolarità amministrative. Solo il 24 settembre la Banca Privata italiana fu messa in liquidazione coatta. 
L’8 ottobre del 1974 anche la Franklin National Bank fu dichiarata fallita. Da un punto di vista giuridico ed economico il meccanismo utilizzato da Sindona fu il seguente:
in primo luogo egli si servì del deposito bancario di denaro, facendo apparire sotto forma di deposito in valuta straniera somme di denaro, che in realtà non erano liquide ma immobilizzate presso banche estere del gruppo sindoniano. <ref> Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso  Sindona e sulle responsabilità politiche e amministrative a essa eventualmente connesse, VIII legislatura, Doc. XXIII, n. 2-sexies, 24 marzo 1982,  Relazione conclusiva Azzaro Giuseppe </ref>
In secondo luogo utilizzò il classico espediente delle cosiddette “scatole cinesi”, attraverso il quale venivano controllate più società investendo capitale minore rispetto al valore reale delle società controllanti.
La figura ivi riportata mostra la fitta rete di Sindona.
=== Il commissario liquidatore ===
Giorgio Ambrosoli assunse l’incarico di unico commissario liquidatore della Banca Privata Italiana nel settembre del 1974. Egli aveva il compito di accertare lo stato d' insolvenza, lo stato passivo e il piano di riparto tra i creditori. Nel fare ciò fu aiutato da una squadra di polizia tributaria della Guardia di Finanza, e in particolare dal maresciallo Silvio Novembre con il quale intrattenne non soltanto un rapporto di natura professionale ma anche una vera e profonda amicizia. Il processo fu invece affidato al giudice istruttore Ovilio Urbisci e al pubblico ministero Guido Viola.
In ottobre Ambrosoli accertò che le perdite erano di 207 miliardi, dichiarò lo stato d’insolvenza e l’avvio dell’azione penale. Cinque mesi dopo, il 25 febbraio del 1975 Ambrosoli era pronto per il deposito dello stato passivo della Bpi: 531 miliardi, di cui 417 al passivo e 281 all’attivo tra crediti, immobili, partecipazioni azionarie. Escluse dal rimborso lo Ior e tutte le banche e società direttamente o indirettamente legate al gruppo Sindona.
Nell’ottobre del 1975 Ambrosoli ricevette una comunicazione dalla Finanbank di Ginevra: erano in deposito nella banca numerose azioni della Fasco. Il deposito era intestato alla Banca Privata Finanziaria. Il 10 ottobre Ambrosoli andò a Ginevra ed essendo commissario liquidatore (incarico che lo legittima a operare) indisse come azionista di maggioranza un’assemblea straordinaria della società, facendo cadere i vecchi amministratori e nominandone di nuovi. Ambrosoli era il nuovo presidente della Fasco.
Da questo momento in poi Giorgio venne a conoscenza del meccanismo delle scatole cinesi, e delle 300 società matrioske.
La risposta di Sindona non si fece attendere, e il 5 gennaio del 1976 denunciò Ambrosoli di essersi impossessato indebitamente delle azioni Fasco. Denuncia archiviata il 15 giugno dello stesso anno.
Dal 1976 in avanti il caso Sindona destò l’interesse di persone di ogni strato sociale e posizione, tra cui l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il famoso capo della Loggia massonica p2, Licio Gelli. Le più alte personalità politiche e inserite nel mondo della finanza appoggiarono Sindona e il suo piano di salvataggio della banca per addossare alla collettività le perdite.
Tra la fine dell’estate del 1976 e l’inizio di autunno Sindona partì al contrattacco, scomodando le già citate personalità politiche insieme ad un gruppo di personaggi del mondo finanziario e della comunità italoamericana per contrastare l’estradizione voluta dai giudici. Attraverso una decina di “affidavit”, vale a dire di dichiarazioni giurate, essi sostennero la tesi della persecuzione politica a danno del banchiere anticomunista Sindona. L’ambiente in cui si muove Sindona era un intreccio tra affari e politica, tra massoneria, servizi segreti, alti prelati e mafiosi.
