Lea Garofalo: differenze tra le versioni

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Demaria M., La scelta di Lea - Lea Garofalo. La ribellione di una donna della 'ndrangheta, Melampo Editore, Milano, 2013
Demaria M., La scelta di Lea - Lea Garofalo. La ribellione di una donna della 'ndrangheta, Melampo Editore, Milano, 2013


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Lea Garofalo (Petilia Policastro, 4 aprile 1974 – Milano, 24 novembre 2009) è stata una testimone di giustizia italiana. E' la madre di Denise Cosco, anch'essa testimone di giustizia.

Lea Garofalo

Biografia

Infanzia e primi anni

Figlia di Antonio Garofalo e Santina Miletta, Lea rimase orfana all'età di nove mesi in quanto suo padre venne ucciso nella cosiddetta “faida di Pagliarelle”. La piccola Lea crebbe insieme alla nonna, alla madre e ai fratelli maggiori Marisa e Floriano che, assunto il ruolo di capofamiglia, anni dopo avrebbe vendicato l'omicidio del padre, salvo poi essere a sua volta ucciso in un agguato, l'8 giugno 2005. A quattordici anni Lea si innamorò del diciassettenne Carlo Cosco e decise di stabilirsi con lui a Milano, in viale Montello 6. Il 4 dicembre 1991 diede alla luce Denise, figlia della coppia.

La ribellione: la vita a Milano

Lea Garofalo fece un primo gesto eclatante quando decise di trasferirsi a Milano, ignara del fatto che Carlo Cosco l'avesse scelta come compagna solo per acquisire maggior prestigio agli occhi della cosca Garofalo. Il secondo arrivò il 7 maggio 1996, quando il compagno e alcuni componenti della sua famiglia vennero arrestati per traffico di stupefacenti: durante un colloquio in carcere, la ragazza comunicò al compagno la volontà di lasciarlo e di volersi portare via la figlia.

La reazione fu violenta e immediata, tanto che intervennero le guardie per sedare la lite. Madre e figlia abbandonarono dunque Milano. Nel 2002, quando Lea, sotto casa, si accorse dell'incendio della propria auto, capì che i Cosco erano sulle loro tracce e che lei e sua figlia si trovavano in pericolo. Decise di rivolgersi ai Carabinieri e di raccontare tutto ciò che, nel corso degli anni, aveva visto e sentito, a Pagliarelle come a Milano. Per le sue dichiarazioni, la giovane donna e la figlia vennero inserite, con false generalità, nel programma di protezione.

La vita da testimone

La vita da testimone di giustizia fu difficile, caratterizzata da una profonda solitudine. Le dichiarazioni di Lea non sfociarono in alcun processo (salvo poi, nell'ottobre 2013, condurre all'arresto di 17 persone in varie città italiane) e per questo motivo le viene revocata la protezione dello Stato. Nonostante il ricorso vinto al Consiglio di Stato, nel frattempo i documenti falsi suoi e della figlia non esistevano più.

L'incontro con Don Ciotti

Nel 2008, ad un incontro pubblico, Lea Garofalo si avvicinò a don Luigi Ciotti, fondatore e presidente del Gruppo Abele e di Libera. Si presentò come una testimone di giustizia etichettata come collaboratrice, completamente sfiduciata nei confronti dello Stato e delle istituzioni, e intenzionata a riappropriarsi della sua dignità, del suo nome e del suo cognome, di un futuro per lei e soprattutto per la figlia Denise. Conobbe quindi la responsabile dell'ufficio legale dell'associazione, l'avvocato Enza Rando. Ma i mesi successivi sarebbero stati comunque e ancora difficili, fino a quando Lea Garofalo decise di uscire definitivamente dal programma di protezione, nella primavera del 2009.

L'omicidio

Nel frattempo, gli anni non avevano cancellato il rancore e la rabbia di Carlo Cosco nei confronti di Lea Garofalo. La sua sete di vendetta venne soddisfatta il 24 novembre 2009. Lea e sua figlia si trovavano a Milano da quattro giorni: partite da Petilia Policastro alla volta di Firenze, mamma e figlia il 20 novembre presero il treno che le avrebbe portate nel capoluogo lombardo. Fu lo stesso Carlo Cosco ad invitarle. Si trattava di una trappola: l'ex-compagno era a conoscenza della difficile situazione economica delle due donne e chiese a Denise di raggiungerlo a Milano dopo che la figlia gli aveva raccontato di aver visto un maglione, ma che sua madre non avrebbe potuto comprarglielo. Lea, che aveva a cuore il futuro della figlia più di ogni altra cosa, decise che non l'avrebbe fatta partire da sola, nonostante i tentativi dell'avvocato Rando di dissuaderla. Lea era convinta che insieme a sua figlia non le sarebbe accaduto mai nulla, anche perché “Milano è una grande città, non è come la Calabria”.

In quei giorni, gli ex compagni di vita e Denise trascorsero molto tempo insieme. L'intento dell'uomo era di fare in modo che Lea tornasse a fidarsi di lui.

