Ilaria Alpi

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Ilaria Alpi

Ilaria Alpi (Roma, 24 maggio 1961 - Mogadiscio, 20 marzo 1994) è stata una giornalista italiana. Laureata in lingue e letteratura araba all'università La Sapienza della capitale, nel 1990 vinse il concorso per giornalisti Rai e fu assunta da RaiSat come inviata. Nei Balcani conobbe Miran Hrovatin, con cui iniziò a indagare sui traffici di armi. Nel luglio 1993 Ilaria divenne inviata del Tg3 in Somalia.

Il caso Alpi-Hrovatin

L'inchiesta

Il 12 marzo 1994 la Alpi tornò in Somalia insieme a Miran Hrovatin perché stava seguendo dei soldi, 1400 miliardi di lire, provenienti dal Fondo italiano per la cooperazione per l'Africa, fondato nel 1985. Questo denaro era stato utilizzato per costruire infrastrutture e per dare impulso all'economia somala. Fu costruita un'autostrada che attraversa il deserto, la Garoe-Bosaso, sotto la quale, secondo le informazioni che Ilaria Alpi stava raccogliendo, probabilmente sono stati nascosti riufiuti tossici esteri. Un'altra parte di quel denaro del Fondo fu destinato all'acquisto di pescherecci da donare al governo somalo. Dopo la caduta di Siad Barre però, Omar Mugne, proprietario della società privata Shifco, si appropriò dei pescherecci. Quando la Alpi e Hrovatin si recarono a Bosaso il 15 marzo, stavano indagando nello specifico sul sequestro della Farah Omar, uno dei pescherecci di proprietà delle Shifco. Intervistarono il sultano Mussa Bogor, che raccontò loro che i pescherecci partivano dalla Somalia carichi di pesce, ma tornavano carichi di armi.

È probabile che la giornalista fosse in possesso di documenti che dimostravano un traffico di rifiuti tossici e di armi: armi fornite ai pirati somali, in cambio dello smaltimento dei rifiuti nocivi. Quegli stessi rifiuti che si sospetta, si trovino sotto l'autostrada e, quegli stessi rifiuti che si sospetta vengano scaricati al largo delle coste somale da molti anni. Anche alla luce di inchieste recenti e delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Francesco Fonti, si può affermare che esiste un possibile coinvolgimento delle organizzazioni di stampo mafioso in questi traffici: le coste italiane sarebbero infatti uno snodo cruciale per lo smaltimento dei rifiuti, smistati fino le coste africane. Le armi sarebbero il prezzo che le organizzazioni mafiose pagano per poter portare i rifiuti in Somalia.

L'omicidio

Il 16 marzo 1994 i due giornalisti Rai persero l'aereo che li avrebbe riportati a Mogadiscio; vi ritornarono il 20 marzo, lo stesso giorno in cui vennero uccisi nella parte nord della città. Fu un commando di sette persone a bordo di una Land Rover a bloccare il pick-up in cui si trovavano la Alpi e Hrovatin: furono uccisi con un'arma da fuoco, l'autista e l'uomo della scorta rimasero illesi.

Poiché i due stavano tornando quello stesso giorno da Bosaso, le autorità italiane avrebbero dovuto essere a conoscenza del loro rientro, eppure nessun rappresentante andò sul luogo dell'omicidio. La prima persona ad arrivare, e l'unico italiano presente, Giancarlo Marocchino, era un informatore di tutti i giornalisti con base a Mogadiscio, ma la sua posizione è sempre stata dubbia. Su Marocchino gravavano vari sospetti: il primo era che fosse un trafficante d'armi, il secondo era che fosse coinvolto nella morte dei due giornalisti.

Qualche giorno prima della morte degli inviati Rai, il 15 marzo, Marocchino durante una cena ricevette una telefonata, nella quale venne informato che i capi clan somali volevano rapire dei giornalisti italiani. La testimonianza di quest'uomo in merito al 20 marzo non è coerente con altre testimonianze; alcune sue affermazioni non possono trovare riscontro certo perché chi potrebbe confermarle è morto. Una di queste persone è il cononnello Awes, il capo della sicurezza dell'albergo in cui la Alpi e Hrovatin alloggiavano: secondo Marocchino fu Awes ad avvertirlo che avevano sparato a due italiani; Awes non può confermare o smentire questa versione, perché è morto in circostanze e adirittura in un periodo non chiari.

