Matteo Messina Denaro

Da WikiMafia.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Matteo Messina Denaro, da giovane
Matteo Messina Denaro, da giovane

Matteo Messina Denaro (Castelvetrano, 26 aprile 1962 - L'Aquila, 25 settembre 2023) è stato un mafioso italiano. Soprannominato "U Siccu" e "Diabolik", è stato per trent'anni tra i boss mafiosi più ricercati al mondo, fino al suo arresto, avvenuto a Palermo il 16 gennaio 2023.

Biografia

Infanzia e adolescenza

Nato a Castelvetrano, in provincia di Trapani, Matteo era il quarto dei sei figli. Suo padre, Francesco Messina Denaro, coltivò per trent'anni i terreni della famiglia D’Alì Staiti, mentre suo fratello Salvatore lavorava nella Banca Sicula di Partanna, all'epoca il più importante istituto bancario privato siciliano, di cui i D'Alì-Staiti erano azionisti. Alla morte del padre, Matteo subentrò nell'attività agricola di famiglia[1].

L'ascesa in Cosa Nostra

L'ascesa di Matteo in Cosa Nostra iniziò quando suo padre Francesco decise di schierarsi insieme al boss Mariano Agate al fianco di Totò Riina nella Seconda Guerra di Mafia, contro le famiglie palermitane che fino a quel momento avevano dominato l'organizzazione. In particolare, Matteo divenne fondamentale nel far nascere il sodalizio tra il Capo dei Capi e i Fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.

La famiglia dei Graviano era infatti fedele ai Bontate, ma dopo l'omicidio del boss Stefano il 23 aprile 1981, vennero sospettati di averlo tradito. Per questo motivo venne ucciso Michele Graviano il 7 gennaio 1982. Subito dopo, attraverso lo zio Filippo Guttadauro, Matteo Messina Denaro incontrò Giuseppe Graviano, di cui era quasi coetaneo, introducendolo alla corte di Totò Riina[2].

Conclusa la Seconda Guerra di Mafia, i Messina Denaro divennero tra le famiglie più importanti di Cosa Nostra, tanto che di loro cominciò ad occuparsi anche Paolo Borsellino, nella sua veste di Procuratore capo di Marsala. Il 23 gennaio 1990 il giudice, sulla base delle indagini condotte dal commissario Calogero Germanà[3], chiese la sorveglianza speciale, il divieto di dimora e il sequestro di tutti i beni di "don Ciccio" quale "esponente di primo piano della mafia del Belice" ma il Tribunale di Trapani rigettò la richiesta[4]. All'epoca il boss risultava ancora incensurato, finché nell'ottobre successivo Borsellino non emise un mandato di cattura nei suoi confronti per associazione mafiosa. Tuttavia, Francesco Messina Denaro si diede alla latitanza e, visti i suoi gravi problemi di salute, progressivamente il potere della famiglia passò a Matteo.

Il summit del 1991: la guerra allo Stato

A sancire il graduale passaggio di consegne tra i Messina Denaro fu anche la partecipazione di Matteo alle varie riunioni che si tennero alla fine del 1991 in cui la Cupola di Cosa Nostra decise la linea di guerra totale allo Stato.

Quelle riunioni, passate alla storia come "le riunioni di Enna", sono quelle in cui Riina spiegò ai suoi che era arrivato il momento non solo di punire i nemici storici di Cosa nostra, ma pure gli ex-amici che avevano tradito le promesse sul Maxiprocesso di Palermo. In quelle riunioni il Capo dei Capi disse anche un'altra cosa: gli omicidi sarebbero stati rivendicati usando la firma della Falange Armata, una sigla usata già l'anno prima per rivendicare l'omicidio dell'educatore Umberto Mormile, ucciso però dalla 'ndrangheta, nonché per rivendicare i delitti della Banda della Uno Bianca. Su chi suggerì al Capo dei Capi di usare quella sigla oscura, ancora oggi non vi sono certezze[5].

Le stragi del '92 e del '93

Matteo Messina Denaro condivise in pieno la linea di Totò Riina, tanto da essere messo a capo, insieme a Giuseppe Graviano, del commando mafioso che doveva uccidere Giovanni Falcone a Roma, dove il giudice, a capo degli Affari penali del Ministero della Giustizia, girava con una scorta molto ridotta. Tuttavia, i boss vennero richiamati in Sicilia, dove si optò per i 500 kg di tritolo della Strage di Capaci. Secondo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza fu in quel momento che i propositi stragisti non fossero solo opera di Cosa Nostra: «la genesi di tutta questa storia è quando non si uccide più Falcone a Roma con quelle modalità e si inizia quella fase terroristica mafiosa, da lì non è solo Cosa nostra»[6].