Nel pomeriggio del 24 novembre, Lea e Denise decisero di concedersi una passeggiata per Milano, in zona Arco della Pace. L'immagine di quella camminata fu ripresa dalle telecamere della zona: la mamma aveva un giubbotto nero, la figlia uno uguale, ma bianco. Alle 18.15 circa, Carlo Cosco le raggiunse, prendendo la figlia e accompagnandola a casa del fratello Giuseppe Cosco, per farla cenare e poi salutare i suoi zii e i suoi cugini. Poi l'uomo fece ritorno all'Arco della Pace, dove aveva appuntamento con Lea Garofalo.

L'omicidio si consumò intorno alle 19.10, in un appartamento di piazza Prealpi 2 a Milano, di proprietà della nonna di un amico dei Cosco. Il corpo di Lea Garofalo venne poi trasportato su un terreno a San Fruttuoso e lì distrutto.

Processi

I processi per l'omicidio di Lea Garofalo sono nati grazie a sua figlia Denise. La sera stessa dell'omicidio, infatti, madre e figlia sarebbero dovute rientrare in Calabria e quando Denise vide che la madre non tornava, intuì che le potesse essere successo qualcosa di tragico. La figlia chiese al padre di accompagnarla nei luoghi da loro frequentati in quei giorni alla ricerca della madre, si recarono anche dai carabinieri, che però non poterono procedere con la denuncia di scomparsa, non essendo passate le canoniche 24 ore. Nonostante ciò, Denise raccontò il giorno successivo la sua vita da "protetta" con la madre ai Carabinieri della caserma di via della Moscova: fu il maresciallo Persurich a raccogliere la deposizione. Denise sostenne di avere la certezza morale che la madre non fosse scomparsa (e tanto meno si fosse allontanata volontariamente come gli disse fin da subito il padre e come hanno affermato gli avvocati difensori durante il processo), ma che in realtà fosse morta. Uccisa per mano di Carlo Cosco, suo padre. Il 18 ottobre 2010 scattarono le manette per Carlo Cosco e per gli altri presunti partecipanti al delitto.[1]

Processo di 1° grado

Il processo di primo grado iniziò il 6 luglio 2011. Il limite del procedimento penale fu che non venne richiesta l'aggravante mafiosa (il cosiddetto ex-articolo 7): per i giudici non si poteva parlare di delitto di 'ndrangheta, quindi a Denise non venne riconosciuto lo status di familiare di vittima di mafia. Nonostante il convincimento dei giudici, Lea Garofalo viene ricordato il 21 marzo, nella Gioranta della memoria e dell'Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie, organizzata da Libera ogni anno.

In sede processuale, Denise si costituì parte civile (difesa dall'avvocato Enza Rando), dichiarandosi "orgogliosa di essere contro il padre"[2]. La seguirono anche il comune di Milano (rappresentato dall'avvocato Maria Sala) e Marisa Garofalo e Santina Miletta, rispettivamente sorella e madre di Lea Garofalo (difese dall'avvocato Roberto D'Ippolito). Sei gli imputati: Carlo Cosco, i fratelli Giuseppe e Vito Cosco, Massimo Sabatino (che aveva tentato di sequestrare Lea Garofalo a Campobasso il 5 maggio 2009, su commissione di Carlo Cosco), Carmine Venturino e Rosario Curcio. L'accusa era di aver sequestrato, torturato e ucciso Lea Garofalo la notte tra il 24 e il 25 novembre 2009, e di averne distrutto il cadavere in 50 litri di acido su un terreno a San Fruttuoso, quartiere di Monza.

L'impianto accusatorio del pubblico ministero Marcello Tatangelo si basava principalmente sulle dichiarazioni di Denise Cosco (rese ai Carabinieri prima e successivamente in tribunale, in ore e ore di deposizioni) e sui dati elaborati dai tabulati telefonici, grazie al lavoro certosino dei Carabinieri.

Il 23 novembre, il presidente della Corte Filippo Grisolia annunciò di aver ricevuto la nomina a Capo di Gabinetto del ministro Severino. Di conseguenza, il processo subì un arresto, con il rischio che si arrivasse alla scadenza dei termini di custodia cautelare (28 luglio 2012) senza che fosse stata emessa la sentenza. Si ripartì dopo una settimana, con un fitto calendario di udienze fissato dal neo Presidente Anna Introini.

La sentenza fu emessa il 30 marzo 2012: ergastolo per tutti e sei gli imputati.

Le confessioni di Carmine Venturino e il processo di 2° grado

Nel corso dell'estate 2012, Carmine Venturino decise di collaborare con la giustizia. Il giovane venticinquenne, assoldato dopo l'omicidio di Lea Garofalo da Carlo Cosco affinché controllasse Denise per impedirle di fare ulteriori deposizioni ai Carabinieri, aveva sviluppato un forte rapporto con la ragazza, finché nel febbraio 2010 questa non scoprì che anche il giovane si trovava tra gli arrestati con l'accusa di aver ucciso la sua giovane mamma. Venturino raccontò agli inquirenti che fu proprio per merito del coraggio di Denise e dell'amore che sostenne di provare per lei che fu spinto a raccontare la verità.