In questo clima la liquidazione della BPI andò avanti con gravi difficoltà.
Dal 1977 l’offensiva contro Ambrosoli crebbe di intensità, proprio nel periodo in cui egli stava lavorando alla seconda relazione nella quale doveva indicare le ragioni del fallimento della Banca che consegnò all’autorità giudiziaria l’8 maggio 1978.
Nel frattempo la Corte di Appello di Milano dichiarò lo stato d'insolvenza della BPI e la Corte di Cassazione respinse un’istanza di sospensione del processo penale, avanzata da Sindona.
    Nel 1978 l’avvocato di Sindona scrisse sulla sua agenda “Sbarrare strada ad Ambrosoli.”
Il 10 dicembre Ambrosoli fu a New York, per collaborare con i giudici americani, che nel frattempo stavano cercando prove per l’istruzione del processo sul dissesto della Franklin National Bank.
Fra il settembre e l’ottobre del 1978 Sindona, conscio di non essere riuscito a salvare il suo impero e preoccupato dall’atteggiamento rigoroso di Ambrosoli decidette di chiedere aiuto alla mafia italoamericana.
=== Le minacce ===
Alla fine di dicembre cominciarono le numerose telefonate minatorie da parte della mafia italoamericana attraverso colui che Ambrosoli stesso definì un “picciotto” siciliano. Otto telefonate iniziate il 28 dicembre del 1978.
Sindona aveva deciso la morte del suo avversario.
L’ultima telefonata fu una minaccia di morte chiara e avvenne il 12 gennaio del 1978 a mezzogiorno. Questo il contenuto della telefonata finale:
Picciotto: Pronto, avvocato
Giorgio Ambrosoli: Buongiorno
P: Buon giorno. L’altro giorno ha voluto fare il furbo, ha fatto registrare tutta la telefonata!
G.A.: chi glielo ha detto?
P: eh, sono fatti miei chi me l'ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più.
G.A. : ah non mi salva più.
P: Non la salvo più, perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto! Lei è un cornuto e bastardo!   
Ambrosoli non ricevette più altre telefonate da parte di quell’uomo siciliano, che parlava per conto del “grande capo”. “Sindona?” chiese Ambrosoli durante una conversazione “No, Giulio Andreotti” rispose il siciliano. <ref> Registrazione di alcune telefonate: https://www.youtube.com/watch?v=EDhNvAQ9Dbk </ref>
Il 13 giugno un commesso della BPI sul coperchio di un bidone della spazzatura trovò i pezzi di una pistola segata, una 7,65. Tipico messaggio mafioso con l’univoco significato: ti faremo a pezzi come quella pistola.
Sindona stava cercando di mettere fuori gioco Ambrosoli proprio prima dell’arrivo dei giudici americani a Milano.
=== L’omicidio ===
La mattina dell’8 luglio 1979 i giudici americani arrivarono a Milano per la rogatoria di fronte al giudice istruttore Giovanni Galati. Nel suo studio s'incontrarono i giudici americani e magistrati italiani insieme agli avvocati di Sindona e Giorgio Ambrosoli.
La seconda udienza si tenne la mattina del 10 luglio, mentre la terza mercoledì 11 luglio 1979.
La rogatoria era terminata, manca solo la firma. Il processo della Franklin National Bank era avviato e la procedura di estradizione era ormai sulla buona strada. ( estradizione chiesta il 24 febbraio del 1975 e concessa solamente il 25 marzo del 1980.) 
L’omicidio di Ambrosoli avvenne la notte dell’11 luglio 1979.
William J.Arico, assoldato da Sindona nell’autunno del 1978 per togliere la vita ad Ambrosoli, atterrò a Milano l’8 luglio 1979. Si recò all’Hotel Splendido sotto falso nome: Robert McGovern.
La mattina dell’11 luglio noleggiò una Fiat rossa 127, targata Roma T42711.
