Pompeo Panaro: differenze tra le versioni

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Un uomo dedito al lavoro, alla famiglia e alla vita politica del suo paese: questo fu Pompeo Panaro, marito di '''Silvana Di Blasi''' e padre di '''Paolo''' e '''Antonella'''.
Un uomo dedito al lavoro, alla famiglia e alla vita politica del suo paese: questo fu Pompeo Panaro, marito di '''Silvana Di Blasi''' e padre di '''Paolo''' e '''Antonella'''.


Da commerciante Pompeo lavorò nel negozio di generi alimentari di famiglia, sempre disponibile e generoso nei riguardi dei clienti, soprattutto di quelli più bisognosi, disposto a fare credito e a non pretendere il denaro di fronte a difficoltà economiche; si occupò della gestione di diversi appalti per la distribuzione degli alimenti nelle mense locali con grande dedizione, al punto che nell'anno 1982 l’attività di famiglia arrivò a fatturare incredibilmente un miliardo di vecchie lire, un traguardo che festeggiò con tutti i suoi cari e il resto della città<ref>[http://Storia%20di%20Pompeo,%20testimone%20scomodo%20sepolto%20nel%20cimitero%20della%20‘ndrangheta”,%20Inchieste%20la%20Repubblica,%202%20maggio%202013 Storia di Pompeo, testimone scomodo sepolto nel cimitero della ‘ndrangheta”, Inchieste la Repubblica, 2 maggio 2013]</ref>
Da commerciante Pompeo lavorò nel negozio di generi alimentari di famiglia, sempre disponibile e generoso nei riguardi dei clienti, soprattutto di quelli più bisognosi, disposto a fare credito e a non pretendere il denaro di fronte a difficoltà economiche; si occupò della gestione di diversi appalti per la distribuzione degli alimenti nelle mense locali con grande dedizione, al punto che nell'anno 1982 l’attività di famiglia arrivò a fatturare incredibilmente un miliardo di vecchie lire, un traguardo che festeggiò con tutti i suoi cari e il resto della città<ref>[http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/05/02/news/storia_di_pompeo_testimone_scomodo_sepolto_nel_cimitero_della_ndrangheta2222-57435740/ Storia di Pompeo, testimone scomodo sepolto nel cimitero della ‘ndrangheta”, Inchieste la Repubblica, 2 maggio 2013]</ref>
 
===L’impegno politico===
===L’impegno politico===
“''[…] La mia iscrizione alla Dc aveva spezzato una tradizione quasi centenaria nella mia famiglia, proprio in un momento in cui questa tradizione poteva anche rendere dei frutti concreti. Questo dimostra, però, che la mia è stata una scelta assolutamente ideale, intimamente sentita e profondamente meditata, perché mi sento di essere sinceramente cristiano ed obiettivamente democratico. E non l’ho fatto nei momenti di maggiore bisogno, che pur tanti ne ho avuti, ma soltanto in un momento in cui, libero da pesanti pressioni materiali, potevo più liberamente guardare a valori ben più alti e tendere a fini essenzialmente superiori. Non ho tentato, neanche nei momenti di maggiore bisogno di arraffarmi un posticino qualsiasi, come per esempio quello di iscrivermi nella pur nobile famiglia degli impiegati comunali, con l’intrallazzo politico; come invece ha fatto e continua a fare qualche altro, riducendo il Comune di Paola ad una specie di succursale famigliare […]''”. Uomo di grandi principi democratici e cristiani, si avvicinò alla Dc spinto da forti ideali di legalità, dalla voglia di portare nuove politiche di miglioramento per la crescita consapevole della comunità, denunciando apertamente le pratiche di clientelismo e opportunismo di alcuni soggetti vicini all'amministrazione comunale.
“''[…] La mia iscrizione alla Dc aveva spezzato una tradizione quasi centenaria nella mia famiglia, proprio in un momento in cui questa tradizione poteva anche rendere dei frutti concreti. Questo dimostra, però, che la mia è stata una scelta assolutamente ideale, intimamente sentita e profondamente meditata, perché mi sento di essere sinceramente cristiano ed obiettivamente democratico. E non l’ho fatto nei momenti di maggiore bisogno, che pur tanti ne ho avuti, ma soltanto in un momento in cui, libero da pesanti pressioni materiali, potevo più liberamente guardare a valori ben più alti e tendere a fini essenzialmente superiori. Non ho tentato, neanche nei momenti di maggiore bisogno di arraffarmi un posticino qualsiasi, come per esempio quello di iscrivermi nella pur nobile famiglia degli impiegati comunali, con l’intrallazzo politico; come invece ha fatto e continua a fare qualche altro, riducendo il Comune di Paola ad una specie di succursale famigliare […]''”. Uomo di grandi principi democratici e cristiani, si avvicinò alla Dc spinto da forti ideali di legalità, dalla voglia di portare nuove politiche di miglioramento per la crescita consapevole della comunità, denunciando apertamente le pratiche di clientelismo e opportunismo di alcuni soggetti vicini all'amministrazione comunale.

