Ninni Cassarà

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Antonino "Ninni" Cassarà (Palermo, 7 maggio 1947 – Palermo, 6 agosto 1985) è stato un poliziotto italiano, vice-questore aggiunto e vice-capo della Squadra Mobile di Palermo a capo della sezione investigativa, assassinato da Cosa Nostra.

Ninni Cassarà


Biografia

Entrato in polizia a venticinque anni, rinunciando all'ultimo alla carriera da magistrato[1], Cassarà andò a dirigere giovanissimo la Squadra Mobile di Trapani nel 1975, distinguendosi subito per un dinamismo insolito nel contrasto agli interessi mafiosi della città. Nel 1980 la sua intransigenza lo portò a perquisire il circolo Concordia dove si ritrovava tutta la Trapani "bene" per giocare d'azzardo, cosa che portò l'allora questore Giuseppe Aiello[2] a rimuoverlo dalla guida della Squadra Mobile su pressione dei notabili locali[3].

Cassarà venne quindi trasferito a Palermo, dove, dopo un breve tirocinio alla Squadra omicidi, passò subito alla sezione investigativa, su impulso dell'allora capo della Squadra Mobile Ignazio D'Antone. Per prima cosa, Cassarà trasformò la sezione in un ufficio che si occupava esclusivamente di mafia, poi cominciò a scegliere personalmente gli uomini che ne avrebbero dovuto far parte. La scarsità di mezzi (quattro vecchie automobili, niente soldi, niente computer) portava gli uomini della Mobile a farsi prestare mezzi da parenti e/o amici. Lo stesso Cassarà per girare senza pericolo nelle zone di Palermo alla ricerca di latitanti, si faceva prestare la 127 di suo padre, ogni volta mimetizzata da Francesco Accordino della sezione omicidi con targhe di auto mandate al macero[4].

Poi adottò un metodo di lavoro rivoluzionario per l'epoca: ogni squadra avrebbe indagato autonomamente secondo gli incarichi ricevuti, ma tutto sarebbe stato condiviso con le altre squadre: briefing mattutino in cui ciascuna squadra riferiva delle indagini del giorno precedente, circolazione delle notizie fra tutti, nuovi input ed elaborazione delle informazioni fino al minimo particolare. Non veniva tralasciato nulla, nemmeno indizi che a prima vista potevano sembrare irrilevanti.

Il sodalizio con Beppe Montana

Quando dopo l'omicidio del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa arrivò alla Squadra Mobile di Palermo Beppe Montana, che a Catania aveva arrestato alcuni pericolosi boss, l'attività divenne ancora più intensa. Montana, grazie alla sua esperienza, era convinto che i mafiosi latitanti fossero tutti nel proprio territorio di appartenenza, quindi decise di creare una "Squadra Catturandi", scegliendo personalmente gli uomini che ne avrebbero fatto parte. Tra questi vi fu anche Roberto Antiochia. La Catturandi divenne la sesta sezione della questura di Palermo (la quinta era l'Investigativa), occupando inizialmente un ufficio al pian terreno con le finestre sulla strada, poi al primo piano per via della scarsa sicurezza, dopo aver vinto le resistenze di Montana.

Fisicamente, gli uffici di Cassarà e Montana distavano due stanze l'uno dall'altro e questo contribuì a sviluppare un'intensa collaborazione tra le due sezioni, che nel mentre svilupparono anche solidi rapporti con il Nucleo Operativo dei Carabinieri, la sezione anticrimine guidata da Angiolo Pellegrini e l'ufficio istruzione guidato prima da Rocco Chinnici e poi da Antonino Caponnetto.

Le indagini internazionali

Cassarà, che aveva già conosciuto Giovanni Falcone a Trapani, affiancò quest'ultimo nell'indagine Pizza Connection, che avrebbe svelato l'intenso traffico di stupefacenti tra gli USA e la Sicilia, assicurando alla giustizia diversi boss italo-americani e mafiosi siciliani. Insieme ad Angiolo Pellegrini scrisse poi il famoso rapporto "Michele Greco + 161", che poi fecero dattiloscrivere da un agente, dato che da Roma non arrivavano i computer richiesti per l'immane lavoro, che durò 44 notti[5].