La sera dell’11 luglio Ambrosoli, dopo una serata trascorsa con vecchi amici, era sull’uscio di casa. Venne avvicinato da Arico, sceso dalla Fiat rossa, il quale gli chiese in italiano: “Il signor Ambrosoli?” e Giorgio: “Sì”. E di nuovo Arico: “Mi scusi signor Ambrosoli” e gli sparò tre colpi al petto con una Magnum 357. <ref> Deposizione di Arico W, sentenza-ordinanza di G.Turone, processo a carico di Michele Sindona e altri, 17 luglio 1984 </ref>
La vita di Ambrosoli cessò così, sul passo carraio di casa sua.
William Arico ripartì la mattina dopo per gli Stati Uniti.
Il funerale di Giorgio Ambrosoli si celebrò il 14 luglio 1979 nella chiesa di San Vittore a Milano. Nessuna autorità di governo era presente. Presenti invece il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e numerosi magistrati milanesi.
===La condanna di Sindona e la sua morte===
Il 3 agosto del 1979 Sindona scomparve da New York improvvisamente. Si ritenne che fosse stato rapito da terroristi di estrema sinistra che avevano come scopo quello di raccogliere informazioni sulle operazioni finanziarie illecite, sul suo rapporto con uomini politici e sull’omicidio Ambrosoli. Sindona ricomparve a New York il 16 ottobre , dove venne immediatamente arrestato per il fallimento della Franklin. Lo stesso banchiere confessò che egli aveva lasciato volontariamente gli Stati Uniti ed era giunto in Sicilia, simulando il proprio rapimento con l’aiuto di esponenti mafiosi italoamericani e siciliani.
Sindona così facendo sperava di distrarre l‘opinione pubblica dai delitti a lui attribuiti e passare da carnefice a vittima. Inoltre cercava indirettamente di minacciare uomini politici ed esponenti del mondo finanziario, rivelando informazioni e documenti.
E proprio in occasione delle indagini sul finto rapimento di Sindona i magistrati Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono le liste P2 e i membri della loggia massonica, di cui anche Sindona faceva parte.
Alla fine del 1980 Sindona fu condannato a 25 anni di reclusione per il fallimento della Frankiln National Bank.
Gli Stati Uniti concedettero l’estradizione di Sindona in Italia sia per il fallimento della BPI sia per l’omicidio Ambrosoli.
Nei primi mesi del 1985 Sindona fu processato e condannato per i reati di bancarotta fraudolenta: 15 anni di reclusione.
Il 4 giugno del 1985 iniziò il dibattimento per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, che si concluse con la condanna dell’esecutore materiale e di Sindona alla pena dell’ergastolo il 18 marzo del 1986.
Solo tre giorni dopo la sentenza, Michele Sindona morì nel carcere di Voghera a causa di un caffè avvelenato con il cianuro di potassio. Le successive indagini appurarono che si trattò di un suicidio.
== Per saperne di più ==
===Libri===
*Corrado Stajano, Un eroe borghese, Milano, il Saggiatore, 2016
*Umberto Ambrosoli, Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009
===Cinema===
*Un eroe borghese di Michele Placido, 1995.
===Televisione===
* Qualunque cosa succeda. Giorgio Ambrosoli, una storia vera di Alberto Nergrin, 2014.
== Bibliografia ==
* Ambrosoli U., Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009 
* Stajano C., Un eroe borghese, Milano, il Saggiatore, 2016. 
* [http://www.senato.it/ric/lista.do?tipo=RelazioniCommissioniInchiesta&comm=COM4X137&leg=08&alias=comm_08_4_137_relcomminc&element_id=tree_menu_08_4_137&versione=xm Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche e amministrative a essa eventualmente connesse], VIII legislatura, Roma, 
==Note==
<references></references>
[[Categoria:Vittime di Cosa Nostra]] [[Categoria:Avvocati]]
[[Categoria:Vittime di Cosa Nostra]] [[Categoria:Avvocati]]