Marocchino raccontò anche di aver riferito al colonnello Cannarsa che avevano sparato a due giornalisti, mentre Cannarsa riferì che Marocchino gli disse che "stavano sparando sulla macchina davanti alla sua". Questa testimonianza fa sorgere dei dubbi sulla presenza o meno di Marocchino al momento dell'omicidio.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

C'è anche un rapporto del capo della polizia di Mogadiscio, che racconta che quel giorno la Alpi e Hrovatin uscirono da uno dei garage di Marocchino, che ne possedeva vari in quella zona, poco prima dell'agguato. Lo stesso colonnello che redasse il rapporto, Ali Jiro Shermake, durante le future indagini sull'omicidio, parlò di Marocchino come l'assassino. Infine, l'uomo della scorta di Marocchino, che fu ripreso dalle telecamere dell'ABC mentre gli dava un block-notes, una macchina fotografica, una radio trasmittente o un registratore (bisogna ricordare che tra gli effetti di Ilaria Alpi sparirono tre block-notes, una macchina fotografica e delle videocassette), è morto sparandosi accidentalmente; così riferisce Marocchino. L'operatore dell'ABC che riprese i due, morì in Afghanistan nel 1997.

Dopo il duplice omicidio, i corpi furono trasferiti sulla nave Garibaldi e lì venne redatto il certificato di morte della giornalista, che sparì. Ricomparì anni dopo, nel corso di un'inchiesta a Reggio Calabria sulle navi dei veleni, durante una perquisizione, disposta dal procuratore Francesco Neri ed effettuata dal capitano di corvetta Natale De Grazia, nell'abitazione di Giorgio Comerio, indagato per smaltimento illecito di scorie radioattive. Quello stesso De Grazia che morì in circostanze dubbie, forse avvelenato, mentre indavaga sulle navi dei veleni e mentre si recava a La Spezia per fare degli accertamenti.

La dinamica

Per quanto riguarda la dinamica dell'agguato esistono delle incongruenze tra le prime certificazioni e le perizie successive. Il corpo di Hrovatin fu cremato e su quello della Alpi non venne effettuata l'autopsia se non dopo la sepoltura e per disposizione della magistratura. Le perizie eseguite dopo la riesumazione indicarono la prima, disposta su richiesta della Commissione d'inchiesta, che l'arma utilizzata fu un kalashnikov sparato a distanza contro Hrovatin di cui solo un frammento colpì la Alpi; la seconda, effettuata su richiesta della procura e della famiglia Alpi, indicò che il colpo fu sparato a distanza ravvicinata sulla Alpi, quindi confermò la tesi che si trattasse di un'esecuzione. Ci sono state anche altre perizie, ma ancora oggi non esiste una ricostruzione univoca: le discordanze sono sulla distanza, sul tipo di arma da fuoco e sul numero di proiettili.

Processi

L'inchiesta sull'omicidio si aprì il 22 marzo 1994. Il pm Giuseppe Pititto nell'estate del 1997 venne esonerato e il procuratore Vecchione assunse l'inchiesta insieme al pm Franco Ionta; questo avvenne poco prima dell'arrivo in Italia dei due testimoni oculari, cioè l'uomo della scorta e l'autista. Quella stessa estate scoppiò lo scandalo delle presunte violenze dei militari italiani nei confronti dei cittadini somali: spuntò un memoriale (sul quale fu posto il segreto) del maresciallo dei carabinieri Francesco Aloi, secondo il quale queste violenze, presunte, sono collegate all'omicidio dei giornalisti Rai. In questo frangente arrivarono in Italia dieci somali per testimoniare sulle violenze subite, davanti alla Commissione governativa: tra questi vi sono Hashi Omar Hassan e Sid Ali Abdi, l'autista della Alpi. Nel 1998 venne arrestato Hassan che secondo l'autista è uno degli autori dell'omicidio. Spuntò anche Ahmed Ali Rage, detto Jelle, che in realtà fu il primo a indicare in Hassan il colpevole, ma che si rese irreperibile e non testimoniò mai in tribunale. La figura di Ali Abdi è dubbia: inizialmente dichiarò di non conoscere nessun componente del commando di sette uomini che perpetrò gli omicidi, ma dopo la sospensione dell'audizione di due ore e mezza, ricobbe in Hashi Omar Hassan uno dei componenti dello stesso. Dopo che il programma di protezione si concluse e Ali Abdi tornò in Somalia, nel 2002, la stampa somala dichiarò che avrebbe voluto ritrattare la sua dichiarazione, ma, sempre secondo la stampa somala, morì avvelenato. Per quanto riguarda Jelle, oltre al fatto che sparì dopo le accuse ad Hassan, ci sono sempre state alcune perplessità: secondo alcuni potrebbe adirittura essere uno degli assassini parte del commando, poiché durante la testimonianza sbagliò a indicare la posizione della Alpi e di Hrovatin all'interno dell'auto pick up in cui sono stati uccisi; un altro dubbio è se sia stato lui, tempo dopo, a telefonare al gionalista Sabrie ritrattando tutte le accuse. In seguito il difensore di Hassan dichiarò di aver ricevuto una telefonata da Jelle che affermava di aver testimoniato perché aveva bisogno di soldi.

