Mario Fabbrocino

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Mario Fabbrocino, detto ‘o Gravunaro, il carbonaio, (Ottaviano, 5 gennaio 1943 – Parma, 23 aprile 2019) è stato uno dei più importanti boss della Camorra, a capo dell'omonimo clan e principale rivale di Raffaele Cutolo nella faida tra la Nuova Camorra Organizzata e la Nuova Famiglia.

Mario Fabbrocino


Biografia

Fino al 1978 Fabbrocino era praticamente uno sconosciuto nelle dinamiche criminali camorristiche. Dedito a racket ed estorsioni, non usciva dai confini di San Giuseppe Vesuviano, dove viveva. Fu nella contrapposizione al potere di Cutolo che costruì il suo potere di boss. Fu infatti il primo a opporsi al potere incontrastato del boss della Nuova Camorra Organizzata, in quel periodo all'apice del suo potere, presidiando il confine tra Ottaviano e San Giuseppe.

Il rapporto con Michele Zaza

Dalle estorsioni a San Giuseppe Vesuviano, Mario Fabbrocino cominciò a trafficare eroina sotto l'ala protettrice di Michele Zaza, boss della camorra affiliato a Cosa Nostra e socio di Alfredo Bono. Finì nei rapporti della Criminalpol milanese e romana, sotto lo sguardo vigile della narcotici napoletana e della Dea. Il 13 ottobre 1982 la polizia greca sequestrò nel porto di Marina Cubia a Corfù lo yacht "Cagita" intestato a un ricco imprenditore di San Giuseppe Vesuviano. A bordo, nascosti nella chiglia, trenta chili di eroina pura per un valore di due miliardi e cento milioni: Mario Fabbrocino si era allontanato soltanto il giorno prima dall'isola e per la narcotici sfumò l'occasione di incastrarlo con prove di ferro[1].

L'operazione di Corfù svelò tuttavia agli inquirenti che Fabbrocino aveva ormai un ruolo di primo piano nell'organizzazione camorristica. Le ulteriori indagini confermano che il boss di San Giuseppe Vesuviano aveva organizzato un traffico di eroina dalla Turchia che riforniva mensilmente il mercato italiano di trenta chili di "polvere bianca". Un affare annuo di 250 miliardi.

Il riciclaggio di denaro nell'edilizia

Garantitosi un finanziamento così costante e ricco, Fabbrocino, con i suoi fratelli Michele e Aniello, cominciò a riciclare la sua attività nell'edilizia, diventando socio della Edil San Gennaro che nel consorzio Coveco lavorava a tutto spiano per la costruzione degli alloggi dell'Istituto case popolari di Ottaviano.

La rottura con Zaza e la costituzione del clan con i fratelli Russo

Capacità militare, controllo del traffico di eroina, riciclaggio dei capitali sporchi nell'edilizia: Fabbrocino ha in quel momento tutte le carte in regola per diventare un boss di primo piano della camorra. Cancellò dalla sua zona le estorsioni, imponendo "pace sociale" necessaria a traffici ben più proficui.

Il primo effetto fu che l'antico legame con Zaza si ruppe e nel 1982 Fabbrocino si legò ad Antonio Bardellino, grazie all'intercessione di Carmine Alfieri, capo indiscusso dell'omonima famiglia, che aveva pagato un alto tributo di sangue nella guerra a Cutolo. Insieme ai fratelli Pasquale e Salvatore Russo di Nola costituì un clan autonomo che arrivò a controllare un vasto territorio alle pendici del Vesuvio: San Gennaro Vesuviano, San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano, San Gennarello, Palma Campania e parte di Terzigno.

Il primo arresto

Venne arrestato per la prima volta il 1° settembre 1984[2] e tradotto nel carcere di Poggioreale, dove venne interrogato, senza alcun esito, sui traffici che gestiva nel vesuviano. Il 22 settembre 1987, mentre era detenuto nel carcere di Bellizzi Irpino, gli furono concessi gli arresti domiciliari in clinica, per curarsi da un gravissimo stato di salute, ma il 14 novembre si diede alla fuga e rimase latitante 10 anni.

L'omicidio del figlio di Cutolo e lo scambio con Franco Coco Trovato

In cambio dell'eliminazione di Salvatore Batti, rivale di Franco Coco Trovato nell'area milanese nel traffico di stupefacenti, Fabbrocino ottenne dal boss della 'ndrangheta l'uccisione del figlio di Cutolo, Roberto, in soggiorno obbligato a Tradate, ucciso il 18 dicembre. Batti fu ucciso il 23 dicembre 1990 a San Gennaro Vesuviano (Napoli).

Nell'ottobre 2016 il collaboratore di giustizia Antonino Fiume rivelò ai magistrati che la decisione di ucciderlo fu presa a Milano, durante una riunione del “Consorzio”, sovrastruttura criminale della ‘ndrangheta che fino al 1990 operava per avere il controllo di tutte le principali attività illecite a livello nazionale e riuniva intorno a un tavolo i boss di Cosa Nostra, della Camorra e della 'ndrangheta. Il favore venne richiesto da Fabbrocino, che ottenne il benestare di Giuseppe De Stefano e di Franco Coco Trovato, benché storicamente Cutolo fosse un alleato di Paolo De Stefano.[3]

L'arresto a Buenos Aires

Mario Fabbrocino fu arrestato nuovamente a San Martin, a trenta chilometri circa da Buenos Aires, in Argentina, il 3 settembre 1997. Nel 2001 venne estradato e nel luglio 2002 venne scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare e sottoposto all'obbligo di firma. Quattro giorni dopo tornò di nuovo in carcere, rimanendoci fino ad agosto, con l'obbligo di firma presso la polizia giudiziaria. Divenuto irrintracciabile nel 2004, il 14 agosto 2005 venne arrestato in una villa di San Giuseppe Vesuviano.

La morte

Il 23 aprile 2019 Fabbrocino è morto a Parma, dove si trovava in carcere.


Note

  1. Giuseppe D'Avanzo, Per la Strage caccia al terzo boss, la Repubblica, 2 settembre 1984
  2. Ibidem
  3. Enrico Fierro, Lucio Musolino, “La Cupola delle Cupole uccise il figlio di Cutolo”, il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2016

Bibliografia

  • Barbagallo Francesco, Storia della Camorra, Bari, Editori Laterza, 2010
  • Commissione Antimafia, Rapporto sulla Camorra, Roma, l’Unità, 21 dicembre 1993
  • Sales Isaia, La Camorra, Le Camorre, Roma, Editori Riuniti, 1988