Rassegnato all'idea di non ricevere alcun supporto da Roma, Cassarà finì per chiedere a colleghi e cronisti di sottoscrivere una carta di credito della Diners, la quale ogni dieci iscritti regalava un computer, il primo dei quali arrivò ai primi di agosto del 1985[6], ma dopo quel fatidico 6 agosto in cui Cassarà perse la vita.

Al processo di Caltanissetta per la morte di Rocco Chinnici, inoltre, confermò insieme ad Angiolo Pellegrini la circostanza che il capo dell'Ufficio Istruzione stesse per emettere dei mandati di cattura nei confronti dei cugini Salvo.

La morte di Salvatore Marino

I successi investigativi di Montana segnarono la sua condanna a morte e la sera di domenica 28 luglio 1985, dopo una giornata trascorsa al mare con la fidanzata e gli amici, fu freddato da quattro colpi in faccia sparati da una 357 Magnum e una calibro 38 con proiettili ad espansione, mentre si trovava in sandali e costume da bagno, ovviamente disarmato, mentre riportava in un cantiere di rimessaggio il motoscafo, a Porticello, frazione marina del comune di Santa Flavia, in provincia di Palermo.

L'omicidio di Montana scatenò la rabbia dei suoi uomini e la scarsa lucidità portò a un'altra tragedia. Un testimone parò di una Peugeot 205 azzurra usata dai killer, che risultò poi essere intestata al calciatore del Pro Bagheria Salvatore Marino, molto ben voluto nei quartieri popolari di Palermo. Arrivati a casa sua, senza trovarlo, durante la perquisizione gli agenti ritrovarono 34 milioni di lire in contanti, di cui 10 avvolti in un giornale che riportava la notizia della morte di Montana. Interrogato al riguardo, Marino disse che erano stati dati dalla sua squadra, che però smentì la circostanza. Il giorno successivo il calciatore si presentò con il proprio avvocato in Questura, andando però alla sezione anti-rapine e là, nel tentativo di estorcergli informazioni, venne torturato e non sopravvisse all'interrogatorio.

Il 5 agosto si celebrarono i funerali del giovane calciatore e l'indignazione popolare portò l'allora ministro dell'Interno Oscar Luigi Scalfaro, dopo un incontro con il presidente del Consiglio Bettino Craxi, a sollevare dall'incarico con apposito decreto il capo della Squadra Mobile Francesco Pellegrino, il Capitano dei Carabinieri Gennaro Scala e il dirigente della sezione antirapine Giuseppe Russo. Anche se l'intento del ministro era quello di restituire credibilità alle istituzioni, l'effetto fu quello di decapitare i vertici investigativi della lotta alla mafia in un momento difficilissimo per gli uomini dello Stato.

L'omicidio

Nei giorni immediatamente successivi alla morte di Montana, Cassarà fu lasciato solo. Alla riunione in Questura due giorni dopo la morte di Montana, Cassarà annunciò l'arrivo da Roma di Antiochia e disse che avrebbe potuto contribuire alle indagini sulla morte di Montana, avendo passato diversi giorni a luglio con lui e quindi era a conoscenza delle ipotesi investigative elaborate dal suo amico, ma nonostante questo non gli vennero affidate le indagini sulla sua morte. Ritenendosi oramai "un morto che cammina", come si era detto con Montana qualche tempo prima, non voleva essere scortato[7]. Cosa che realmente si stava verificando, per via del fatto che molti agenti stavano andando in ferie, tanto Antiochia decise di rimanere a Palermo per scortarlo, nonostante non si trovasse in servizio.

Nonostante le precauzioni di uscire sempre ad orari diversi dalla Questura per il rientro a casa e i cenni dal balcone da parte della moglie che dava il via libera in assenza di uomini sospetti sulla strada, quel 6 agosto 1985 Cosa Nostra fece in modo che l'attentato andasse a buon fine. I killer si erano appostati alle finestre del palazzo di fronte e quando, verso le 15:30, l'Alfetta bianca blindata targata 728966 arrivò al civico 77 di via Croce Rossa, si scatenò l'inferno: furono oltre 200 i colpi di kalashnikov sparati all'indirizzo di Cassarà[8].

L'autista dell'auto, Natale Mondo, si salvò gettandosi sotto l'auto, mentre Giovanni Salvatore Lercara, 25 anni, riuscì a salvarsi solo perché scivolando batté la testa contro il gradino del portone. Roberto Antiochia invece fu invece ucciso e con lui se ne andò anche una mente brillante utile alle indagini sulla morte di Montana.