Dopo l'arresto del Capo dei Capi, il 15 gennaio 1993, Messina Denaro fu tra quelli a favore della continuazione delle Stragi. Al futuro collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori spiegò che la strategia stragista aveva come principale obiettivo quello di costringere lo Stato a scendere a patti[7].

Il tentato omicidio del commissario Germanà

Dopo le Stragi di Capaci e Via D'Amelio, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro decisero che a morire doveva essere anche Calogero "Rino" Germanà, all'epoca commissario di Mazara del Vallo che aveva svolto le indagini alla base del mandato di cattura nei confronti del padre di Matteo. Non solo: Germanà aveva condotto diverse indagini sul rapporto tra mafia e massoneria, motivo per cui cominciava a dare fastidio ad ambienti anche esterni a Cosa nostra[8]. Verso le 14:15 del 14 settembre 1992 il commando mafioso composto da Matteo, alla guida, da Giuseppe Graviano e da Leoluca Bagarella entrò in azione. Il commissario tuttavia riuscì a salvarsi, scappando sulla spiaggia, in mezzo ai bagnanti.

L'omicidio di Antonella Bonomo, compagna di Vincenzo Milazzo

Un altro omicidio di cui ebbe responsabilità Messina Denaro fu quello di Antonella Bonomo, la cui unica colpa fu quella di essere la compagna di Vincenzo Milazzo, capomafia di Alcamo, acerrimo rivale di Riina. Il 13 luglio 1992 Giovanni Brusca uccise il boss a colpi di pistola, per poi occuparsi il giorno dopo della compagna, strangolata insieme a Leoluca Bagarella con una corda. Nonostante implorasse i killer di risparmiarla, essendo incinta, questi non ebbero pietà[9].

L'omicidio di Giuseppe Di Matteo

Un altro omicidio, particolarmente efferato, cui Matteo Messina Denaro ha legato il suo nome è quello di Giuseppe Di Matteo, figlio del mafioso e collaboratore di giustizia Mario Santo Di Matteo. Quando nel giugno 1993 Di Matteo iniziò a collaborare con la giustizia, Messina Denaro, Bagarella e Graviano proposero di uccidere suo figlio Giuseppe. Brusca, tuttavia, si limitò in un primo momento a rapirlo, avendolo visto crescere. Messina Denaro autorizzò la detenzione del ragazzino nel trapanese, in una villetta a Castellamare del Golfo, dove poi venne sciolto nell'acido quasi due anni dopo[10].

Custode dei segreti di Riina

Dopo l’arresto di Riina, avvenuto il 15 Gennaio 1993, i vertici del Ros dei Carabinieri decisero di non procedere con l'immediata perquisizione del covo del boss, lasciandolo incustodito[11]. Gioacchino La Barbera, collaboratore di giustizia nonché uno dei responsabili della Strage di Capaci, riferì che:

«Riina non era un capo. Era IL capo di Cosa Nostra... Dopo il suo arresto accompagnai, insieme a Nino Gioè, i figli e la moglie di Riina fino alla stazione, da lì presero un taxi per Corleone. Poi seguii la pulizia e l'estrazione della cassaforte dalla villa di via Bernini e portai in un parcheggio la golf bianca intestata a un giardiniere della provincia di Trapani, non ricordo se Marsala o Mazara. Un'auto che ritirò Matteo Messina Denaro, con tutto quello che era stato trovato nella cassaforte. L'auto non era di valore quindi posso pensare che fossero più importanti i documenti»[12].

Inoltre durante il processo sulla Trattativa Stato-mafia, anche il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, ex capo del mandamento di Caccamo, dichiarò che una parte dei documenti riservati di Riina finirono nelle mani di Matteo Messina Denaro[13].

Dopo Riina: la latitanza e la propensione agli affari

Il 2 giugno 1993 la procura di Trapani emise nei confronti di Matteo Messina Denaro un mandato di cattura con l’accusa di associazione mafiosa, omicidio, strage, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e tanti altri reati minori[14]. Da lì iniziò la sua latitanza.

Il suo ruolo dentro Cosa nostra cominciò ad emergere l'anno successivo, con l'operazione Petrov, scattata nel marzo 1994 dalle dichiarazioni del collaboratore Pietro Scavuzzo, e con l'operazione Omega, del gennaio 1996, nata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonio Patti, Salvatore Giacalone, Vincenzo Sinacori e Giuseppe Ferro, i quali ricostruirono più di vent'anni di omicidi avvenuti nel trapanese. Quando il processo Omega si concluse, nel 2000, Messina Denaro venne condannato in contumacia alla pena dell'ergastolo.