Il 9 luglio 1999 Hassan venne assolto, poiché fu riconosciuto come capro espiatorio di tutta la vicenda. L'anno dopo, la Corte d'Assise d'Appello condannò Hassan per concorso in omicidio; questa sentenza venne annullata dalla Cassazione "limitatamente all'aggravante della premeditazione e al diniego delle circostanze attenuati generiche". La Corte d'Assise d'Appello, il 26 giugno 2002 riduce la pena dell'ergastolo a 26 anni e individuò come possibile movente dell'omicido le indagini che Alpi e Hrovatin stavano effettuando riguardo i tarffici di rifiuti e di armi; fu definita inverosimile l'ipotesi di tentativo fallito di rapina o sequestro e fu avvalorata la tesi dell'esecuzione.

Conclusione

Il 12 giugno 2007 il pm Franco Ionta chiese l'archiviazione del processo data l'impossibilità di individuare i responsabili dei due omicidi, al di fuori del già condannato Hashi Omar Hassan. Il 3 dicembre dello stesso anno il pm Cersosimo rigetta la richiesta.

Il 18 marzo 2010 il gip Maurizio Silvestri dispone l'imputazione coatta nei confronti di Jelle, accusato di calunnia nei confronti di Hassan; per quanto riguarda Ali Abdi, il suo caso è stato archiviato poiché è deceduto.

In seguito a una raccolta firme ed un appello, si paventa una possibile riapertura del processo sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, se ciò accadrà, la famiglia di Ilaria si costituirà parte civile.

La Commissione d'inchiesta

Il 31 luglio 2003 fu istituita la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin presieduta da Carlo Taormina. La prima circostanza poco chiara riguardante le indagini della Commissione si riscontra rispetto al pick up in cui i due furono uccisi: arrivò in Italia, anche col contributo di Marocchino, il quale divenne collaboratore della Commissione in questa inchiesta. Su quel pick up il presidente fece fare perizie per conto della Commissione, impedendo alla procura di Roma di parteciparvi con i propri periti; i reperti analizzati andarono distrutti nel corso delle analisi e la maggioranza della Commissione non rese possibile la compararazione del dna sul pick up con quello di Ilaria. Questo esame fu fatto nel 2008: il dna non presente sul pick up non combacia con quello di Ilaria. Un altro fatto da chiarire è che la macchina arrivata in Italia non presenta segni di proiettile sulle foderine, il che, secondo le varie ricostruzioni, è inverosimile. La procura di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale nei confronti della Commissione parlamentare d'inchiesta; la sentenza della Corte ha ravvisato una violazione del principio di leale collaborazione nel rifiuto della Commissione di far partecipare la procura ai rilievi tecnici sull'automobile.

La Commissione ha chiuso i lavori il 28 febbraio 2006: la relazione di maggioranza ha individuato il movente dell'omicidio in un tentativo di rapimento finito male, nonostante le sentenze certificassero la tesi dell'esecuzione.

Note


Biografia

  • Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gritta Grainer, Maurizio Torrealta, L'esecuzione: inchiesta sull'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Milano, Kaos, 1999