Le reazioni e i funerali

A rendere omaggio alla salma di Cassarà e Antiochia arrivarono anche l'allora presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, e il ministro Scalfaro, che venne però duramente contestato anche durante i funerali. La protesta per l'inerzia dello Stato si estese a tutto il Paese: ad Agrigento il personale della questura si auto-consegnò in blocco, a Roma 700 agenti rifiutarono il rancio per due giorni, mentre a Palermo 200 agenti chiesero il trasferimento. Il Ministero degli Interni inviò così 800 tra poliziotti, carabinieri e finanzieri per la lotta alla mafia in Sicilia e la questura di Palermo venne riorganizzata con la fusione della Mobile con le volanti.

Indagini e processi

Come riferì poi lo stesso Falcone[9] e come fu accertato in sede giudiziaria, Cassarà aveva avuto uno o più traditori al suo fianco, dato che la notizia della sua partenza dalla questura quel giorno poteva arrivare solo da una talpa. Inoltre, l'agguato a Cassarà era preparato da mesi[10]

Nel 1989 iniziò il processo "Michele Greco + 32", che unificava le indagini sulla morte di Montana, Cassarà e Antiochia. La sentenza di primo grado, emessa il 17 febbraio 1995, condannò i principali esponenti della Commissione (Greco, Riina, Provenzano, Brusca, Madonia) all'ergastolo in qualità di mandanti, con sentenza poi confermata nel 1998 dalla Cassazione[11].

Durante il processo celebrato nel 1997 contro "Francesco Madonia + 25", il pentito Francesco La Marca riferì che per uccidere Cassarà i capi mandamento si erano accordati per far partecipare uno o più membri di ogni "famiglia". La prima riunione avvenne il 3 agosto, subito dopo la morte di Marino, al Fondo Pipitone, nel garage di Enzo Galatolo. Arrivato là, La Marca trovò il suo capo Nino Madonia insieme a Pippo Gambino, Raffaele Ganci, i fratelli Enzo, Giuseppe e Raffale Galatolo, Calogero Ganci, Giovanni Motisi, Paolo Anzelmo, Salvatore Biondino e altre persone che non conosceva, in tutto una ventina.

Su ordine di Raffaele Ganci, La Marca rubò un vespone e un vespino, portandoli al Fondo Pipitone, che però non vennero usati nella strage. Durante il sopralluogo in via Croce Rossa con Nicola Di Trapani verificarono che la radio ricetrasmittente fosse in grado di ricevere messaggi alla distanza di cento metri dal portone della casa di Cassarà.

Il 6 agosto, appena la radio trasmise la notizia dell'arrivo di Cassarà, tre gruppi di uomini salirono le scale e si piazzarono alle finestre del secondo, terzo e quarto piano, in attesa dell'auto, per poi andarsene senza problemi.

Note

  1. Saverio Lodato, Quarant'anni di Mafia, Milano, Bur, 2013, p.159
  2. ibidem
  3. Jole Garuti, In nome del figlio, Milano, Melampo, 2017, p.62
  4. Jole Garuti, op.cit., p.63
  5. Angiolo Pellegrini, Francesco Condoluci, Noi, gli uomini di Falcone, Milano, Sperling & Kupfer, 2015, pp.71-92
  6. Riportato da Attilio Bolzoni, che partecipò alla sottoscrizione, a Pierpaolo Farina di WikiMafia
  7. Jole Garuti, op.cit., p.82
  8. Leonardo Coen, Duecento colpi di Kalashnikov, la Repubblica, 7 agosto 1985
  9. Cose di Cosa Nostra, p.157-158
  10. "Era preparato da mesi l'agguato a Cassarà", la Repubblica, 8 agosto 1985
  11. Jole Garuti, op.cit., p.155

Bibliografia

  • Archivio Storico de "la Repubblica"
  • Jole Garuti, In nome del figlio - Saveria Antiochia, una madre contro la mafia, Milano, Melampo Editore, 2017
  • Saverio Lodato, Quarant'anni di mafia, Milano, BUR, 2013
  • Angiolo Pellegrini, Francesco Condoluci, Noi, gli uomini di Falcone, Milano, Sperling & Kupfer, 2015