Quando il padre Francesco venne stroncato da un infarto durante la latitanza nel dicembre 1998[15], Matteo prese ufficialmente le redini del mandamento di Castelvetrano, ricoprendo la carica di rappresentante della provincia di Trapani in Cosa nostra. Rispetto agli altri mafiosi siciliani, il boss sviluppò una spiccata propensione per gli affari, tanto da guadagnarsi l'epiteto di "affarista" da parte di Totò Riina.

Il rapporto con Bernardo Provenzano

bernardo provenzano
Bernardo Provenzano

Dopo l'arresto di Riina e dei Fratelli Graviano, tramontato quindi definitivamente l'orientamento stragista in Cosa nostra, Matteo riconobbe l'autorità di Provenzano e sposò la sua linea della "sommersione". Quando il boss corleonese venne arrestato nel 2006, gli inquirenti ritrovarono diversi pizzini tra i due, nei quali il boss trapanese si firmava sempre come "suo nipote Alessio". Tra questi, ve ne sono alcuni assai significativi. In uno affermò di riporre «fiducia, onestà e capacità, quello che prima per me era T.T.R.», sigla che stava per Totò Riina. In un altro sostenne di sposare invece la nuova linea di Provenzano:

«Prima di passare al nocciolo del discorso desidero dire a lei che io sono il dialogo e la pacificazione per come lei mi ha chiesto, ed io rispetto il suo volere per come è sempre stato. So che lei non ha bisogno di alcuna raccomandazione perché è il nostro maestro ma è il mio cuore che parla e la prego di stare molto attento, le voglio tanto bene. Con immutata stima e l’affetto di sempre, Suo nipote Alessio»[16].

La rete di Matteo Messina Denaro oltre Cosa Nostra

I rapporti con la politica: Antonio D'Alì

Con riguardo alla rete relazionale del boss, il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori dichiarò ai magistrati che nel 1994 Matteo Messina Denaro aveva dato il proprio appoggio elettorale ad Antonio D'Alì, esponente politico di Forza Italia. Quest’ultimo continuò ad avere relazioni con Cosa nostra anche dopo essere stato nominato sottosegretario al Ministero degli interni nel 2001 nel II governo Berlusconi. Secondo i giudici della Sezione Misure di Prevenzione di Palermo, D'Alì «ha mostrato di essere a disposizione dell’associazione mafiosa Cosa nostra e di agire nell’interesse dei capi storici come il latitante Matteo Messina Denaro e Salvatore Riina»[17]. Il 13 dicembre 2022 l’ex sottosegretario venne condannato in via definitiva a sei anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa[18].

Gli imprenditori prestanome

Per quanto riguarda i rapporti con l'imprenditoria siciliana, il boss aveva costruito una rete di prestanome che gli permetteva di infiltrare in maniera capillare l'economia non solo siciliana. Diversi furono gli imprenditori a disposizione di Messina Denaro che accettarono di fare da prestanome.

L'imprenditore Giuseppe Grigoli sfruttò la protezione del boss per diventare uno dei maggiori fornitori di prodotti alimentari in Sicilia. Grigoli, che “U siccu” definiva come «uno che mi appartiene», riuscì a costruire numerosi supermercati in tutta l’isola[19]. Nel 2012 l’imprenditore venne condannato a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa[20].

Il 12 marzo 2012 la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo confiscò all’imprenditore Carmelo Patti beni per 1,5 milioni di euro. Le autorità applicarono i sigilli a diversi suoi villaggi turistici, depositi bancari e società. I rapporti tra il boss e l’imprenditore risalivano almeno al 1991, anno in cui Patti assunse come commercialista Michele D’Alagna, fratello di Franca, la donna da cui Messina Denaro ebbe una figlia[21].

Il 7 dicembre 2012 i carabinieri del Ros di Trapani, nel corso dell’operazione denominata “Mandamento”, arrestarono Salvatore Angelo, confiscando beni pari a sette milioni di euro. Angelo venne successivamente condannato a otto anni di reclusione per associazione mafiosa, sentenza poi confermata in Cassazione[22].

Il 13 marzo 2018 venne arrestato l’imprenditore trapanese Vito Nicastri, detto “il re dell’eolico”. L’imprenditore aveva anche finanziato la latitanza del boss. Dalle indagini su Nicastri nel 2019 emerse anche il coinvolgimento di alcuni esponenti della Lega di Matteo Salvini, tra cui l’ex sottosegretario Armando Siri e l’ex consulente Paolo Arata[23]. Inoltre, secondo quanto emerse dai pizzini sequestrati dell’inchiesta “Anno Zero” della DDA di Palermo, Messina Denaro gestiva, tramite due referenti di Cosa nostra trapanese, un’impresa di allevamento in Venezuela[24].