Versione delle 17:16, 6 mar 2017


È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.[1]
(Giorgio Ambrosoli)

Giorgio Ambrosoli (Milano, 17 ottobre 1933 – Milano, 11 luglio 1979) è stato un avvocato italiano. Fu assassinato da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività Ambrosoli stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.

Giorgio Ambrosoli


Biografia

Giorgio Ambrosoli nacque il 17 ottobre del 1933 a Milano, in via Paolo Giovio, figlio primogenito di Omero Riccardo Ambrosoli, avvocato, e Piera Agostoni. Frequentò le scuole elementari in via Crocefisso fino al 1943, anno in cui a causa dei bombardamenti la famiglia fu sfollata a Ronco di Ghiffia, sul Lago Maggiore. Qui Ambrosoli frequentò la scuola elementare e media mentre le scuole superiori al Liceo Classico Manzoni a Milano. Non fu uno studente modello e dovette ripetere l’anno della maturità. Nell’anno accademico 1952-53 Giorgio s’iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e negli stessi anni s’impegnò attivamente nell’Unione monarchica Italiana, partito politico italiano volto a instaurare in Italia la monarchia costituzionale. Qui conobbe la sua futura moglie Anna Lorenza Goria, che sposò nel 1962 nella chiesa di San Babila e con la quale ebbe tre figli: Francesca, Filippo e Umberto. Nel 1958 si laureò con una tesi in Diritto Costituzionale dal titolo “il Consiglio Superiore della Magistratura”. Iniziò così la pratica forense, diventando procuratore ed esercitando la professione legale nello studio dell’avvocato Cetti Serbelloni. Nel 1964 Ambrosoli ebbe l’occasione di specializzarsi nel settore del diritto societario e fallimentare, essendo stato chiamato a collaborare con i commissari liquidatori della Società Finanziaria Italiana. Tale collaborazione durò diversi anni, durante i quali Giorgio maturò qualità professionali ma anche umane, tra cui un profondo senso di giustizia.

La nomina a commissario liquidatore della Banca Privata Italiana e l’inizio della vicissitudine

Nel 1974, dieci anni dopo la vicenda SFI, Ambrosoli fu nominato unico commissario liquidatore della Banca Privata Italiana (di proprietà di Michele Sindona) dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli. [2] Per Giorgio Ambrosoli iniziarono le vicissitudini che lo portarono alla morte. La Banca Privata Italiana e Michele Sindona.

Michele Sindona nacque a Patti, paese in provincia di Messina, nel 1920, figlio di un operatore del consorzio agrario. Dall’età di quattordici anni iniziò a lavorare per mantenersi agli studi, svolgendo lavori tra cui dattilografo, aiuto contabile e impiegato. Nel 1942 si laureò in Giurisprudenza all’Università di Messina. Nel 1946 si trasferì a Milano, dove iniziò l’attività di procuratore prima e quella di avvocato e consulente nel settore fiscale poi. Nel corso degli anni ’50 la sua fama divenne nazionale e all’inizio degli anni ‘60 dalla professione di avvocato si spostò in prima battuta nell’ambito finanziario e in seguito diventò banchiere. Nell’ottobre del 1961 era già socio di maggioranza nella Banca Privata Finanziaria, la cui effettiva proprietaria era la società Fasco Italiana di Michele Sindona. Nel 1964 con Carlo Bordoni, famoso broker, fondò una società di brokeraggio l’Euro-Market Money Brokers.

Nel 1968 Sindona diventò proprietario della maggioranza (51%) della Banca Unione, attraverso la società Comarsec, mentre il 16% era posseduto dallo Ior, Istituto per le Opere di Religione e cioè la Banca Vaticana (che fu un partner fondamentale per Sindona).  Inoltre Michele Sindona possedeva la Banca di Messina e la Finabank di Ginevra.