Il processo di appello iniziò il 9 aprile 2013. Carmine Venturino raccontò che era stato Carlo Cosco ad uccidere la propria ex convivente, strozzandola con il cordino usato di solito per raccogliere le tende. E che insieme a lui c'era il fratello Vito Cosco e che poi allo stesso Venturino venne affidato il compito di prendere il corpo esanime di Lea Garofalo, di metterlo in uno scatolone su un furgone, per poi trasportarlo a san Fruttuoso. Lì il corpo venne distrutto dalle fiamme, per due giorni, grazie anche alla complicità di Rosario Curcio. Il racconto di Venturino escluse invece il coinvolgimento nei fatti di Milano di Massimo Sabatino e Vito Cosco.

Carlo Cosco si difese parlando invece di raptus di pazzia, di uno spintone dato alla donna dopo aver perso la pazienza, del fatto che lei avesse battuto la testa e fosse morta per questo. Confermò, invece, l'esclusione della presenza del fratello e di Sabatino come partecipanti all'omicidio.

Secondo le motivazioni di secondo grado, non è possibile stabilire cosa esattamente sia accaduto in quell'appartamento: quel che è certo è che va escluso che sia stato Carlo Cosco ad uccidere materialmente Lea Garofalo, ma egli può assolutamente essere ritenuto il mandante dell'omicidio.

La corte di Appello del Tribunale di Milano ha rivisto le pene per i sei imputati, con la sentenza di secondo grado emessa il 29 maggio 2013: ha confermato l'ergastolo per Carlo e Vito Cosco, per Rosario Curcio e per Massimo Sabatino, mentre ha ridotto la pena a 25 anni per Carmine Venturino (in virtù della sua collaborazione) e ha assolto Giuseppe Cosco, che attualmente sta scontando una pena di dieci anni per traffico di stupefacenti.

Il silenzio della stampa

Finché la vicenda di Lea Garofalo non assunse rilievo nazionale, la grande carta stampata ignorò totalmente la vicenda. A seguire invece tutte le udienze del processo furono la giornalista Marika Demaria del mensile Narcomafie, e gli studenti del sito web Stampo Antimafioso (di cui Monica Angelini, Giulia Rodari, Marzio Balzarini, Tommaso Marelli, Federico Beltrami, Morgana Chittari e Martina Mazzeo per il primo grado; Clemente La Porta, Fiammetta Di Stefano, Valerio Berra e Sara Manisera per il secondo).

La conferma delle condanne in Cassazione

Il 18 dicembre 2014, la Prima sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta da Maria Cristina Fiotto, ha confermato le condanne emesse dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano a carico dei cinque imputati. Ergastolo, quindi, per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino, mentre l’ex fidanzato di Denise, Carmine Venturino, ottiene 25 anni, in ragione dello sconto di pena per la sua collaborazione.

In memoria di Lea

I funerali

Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e Don Luigi Ciotti, ai funerali di Lea Garofalo

Il 19 ottobre 2013, sulla piazza Beccaria, tremila persone diedero l'estremo saluto a Lea Garofalo. I funerali civili vennero seguiti in diretta da «Rainews 24» e tutte le testate nazionali si occuparono della storia di Lea e Denise. Finalmente alla vicenda, per mesi passata sotto silenzio, venne dato il giusto risalto. Momenti di grande commozione, canzoni, ricordi, e la voce di Denise che, da dietro una finestra, saluta la sua mamma, ringraziandola “perché se questo è successo, tutto questo è successo, è per il mio bene... Ciao mamma”. Fu lei a chiedere, lo stesso giorno della sentenza, che sua mamma sia salutata “come se fosse una festa” a Milano, che tanto si era dimostrata vicina a questa storia. I resti della giovane testimone di giustizia Lea Garofalo riposano oggi al cimitero monumentale di Milano, perché l'amministrazione le riconobbe di aver dato lustro alla città.

La targa in via Montello e l'Ambrogino a Denise

Lo stesso giorno dei funerali, nei giardini di fronte a Via Montello 6, l'ex-fortino dei Cosco dove abitavano abusivamente nelle case popolari dell'Aler, venne affissa una targa in memoria di Lea Garofalo, testimone di giustizia. Il 7 dicembre 2013, invece, il Comune di Milano conferì a Denise Cosco l'Ambrogino d'Oro, l'alta benemerenza civica riservata a chi ha illustrato la città di Milano: per il suo coraggio a denunciare il padre, al teatro Dal Verme la ragazza ricevette l'applauso più lungo.

Il film

Il 18 novembre 2015, in prossimità dell'anniversario della sua morte, è andato in onda per la prima volta su Rai1[3], alle 21.20, il film di Marco Tullio Giordana Lea, basato sul materiale d'inchiesta e sulle sentenze dei processi.

Televisione

Il 17 e 24 aprile 2016 vengono trasmessi su Rai3 due episodi di "Un giorno in pretura", che ricostruiscono il processo celebrato a Milano nei confronti di Carlo Cosco e dei suoi complici per l'omicidio di Lea.[4][5]

Note

Bibliografia

Demaria M., La scelta di Lea - Lea Garofalo. La ribellione di una donna della 'ndrangheta, Melampo Editore, Milano, 2013