I legami con la massoneria

Matteo Messina Denaro aveva anche un rapporto molto stretto con esponenti della massoneria. Nella sua Castelvetrano sono presenti ben sei logge delle diciannove operanti nella provincia di Trapani. Tra gli iscritti risultano liberi professionisti, appartenenti alle forze dell’ordine, assessori e dipendenti comunali[25].

Il collaboratore di giustizia massone Marcello Fondacaro dichiarò che Matteo Messina Denaro aveva fondato una loggia massonica denominata “la Sicilia”. Anche l’ex procuratrice aggiunta di Palermo Teresa Principato, che svolse indagini sull’ex latitante, affermò: «Matteo Messina Denaro è certamente massone. Si può dire che una parte importante della rete di protezione di cui godeva il boss era della massoneria. Ma una parte era anche della politica deviata»[26].

Antonio Messina, avvocato e massone, venne arrestato durante l’operazione “Eden 3”. Intercettato mentre parlava con Giuseppe Fidanzati, boss dell'Acquasanta, durante la conversazione fece riferimento a un certo “ragazzo di Castelvetrano", identificato in Francesco Guttadauro, nipote di Messina Denaro. Fidanzati ricordò, inoltre, di un incontro avvenuto alla stazione di Trapani con “Iddu”. Secondo gli inquirenti, “Iddu” era Matteo Messina Denaro[27].

Dopo l’arresto del boss trapanese, si scoprì che Alfonso Tumbarello, medico di base di Messina Denaro, era iscritto alla massoneria, precisamente loggia “Valle di Cusa – Giovanni di Gangi” (1035), aderente all’Oriente di Campobello di Mazara[28].

Una latitanza lunga 30 anni

La latitanza di Matteo Messina Denaro è costellata da diversi tentativi di arrestarlo, tutti andati a vuoto per una ragione o per l'altra. Proprio la rete di protezione al di fuori di Cosa Nostra fu oggetto di approfondite indagini da parte della magistratura, riuscendo tuttavia solo a svelare parte della rete relazionale del boss.

Le lettere con Antonio Vaccarino

Proprio quando nella corrispondenza con Provenzano emerse il ruolo di Antonio Vaccarino, insegnante ed ex-sindaco di Castelvetrano, la Procura di Palermo scoprì che dal 2004 l'ex-sindaco era stato arruolato dal SISDE per cercare di catturare il boss trapanese. Quest'ultimo si firmava sempre Alessio, mentre l'insegnante si firmava "Svetonio". L'ex-sindaco riuscì a stabilire un lungo e proficuo contatto, proponendogli diversi investimenti in appalti pubblici.

Il 16 agosto 2006 la Procura di Palermo richiese ufficialmente a Mario Mori, all'epoca direttore del SISDE, di «voler trasmettere ogni informazione in ordine all’esistenza di rapporti tra Antonio Vaccarino e il personale del servizio». Sette giorni dopo arrivò la conferma del ruolo di Vaccarino in quell'operazione.

Interrogato dai pm, l'insegnante confermò tutto, aggiungendo di aver sempre agito sotto attente istruzioni del SISDE. Ma la diffusione della collaborazione del Vaccarino da parte del quotidiano la Repubblica fece saltare l’operazione e la probabile cattura di Messina Denaro. Dopo che il biennale scambio epistolare divenne pubblico, Vaccarino ricevette una lettera firmata "M. Messina Denaro", in cui il boss affermava: «ha buttato la sua famiglia in un inferno […] la sua illustre persona fa già parte del mio testamento […] in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il debito che ho nei suoi confronti»[29].

Sempre nel 2006 i magistrati provarono a seguire la pista delle cure mediche, sulla base delle dichiarazioni di Vincenzo Sinacori, per il quale Messina Denaro soffriva di una malattia degenerativa della cornea, tanto da essere ricoverato nel 1994 a Barcellona nella clinica Barraquer[30].

Le operazioni Golem e Golem II

Tre anni dopo, nel giugno 2009, l'indagine Golem portò all'arresto di tredici persone tra mafiosi e imprenditori trapanesi, accusati di favorire la latitanza di Matteo Messina denaro, non solo fornendogli documenti falsi ma anche gestendo per conto del boss estorsioni e traffico di stupefacenti della provincia. Il 15 marzo 2010 scattò "Golem II" e vennero arrestate a Castelvetrano altre 19 persone, accusate di aver compiuto estorsioni e incendi dolosi per conto di Messina Denaro ai danni di imprenditori e politici locali; tra gli arrestati, figurarono anche il fratello del latitante, Salvatore Messina Denaro, e i suoi cugini Giovanni e Matteo Filardo, nonché l'ottantenne Antonino Marotta, definito "il decano della mafia trapanese", in quanto ex-membro della banda di Salvatore Giuliano[31].