Alla fine degli anni Sessanta il volume degli affari di Sindona superò i 40 milioni di dollari annuali, egli divenne proprietario di una serie di società italiane e statunitensi e più di un migliaio furono le banche-clienti, tra cui spiccava il Banco di Roma. Nei primi anni Settanta l’opinione pubblica vedette in Sindona un personaggio di spicco dell’alta finanza e uno dei più geniali uomini d’affari del mondo. Giulio Andreotti lo definì addirittura “il salvatore della lira”. Il grande progetto sindoniano iniziò nel 1971. Egli mirava al controllo delle società finanziarie Bastogi e Centrale e alla loro fusione e inoltre al controllo della Banca Nazionale dell’Agricoltura: mirò cioè a creare un polo alternativo rispetto a Mediobanca di Enrico Cuccia, uno degli Istituti di Credito più importanti del paese. Il 5 agosto del 1971 Sindona acquisì il controllo della Centrale, ma il governatore Carli bloccò il controllo sia della Bastogi sia della Banca Nazionale dell’Agricoltura e il 31 agosto ordinò un'ispezione della Banca d’Italia alla Banca Unione, mentre il 20 settembre alla Banca Privata Finanziaria. Le ispezioni si chiusero rispettivamente il 7 febbraio e il 24 marzo, riscontrando gravi irregolarità e un'illecita costituzione di contabilità riservata. Per Banca Unione si chiese lo scioglimento degli organi amministrativi per gravi irregolarità. Nonostante l’esito delle ispezioni, la Banca d’Italia fu cauta e il governatore Carli si limitò a segnalare le irregolarità riscontrate senza procedere alla liquidazione coatta e allo scioglimento degli organi amministrativi. Nel frattempo Sindona si trasferì negli Stati Uniti, dove nel luglio del 1972 acquistò la Franklin National Bank, la ventesima banca americana. Sul fronte italiano invece, a seguito dell’opposizione di Carli, Sindona tentò di riorganizzare in un’unica società, la finanziaria Finambro, le partecipazioni italiane. Per fare questo fu necessaria la autorizzazione di un aumento di capitale di 160 miliardi di lire, autorizzazione che venne negata dal nuovo ministro del Tesoro Ugo La Malfa. Nel 1973 Sindona avviò una nuova operazione: la fusione tra la Banca Privata Finanziaria e la Banca Unione. Nell’estate del 1974 le vicende si susseguirono velocemente. Dal 10 luglio in avanti uomini del Banco di Roma acquistarono il pacchetto di maggioranza della Banca d’Unione attraverso due prestiti di 100 milioni di dollari, autorizzati dalla Banca d’Italia. Il Banco di Roma fu considerato il braccio operativo della Banca d’Italia. Il 29 luglio del 1974 la Banca d’Italia diede l’autorizzazione per l’incorporazione e il primo agosto nacque la nuova banca sindoniana, la Banca Privata Italiana, ma il suo patrimonio era inesistente. La banca nacque già sull’orlo della liquidazione coatta. Gli ispettori di vigilanza della Banca d’Italia scrissero nei loro rapporti che il patrimonio delle banche era interamente assorbito dalle perdite ed erano presenti numerose irregolarità amministrative. Solo il 24 settembre la Banca Privata italiana fu messa in liquidazione coatta. L’8 ottobre del 1974 anche la Franklin National Bank fu dichiarata fallita. Da un punto di vista giuridico ed economico il meccanismo utilizzato da Sindona fu il seguente: in primo luogo egli si servì del deposito bancario di denaro, facendo apparire sotto forma di deposito in valuta straniera somme di denaro, che in realtà non erano liquide ma immobilizzate presso banche estere del gruppo sindoniano. [3] In secondo luogo utilizzò il classico espediente delle cosiddette “scatole cinesi”, attraverso il quale venivano controllate più società investendo capitale minore rispetto al valore reale delle società controllanti. La figura ivi riportata mostra la fitta rete di Sindona.

Il commissario liquidatore

Giorgio Ambrosoli assunse l’incarico di unico commissario liquidatore della Banca Privata Italiana nel settembre del 1974. Egli aveva il compito di accertare lo stato d' insolvenza, lo stato passivo e il piano di riparto tra i creditori. Nel fare ciò fu aiutato da una squadra di polizia tributaria della Guardia di Finanza, e in particolare dal maresciallo Silvio Novembre con il quale intrattenne non soltanto un rapporto di natura professionale ma anche una vera e profonda amicizia. Il processo fu invece affidato al giudice istruttore Ovilio Urbisci e al pubblico ministero Guido Viola. In ottobre Ambrosoli accertò che le perdite erano di 207 miliardi, dichiarò lo stato d’insolvenza e l’avvio dell’azione penale. Cinque mesi dopo, il 25 febbraio del 1975 Ambrosoli era pronto per il deposito dello stato passivo della Bpi: 531 miliardi, di cui 417 al passivo e 281 all’attivo tra crediti, immobili, partecipazioni azionarie. Escluse dal rimborso lo Ior e tutte le banche e società direttamente o indirettamente legate al gruppo Sindona. Nell’ottobre del 1975 Ambrosoli ricevette una comunicazione dalla Finanbank di Ginevra: erano in deposito nella banca numerose azioni della Fasco. Il deposito era intestato alla Banca Privata Finanziaria. Il 10 ottobre Ambrosoli andò a Ginevra ed essendo commissario liquidatore (incarico che lo legittima a operare) indisse come azionista di maggioranza un’assemblea straordinaria della società, facendo cadere i vecchi amministratori e nominandone di nuovi. Ambrosoli era il nuovo presidente della Fasco. Da questo momento in poi Giorgio venne a conoscenza del meccanismo delle scatole cinesi, e delle 300 società matrioske. La risposta di Sindona non si fece attendere, e il 5 gennaio del 1976 denunciò Ambrosoli di essersi impossessato indebitamente delle azioni Fasco. Denuncia archiviata il 15 giugno dello stesso anno. Dal 1976 in avanti il caso Sindona destò l’interesse di persone di ogni strato sociale e posizione, tra cui l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il famoso capo della Loggia massonica p2, Licio Gelli. Le più alte personalità politiche e inserite nel mondo della finanza appoggiarono Sindona e il suo piano di salvataggio della banca per addossare alla collettività le perdite. Tra la fine dell’estate del 1976 e l’inizio di autunno Sindona partì al contrattacco, scomodando le già citate personalità politiche insieme ad un gruppo di personaggi del mondo finanziario e della comunità italoamericana per contrastare l’estradizione voluta dai giudici. Attraverso una decina di “affidavit”, vale a dire di dichiarazioni giurate, essi sostennero la tesi della persecuzione politica a danno del banchiere anticomunista Sindona. L’ambiente in cui si muove Sindona era un intreccio tra affari e politica, tra massoneria, servizi segreti, alti prelati e mafiosi. In questo clima la liquidazione della BPI andò avanti con gravi difficoltà. Dal 1977 l’offensiva contro Ambrosoli crebbe di intensità, proprio nel periodo in cui egli stava lavorando alla seconda relazione nella quale doveva indicare le ragioni del fallimento della Banca che consegnò all’autorità giudiziaria l’8 maggio 1978. Nel frattempo la Corte di Appello di Milano dichiarò lo stato d'insolvenza della BPI e la Corte di Cassazione respinse un’istanza di sospensione del processo penale, avanzata da Sindona.

