Leopoldo Gassani

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Leopoldo Gassani (Angri, 4 febbraio 1930 - Salerno, 27 marzo 1981) detto Dino, è stato uno dei primi grandi penalisti italiani degli anni ‘70 e inizio ‘80, vittima della Camorra.

Biografia

Il padre di Dino, Ettore, era nato a Serravalle Scrivia (GE) ma si era trasferito al sud per motivi di lavoro: era un ferroviere. Il fratello di Dino Gassani, Silvano, era magistrato a Napoli. Dino aveva imparato i segreti del mestiere dal grande penalista Bruno Cassinelli di Roma. Era dotato di una cultura generale straordinaria e di una sensibilità non comune. Non era un avvocato qualunque, ma un uomo estremamente esperto della pratica forense, carismatico e influente.

Era considerato uno dei più brillanti penalisti d'Italia. Ricoprì dapprima l'incarico di consigliere regionale nel Msi di Almirante, poi, per dissapori con quest'ultimo, entrò a far parte del neo-partito della Democrazia Nazionale. Era un costante punto di riferimento per compagni di partito e avversari. E' stato consigliere dell'Ordine degli avvocati di Salerno. La sua breve e intensa carriera forense lo aveva proiettato ai massimi livelli dell'avvocatura penale italiana portandolo ad occuparsi di processi delicati in varie regioni d'Italia.

L'omicidio

Durante la sua carriera si era ritrovato a difendere Biagio Garzione, imputato di omicidio volontario insieme a noti esponenti della criminalità vesuviana, fra i quali il famigerato boia delle carceri Raffaele Catapano. L'omicidio fu ordinato dal carcere dallo stesso Catapano, esponente di spicco del clan cutoliano, poi condannato all'ergastolo. Garzione diventò successivamente collaboratore di giustizia e accusò anche Catapano.

Il 27 marzo 1981 nello studio di Gassani, in Corso Vittorio Emanuele a Salerno, si presentarono due clienti per consegnargli l'incarico di un'importante difesa penale - si trattava di emissari inviati da Catapano, che gli chiesero di intervenire su Garzione per una ritrattazione dell'accusa. L'avvocato capì immediatamente le loro intenzioni e mentre questi ancora parlavano e cercavano di convincerlo, lui scrisse di suo pugno su un foglio di carta: «Non posso perdere ogni dignità».

Sapeva che, se non avesse accettato, per lui non ci sarebbe stato scampo. Rifiutò sdegnosamente ogni imposizione e per questo venne conseguentemente ucciso a sangue freddo. Il primo colpo fu diretto al cuore, poi il colpo di grazia alla tempia per finirlo. Il suo collaboratore, Pino Grimaldi, che era presente nello studio, fu ucciso con un colpo alla fronte.

Biografia