Le riunioni a Palermo

Il 26 luglio 2010 il collaboratore di giustizia Manuel Pasta dichiarò che il boss aveva incontrato alcuni capi-mafia della provincia di Palermo mentre assisteva alla partita di calcio Palermo - Sampdoria, tenutasi il 9 Maggio precedente presso lo stadio "Renzo La Barbera". Oggetto dell'incontro erano i possibili attentati nei confronti dei giudici e di alcuni membri della squadra mobile di Palermo che indagavano sui traffici di Cosa Nostra. Tuttavia, il boss latitante si disse contrario[32].

L'arresto di Leo Sutera Lo scontro in Procura tra Teresa Principato e Francesco Messineo

Nel 2012 i carabinieri del Ros, coordinati dalla Procuratrice Aggiunta Teresa Principato che coordinava il pool che dava la caccia a Messina Denaro, furono a un passo dall'arrestare Messina Denaro, dopo due anni di indagini nei confronti del boss agrigentino Leo Sutera. Tuttavia, il 26 giugno un'operazione della DDA di Palermo, coordinata dal Procuratore Aggiunto Vittorio Teresi e autorizzata dal Procuratore Capo Francesco Messineo, portò all'arresto di 46 persone, tra cui Sutera, decapitando le cosche agrigentine ma facendo saltare anche i due anni di lavoro del pool della Principato. Da lì ne nacque uno scontro pubblico tra la Principato da una parte e Messineo e Teresi dall'altra, che si difesero sostenendo che vi era pericolo di fuga da parte degli indagati[33].

Il piano per uccidere Nino Di Matteo

Il collaboratore di giustizia Vito Galatolo rivelò all’allora sostituto procuratore di Palermo Antonino Di Matteo che nel dicembre 2012 Matteo Messina Denaro aveva chiesto, tramite due lettere, di uccidere l’allora pm di Palermo perché “si era spinto troppo oltre in un processo”. Sempre secondo Galatolo, “a volere la morte del magistrato sarebbero apparati dello Stato”. Il progetto non fu portato a termine perché tutti i boss coinvolti furono arrestati[34].

I duri colpi alla rete di protezione del boss

Il 13 settembre 2013, nel corso dell’operazione “Eden”, vennero arrestati per associazione mafiosa Patrizia Messina Denaro, sorella di Matteo, e il nipote Francesco Guttadauro. Patrizia Messina Denaro venne condannata a quattordici anni e mezzo di reclusione, mentre Francesco Guttadauro a sedici[35].

Il 19 novembre 2014 i carabinieri del Ros di Trapani arrestarono Liborio Bellomo, erede della famiglia Messina Denaro, insieme a quindici complici. Secondo le indagini Bellomo avrebbe aiutato Patrizia Messina Denaro e suo cognato Francesco Guttadauro nella gestione degli affari del clan[36].

Il 27 marzo 2014 venne inviato alla Procura di Palermo un rapporto dello SCO (Servizio centrale operativo), in cui si fece riferimento alla volontà di Messina Denaro di uccidere Roberto Piscitello, ex pm della DDA di Palermo, poi in servizio al DAP, dopo il potenziamento del regime carcerario duro ex-articolo 41 bis per alcuni boss. A causa poi dell’aumento delle misure di sicurezza dopo le bombe piazzate davanti al Tribunale di Reggio Calabria, l'attentato non venne più realizzato[37].

Nel 2015 il finanziere Calogeno Pulici, segretario dell’allora procuratore aggiunto della Dda di Palermo Teresa Principato, denunciò la sparizione di un computer portatile e di due pendrive, contenenti tutte le indagini su Matteo Messina Denaro. Alla fine il caso venne archiviato perché «non emerse alcuna ipotesi di reato»[38].

Il 19 aprile 2018 scattò una maxi-operazione denominata “Anno zero”, durante la quale vennero arrestate dalla procura di Palermo ventidue persone, tra cui boss, gregari ed estorsori dei clan trapanesi che facevano riferimento a Messina Denaro. Finirono in carcere anche Gaspare Como e Rosario Allegra, cognati del boss[39].

Un ulteriore tentativo di catturare il boss venne fatto posizionando delle microspie davanti alla lapide del padre, Francesco Messina Denaro. Lo scopo era quello di scoprire informazioni sui movimenti del figlio o, ipotesi più remota, che il latitante si presentasse di persona. Anche questo piano però non andò a buon fine perché la sorella, andando a visitare la tomba per sistemare i fiori, scoprì la posizione delle microspie[40].

Nella notte tra il 15 e il 16 giugno 2020 venne arrestato Francesco Domingo, boss di Castellammare del golfo e uomo di Messina Denaro, fortemente legato a Cosa nostra americana, insieme a Giuseppe Calcagno, il "postino" dei pizzini del boss trapanese, e Marco Manzo, mafioso che rappresentava Messina Denaro alle riunioni di Cosa nostra[41].