    Nel 1978 l’avvocato di Sindona scrisse sulla sua agenda “Sbarrare strada ad Ambrosoli.”

Il 10 dicembre Ambrosoli fu a New York, per collaborare con i giudici americani, che nel frattempo stavano cercando prove per l’istruzione del processo sul dissesto della Franklin National Bank. Fra il settembre e l’ottobre del 1978 Sindona, conscio di non essere riuscito a salvare il suo impero e preoccupato dall’atteggiamento rigoroso di Ambrosoli decidette di chiedere aiuto alla mafia italoamericana.

Le minacce

Alla fine di dicembre cominciarono le numerose telefonate minatorie da parte della mafia italoamericana attraverso colui che Ambrosoli stesso definì un “picciotto” siciliano. Otto telefonate iniziate il 28 dicembre del 1978. Sindona aveva deciso la morte del suo avversario. L’ultima telefonata fu una minaccia di morte chiara e avvenne il 12 gennaio del 1978 a mezzogiorno. Questo il contenuto della telefonata finale: Picciotto: Pronto, avvocato Giorgio Ambrosoli: Buongiorno P: Buon giorno. L’altro giorno ha voluto fare il furbo, ha fatto registrare tutta la telefonata! G.A.: chi glielo ha detto? P: eh, sono fatti miei chi me l'ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più. G.A. : ah non mi salva più. P: Non la salvo più, perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto! Lei è un cornuto e bastardo! Ambrosoli non ricevette più altre telefonate da parte di quell’uomo siciliano, che parlava per conto del “grande capo”. “Sindona?” chiese Ambrosoli durante una conversazione “No, Giulio Andreotti” rispose il siciliano. [4] Il 13 giugno un commesso della BPI sul coperchio di un bidone della spazzatura trovò i pezzi di una pistola segata, una 7,65. Tipico messaggio mafioso con l’univoco significato: ti faremo a pezzi come quella pistola. Sindona stava cercando di mettere fuori gioco Ambrosoli proprio prima dell’arrivo dei giudici americani a Milano.