Il 13 settembre 2021 un turista inglese venne arrestato per errore, scambiato per il boss trapanese. L'arresto, autorizzato dalla Procura Nazionale Antimafia su richiesta di quella di Trento, non venne convalidato dopo l'esame del DNA che accertava l'identità del turista[42].

Il 6 settembre 2022 venne realizzata un'altra maxi-operazione che coinvolgeva 70 persone, di cui 35 tratte in arresto, accusate a vario titolo di aver favorito la latitanza del boss[43].

Nel novembre 2022, durante una puntata del programma di La7 “Non è l’Arena” di Massimo Giletti, Salvatore Baiardo, già condannato per aver favorito la latitanza dei fratelli Graviano, rivelò che probabilmente Matteo Messina Denaro era malato e che, in cambio dell’abrogazione del 41-bis e dell’ergastolo ostativo, avrebbe potuto farsi arrestare, ipotizzando in tal senso una nuova trattativa tra lo Stato e la mafia[44].

L'arresto

La foto segnaletica di Matteo Messina Denaro diffusa dai Carabinieri

Effettivamente, due mesi dopo, il 16 gennaio 2023, Messina Denaro venne arrestato dai Carabinieri del ROS mentre si trovava presso la clinica privata La Maddalena a Palermo, nel quartiere San Lorenzo. Il boss trapanese era in procinto di effettuare, sotto il falso nome di Andrea Bonafede, una seduta di chemioterapia, alla quale era sottoposto periodicamente a causa di un tumore al colon, per il quale era stato operato nel 2021 in un ospedale di Marsala.

Durante la conferenza stampa, i Carabinieri del ROS spiegarono che Matteo Messina Denaro era stato bloccato in strada, nei pressi di un ingresso secondario della clinica La Maddalena. Gli inquirenti sottolinearono che il boss, contrariamente a quanto diffuso da alcuni organi di stampa, non aveva tentato la fuga, né opposto alcuna resistenza, anzi "si è subito dichiarato, senza neanche fingere di essere la persona di cui aveva utilizzato l’identità. Con lui venne stato arrestato anche l'autista, Giovanni Luppino, con l'accusa di favoreggiamento[45].

Gli interrogatori

Complessivamente furono quattro gli interrogatori cui si sottopose Matteo Messina Denaro prima di morire.

Nel primo interrogatorio dopo l'arresto, condotto il 13 febbraio 2023 dal procuratore Maurizio De Lucia e dall'Aggiunto Paolo Guido, Messina Denaro affermò di non essere mafioso e, nonostante questo, non avrebbe mai collaborato con la giustizia. Disse anche ai due magistrati che erano riusciti a catturarlo solo a causa della sua malattia. Negò ogni responsabilità nell'omicidio del giovane Di Matteo, attribuendo la decisione di scioglierlo nell'acido al solo Brusca, furioso per la condanna all'ergastolo, e disse di aver insultato Giovanni Falcone non perché ce l'avesse con lui, il giorno delle celebrazioni, ma perché contestava le modalità di commemorazione che bloccavano tutta la città di Palermo. Si scagliò anche contro il concorso esterno in associazione mafiosa, definendolo un reato "farlocco"[46].

Nell'interrogatorio del 7 luglio, l'ultimo prima di essere ricoverato, il boss di Trapani affermò anche che:

«a me sembra un poco riduttivo dire che a Falcone lo hanno ucciso per la sentenza del Maxiprocesso. Se poi voi siete contenti di ciò, ben venga, sono fatti vostri, ma la base di partenza non è questa… parlo di grandi cambiamenti»[47].

La morte

Dopo un improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute e alcuni giorni di coma irreversibile,[48], Matteo Messina Denaro morì all'1:57 del 25 settembre 2023, all'età di 61 anni, in una stanza di massima sicurezza nel reparto detenuti dell'ospedale San Salvatore dell'Aquila, a causa del tumore al colon di cui era malato. Venne seppellito due giorni dopo, in forma privata, nel cimitero di Castelvetrano[49].

Le donne di Matteo

Un aspetto su cui insistettero molto i media subito dopo il suo arresto furono le svariate donne della vita del boss. Oltre alla moglie, Messina Denaro aveva infatti molte amanti. Tra il 1989 e il 1993 ebbe una relazione con Andrea Haslehner, soprannominata Asi. Nel febbraio 1991 fece uccidere Nicola Consales, vice-direttore dell’Hotel Paradise Beach, perché lo considerava un rivale in amore. Invece, Il 5 giugno 1993, prima darsi latitante, scrisse una lettera a una certa Sonia M.:

“Ciao, non so se hai capito che nell’operazione dei carabinieri c’è anche un mandato di cattura nei miei confronti, quindi anche io sono ricercato. Non so ancora il motivo, ma qualunque abbiano messo è soltanto una grande infamia, perché sono innocente della qualsiasi e sono rimasto vittima soltanto del mio nome e di qualche essere che approfitta del proprio potere” [50].

Tra il 1994 e il 1996, secondo gli inquirenti, il boss trascorse la sua latitanza nei pressi del Comune di Bagheria insieme all’amante Maria Mesi. Nell’agosto del ‘94, i due andarono in vacanza in Grecia, mentre nel ‘95 soggiornarono in un residence di San Vito Lo Capo[51].

Processi e condanne

Durante la sua lunga latitanza, Matteo Messina Denaro collezionò diverse condanne definitive in quanto appartenente a Cosa Nostra.

  • nel 1999 venne condannato al suo primo ergastolo per essere stato il mandante dell’omicidio di Giuseppe Montalto, agente della polizia penitenziaria ucciso nel 1995[52].
  • nel 2000 venne condannato all’ergastolo sia al termine del processo Omega, sia per le stragi del 1993[53].
  • nel 2003 fu condannato all’ergastolo nell’ambito del Processo “Arca”, in quanto ritenuto responsabile di aver partecipato alla faida contro il clan Greco di Stiddaro[54].
  • nel 2012 fu condannato ad un ulteriore ergastolo per il rapimento di Giuseppe Di Matteo[55].
  • il 19 Luglio 2023 venne condannato anche in appello all’ergastolo per essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e Via D’Amelio[56].

Note

  1. Lirio Abbate (2020). U siccu. Matteo Messina Denaro: L’ultimo capo dei capi, Milano, Rizzoli, p. 13.
  2. Ivi, pp. 44-45.
  3. Si veda al riguardo l'audizione dell'allora questore resa innanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia il 6 maggio 2015[1]
  4. Marco Bova, Borsellino e i Messina Denaro, lo 'schiaffo' al giudice, Agi, 16 luglio 2020
  5. Giuseppe Pipitone, Stragi di mafia del ’92, quel disegno politico dietro le bombe: summit e presagi prima di Capaci, ilfattoquodiano.it[2]
  6. Ibidem
  7. Lirio Abbate, op.cit.,p. 73
  8. Ivi, pp. 78-79.
  9. Ivi, p. 84.
  10. Ivi, pp. 88-90.
  11. Ivi, p.94.
  12. Raffaella Fanelli, Così uccidemmo il giudice Falcone, ma dietro le stragi non c’è solo la mafia, La Repubblica, 19 Settembre 2015
  13. Giuffrè: Le carte del covo di Riina nelle mani di Messina Denaro, Live Sicilia, 28 novembre 2013.
  14. Ivi, p. 243.
  15. Morto nel trapanese il boss mafioso Messina Denaro, Archivio Storico de la Repubblica, 1° dicembre 1998.
  16. Ivi, p. 159.
  17. Lirio Abbate, op.cit., pp. 149-150
  18. Antonio D’Alì, condanna definitiva a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex senatore berlusconiano andrà in carcere, ilfattoquotidiano.it, 13 Dicembre 2022
  19. Lirio Abbate, op.cit., p.153
  20. Ivi, p. 156.
  21. TgR la Sicilia, Carmelo Patti, Da muratore a patron della Valtur, 24 Ottobre 2018
  22. Mafia, confiscati 7 milioni di euro all’imprenditore Salvatore Angelo, legato a Messina Denaro, La Spia, 13 Maggio 2017.
  23. Vito Nicastri, la storia del signore del vento, Tp24 Inchieste, 6 Agosto 2022; Luca Rinaldi, Gianluca Paolucci, Il finanziere dei 49 milioni faceva affari anche con Arata, IrpiMedia, 12 novembre 2019.
  24. La mappa della mafia trapanese del latitante Matteo Messina Denaro, Antimafia Duemila, 8 Luglio 2018.
  25. Commissione parlamentare Antimafia (2017). Relazione sulle infiltrazioni di Cosa Nostra e della 'ndrangheta nella massoneria in Sicilia e Calabria, XVII Legislatura, Relatrice: Pres. Rosy Bindi, Doc. XXIII n. 33, Roma, 21 dicembre, p. 9 e ss.
  26. Karim El Sadi, Teresa Principato: Matteo Messina Denaro è un massone, Antimafia Duemila, 16 Febbraio 2023.
  27. Karim El Sadi, Messina Denaro: già tre massoni emersi dalla rete dei fiancheggiatori, Antimafia Duemila, 1° Febbraio 2023