L’omicidio

La mattina dell’8 luglio 1979 i giudici americani arrivarono a Milano per la rogatoria di fronte al giudice istruttore Giovanni Galati. Nel suo studio s'incontrarono i giudici americani e magistrati italiani insieme agli avvocati di Sindona e Giorgio Ambrosoli. La seconda udienza si tenne la mattina del 10 luglio, mentre la terza mercoledì 11 luglio 1979. La rogatoria era terminata, manca solo la firma. Il processo della Franklin National Bank era avviato e la procedura di estradizione era ormai sulla buona strada. ( estradizione chiesta il 24 febbraio del 1975 e concessa solamente il 25 marzo del 1980.) L’omicidio di Ambrosoli avvenne la notte dell’11 luglio 1979. William J.Arico, assoldato da Sindona nell’autunno del 1978 per togliere la vita ad Ambrosoli, atterrò a Milano l’8 luglio 1979. Si recò all’Hotel Splendido sotto falso nome: Robert McGovern. La mattina dell’11 luglio noleggiò una Fiat rossa 127, targata Roma T42711. La sera dell’11 luglio Ambrosoli, dopo una serata trascorsa con vecchi amici, era sull’uscio di casa. Venne avvicinato da Arico, sceso dalla Fiat rossa, il quale gli chiese in italiano: “Il signor Ambrosoli?” e Giorgio: “Sì”. E di nuovo Arico: “Mi scusi signor Ambrosoli” e gli sparò tre colpi al petto con una Magnum 357. [5] La vita di Ambrosoli cessò così, sul passo carraio di casa sua. William Arico ripartì la mattina dopo per gli Stati Uniti. Il funerale di Giorgio Ambrosoli si celebrò il 14 luglio 1979 nella chiesa di San Vittore a Milano. Nessuna autorità di governo era presente. Presenti invece il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e numerosi magistrati milanesi.

La condanna di Sindona e la sua morte

Il 3 agosto del 1979 Sindona scomparve da New York improvvisamente. Si ritenne che fosse stato rapito da terroristi di estrema sinistra che avevano come scopo quello di raccogliere informazioni sulle operazioni finanziarie illecite, sul suo rapporto con uomini politici e sull’omicidio Ambrosoli. Sindona ricomparve a New York il 16 ottobre , dove venne immediatamente arrestato per il fallimento della Franklin. Lo stesso banchiere confessò che egli aveva lasciato volontariamente gli Stati Uniti ed era giunto in Sicilia, simulando il proprio rapimento con l’aiuto di esponenti mafiosi italoamericani e siciliani. Sindona così facendo sperava di distrarre l‘opinione pubblica dai delitti a lui attribuiti e passare da carnefice a vittima. Inoltre cercava indirettamente di minacciare uomini politici ed esponenti del mondo finanziario, rivelando informazioni e documenti. E proprio in occasione delle indagini sul finto rapimento di Sindona i magistrati Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono le liste P2 e i membri della loggia massonica, di cui anche Sindona faceva parte. Alla fine del 1980 Sindona fu condannato a 25 anni di reclusione per il fallimento della Frankiln National Bank. Gli Stati Uniti concedettero l’estradizione di Sindona in Italia sia per il fallimento della BPI sia per l’omicidio Ambrosoli. Nei primi mesi del 1985 Sindona fu processato e condannato per i reati di bancarotta fraudolenta: 15 anni di reclusione. Il 4 giugno del 1985 iniziò il dibattimento per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, che si concluse con la condanna dell’esecutore materiale e di Sindona alla pena dell’ergastolo il 18 marzo del 1986. Solo tre giorni dopo la sentenza, Michele Sindona morì nel carcere di Voghera a causa di un caffè avvelenato con il cianuro di potassio. Le successive indagini appurarono che si trattò di un suicidio.

Per saperne di più

Libri

  • Corrado Stajano, Un eroe borghese, Milano, il Saggiatore, 2016
  • Umberto Ambrosoli, Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009

Cinema

  • Un eroe borghese di Michele Placido, 1995.

Televisione

  • Qualunque cosa succeda. Giorgio Ambrosoli, una storia vera di Alberto Nergrin, 2014.

Bibliografia

Note

  1. Stajano C., Un eroe borghese, il Saggiatore, 2016 p.100
  2. Decreto del ministro del Tesoro del 27 settembre 1974
  3. Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche e amministrative a essa eventualmente connesse, VIII legislatura, Doc. XXIII, n. 2-sexies, 24 marzo 1982, Relazione conclusiva Azzaro Giuseppe
  4. Registrazione di alcune telefonate: https://www.youtube.com/watch?v=EDhNvAQ9Dbk
  5. Deposizione di Arico W, sentenza-ordinanza di G.Turone, processo a carico di Michele Sindona e altri, 17 luglio 1984