  28. Messina Denaro, il suo medico Alfonso Tumbarello è un massone: sospeso dal Grande Oriente d’Italia dopo l’indagine, ilFattoQuotidiano.it, 18 Gennaio 2023.
  29. Ivi, p. 166.
  30. Lirio Abbate, op.cit., p. 203.
  31. Alessandra Ziniti, Una rete di uomini fidatissimi e regole ferree per la latitanza di Matteo Messina Denaro, la Repubblica, 15 marzo 2010.
  32. Salvo Palazzolo, Il latitante Messina Denaro allo Stadio per Palermo-Samp, La Repubblica, 26 luglio 2010.
  33. Lirio Abbate, op.cit., pp.201-202; Adnkronos, Mafia: pm Teresi, Csm informato male su cattura Messina Denaro, 13 giugno 2013.
  34. Parla Galatolo: Di Matteo s’era spinto troppo, Messina Denaro voleva ucciderlo, PalermoToday, 7 Maggio 2015.
  35. Condanna in via definitiva per Patrizia Messina Denaro”, Antimafia Duemila, 17 ottobre 2018.
  36. Riccardo Lo Verso, Matteo Messina Denaro è solo: 16 arresti, in cella suo nipote, LiveSicilia.it, 19 novembre 2014.
  37. Nel mirino l’ex pm Piscitello, Giornale di Sicilia, 27 Maggio 2014.
  38. Archiviata vicenda sparizione device con indagini su Messina Denaro, Antimafia Duemila, 13 gennaio 2021.
  39. Polizia di Stato, Trapani: operazione “Anno zero”, 19 aprile 2018.
  40. Lirio Abbate, op.cit., p.204.
  41. Castellammare del Golfo, sequestrati beni per un milione di euro da Domingo, fidato di Messina Denaro e delle cosche americane, la Repubblica, 18 agosto 2022.
  42. Sandro Raimondi, Scambiato per Messina Denaro, arrestato per un’inchiesta nata a Trento, TGR Trento, 14 settembre 2021
  43. Ansa, Mafia, Blitz contro favoreggiatori di Messina Denaro, 35 arresti, 6 Settembre 2022
  44. Le rivelazioni di Baiardo a Giletti: Messina Denaro molto malato e potrebbe farsi arrestare, Corriere della Sera, 16 gennaio 2023
  45. Conferenza Stampa sull'arresto di Matteo Messina Denaro, 16 gennaio 2023.[3]
  46. Rainews24, "Non ho ucciso il piccolo Di Matteo": depositato il verbale dell'interrogatorio di Messina Denaro, 8 agosto 2023.
  47. L’ultimo interrogatorio di Messina Denaro: “Falcone ucciso solo per il Maxiprocesso? Riduttivo, su Capaci vi siete accontentati”, ilFattoQuotidiano.it, 1° ottobre 2023.
  48. Ansa, Matteo Messina Denaro in coma irreversibile, la figlia al suo capezzale, 22 settembre 2023
  49. Ansa, Messina Denaro sepolto nel cimitero di Castelvetrano, 27 settembre 2023
  50. Lirio Abbate, op.cit., p.119
  51. Alessandro D’Amato, Maria Mesi alias Tecla: Chi è l’amante di Matteo Messina Denaro indagata per favoreggiamento, Open, 30 Gennaio 2023
  52. Ministero dell'Interno, Testimonianze di coraggio, Giuseppe Montalto la guardia dell’Ucciardone uccise per avvertimento, 5 gennaio 2018.
  53. Gianluca Monastra, Ergastolo a Totò Riina per la strage, la Repubblica, 22 gennaio 2000.
  54. Dieci Ergastoli per la guerra di mafia a Trapani, La Repubblica, 16 marzo 2003.
  55. Salvo Palazzolo, Per il delitto Di Matteo ergastolo a cinque boss, la Repubblica, 17 maggio 2012.
  56. Salvo Palazzolo, Matteo Messina Denaro condannato anche in appello per le stragi del ‘92: è stato uno dei mandanti, la Repubblica, 20 luglio 2023.

Bibliografia

  • Abbate, Lirio (2020). U siccu. Matteo Messina Denaro: l'ultimo capo dei Capi, Milano, Rizzoli.
  • Archivio Storico "la Repubblica".
  • Commissione parlamentare Antimafia (2017). Relazione sulle infiltrazioni di Cosa Nostra e della 'ndrangheta nella massoneria in Sicilia e Calabria, XVII Legislatura, Relatrice: Pres. Rosy Bindi, Doc. XXIII n. 33, Roma, 21 dicembre[4].
  • Di Girolamo, Giacomo (2017). Matteo Messina Denaro: l'invisibile, Milano, Il Saggiatore.