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Pompeo Panaro
“Si è fatto sì che di papà si perdesse anche la memoria. Non si è valutato se l’uomo, il politico e la vittima di mafia meritasse o meno un riconoscimento” (Paolo, figlio di Pompeo Panaro)

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Pompeo Panaro (Paola 30 maggio 1934 – Paola 28 luglio 1982) è stato un commerciante ed esponente politico calabrese ucciso, silenziosamente, dalla ‘ndrangheta e fatto sparire nelle montagne dell’alto tirreno cosentino.


Biografia

Un uomo dedito al lavoro, alla famiglia e alla vita politica del suo paese: questo fu Pompeo Panaro, marito di Silvana Di Blasi e padre di Paolo e Antonella.

Da commerciante Pompeo lavorò nel negozio di generi alimentari di famiglia, sempre disponibile e generoso nei riguardi dei clienti, soprattutto di quelli più bisognosi, disposto a fare credito e a non pretendere il denaro di fronte a difficoltà economiche; si occupò della gestione di diversi appalti per la distribuzione degli alimenti nelle mense locali con grande dedizione, al punto che nell'anno 1982 l’attività di famiglia arrivò a fatturare incredibilmente un miliardo di vecchie lire, un traguardo che festeggiò con tutti i suoi cari e il resto della città[1]

L’impegno politico

[…] La mia iscrizione alla Dc aveva spezzato una tradizione quasi centenaria nella mia famiglia, proprio in un momento in cui questa tradizione poteva anche rendere dei frutti concreti. Questo dimostra, però, che la mia è stata una scelta assolutamente ideale, intimamente sentita e profondamente meditata, perché mi sento di essere sinceramente cristiano ed obiettivamente democratico. E non l’ho fatto nei momenti di maggiore bisogno, che pur tanti ne ho avuti, ma soltanto in un momento in cui, libero da pesanti pressioni materiali, potevo più liberamente guardare a valori ben più alti e tendere a fini essenzialmente superiori. Non ho tentato, neanche nei momenti di maggiore bisogno di arraffarmi un posticino qualsiasi, come per esempio quello di iscrivermi nella pur nobile famiglia degli impiegati comunali, con l’intrallazzo politico; come invece ha fatto e continua a fare qualche altro, riducendo il Comune di Paola ad una specie di succursale famigliare […]”. Uomo di grandi principi democratici e cristiani, si avvicinò alla Dc spinto da forti ideali di legalità, dalla voglia di portare nuove politiche di miglioramento per la crescita consapevole della comunità, denunciando apertamente le pratiche di clientelismo e opportunismo di alcuni soggetti vicini all'amministrazione comunale.

Da persona impegnata nella vita sociale, Pompeo, militante della Dc per diversi anni, rivestì svariati incarichi pubblici tra i quali dirigente del partito politico, assessore, vicesindaco e sindaco nel comune di Paola (CS). Durante questi anni, Pompeo fu sensibile alle attività sociali: per conto del comune, si occupò della gestione E.C.A. - Ente Comunale di Assistenza, un fondo di assistenza per le persone e le famiglie in condizioni di necessità - e dell’assegnazione delle pensioni ai soggetti più bisognosi.

Il suo allontanamento dalla Dc fu oggetto di discussione in un suo ultimo discorso tenuto in Comune: “Con il coraggio e la lealtà di sempre, ho rivendicato la mia piena libertà d’azione, e ciò perché non sono assolutamente disposto a mettermi sotto i piedi la legge, neanche quando questa si concretizza in un regolamento qualsiasi, liberamente formulato e responsabilmente approvato con l’opposizione della mia firma di galantuomo […] Non si può continuare in questa politica ambigua e catastrofica che rifiuta il metodo ed i contenuti democratici e svuota la partecipazione. Io dirò di no ad ogni manifestazione antidemocratica, come del resto ho sempre fatto; ad ogni fatto conservatore ed accentratore di ogni potere in poche mani, qualsiasi esse siano […] dirò di no ad ogni meta che eventualmente si volesse raggiungere, come finora si è fatto, nel disinteresse, senza dibattiti e senza una diffusa spinta alla partecipazione consapevole della base; così come dirò di no ad ogni scelta che dovesse avvenire sotto la spinta di interessi spiccioli particolaristici e personali”.

L’omicidio

Nel 1982 la quotidianità di Pompeo Panaro e della sua famiglia venne travolta da una serie di eventi che ancora oggi non trovano risposte definitive: un omicidio di mafia silenzioso, camuffato, insabbiato, dimenticato. Prima la scomparsa, una sera di luglio, scambiata erroneamente e superficialmente per allontanamento volontario; poi un anno dopo, nel 1983, la possibilità di fare luce sull'accaduto, in seguito ad una telefonata anonima, infatti, vennero ritrovati i suoi resti bruciati e carbonizzati, in una zona montuosa locale. Successivamente tutto si complicò: strane dimenticanze circa l’ufficializzazione della morte presso gli enti comunali, la mancata informazione data alla moglie e ai figli sul ritrovamento; nel 1984 la sparizione del fascicolo aperto sull'omicidio volontario, archiviato a carico di ignoti; nel 1994 la dichiarazione di presunta morte; nel 1997 e 2007-2012 le dichiarazioni di due pentiti sull'omicidio Panaro, l’ipotesi di lupara bianca e paradossalmente tanto, troppo, silenzio da parte delle istituzioni. Fino al 2012, anno che segnò un cambiamento nelle indagini.

Ci sono voluti all'incirca trent'anni per rompere il silenzio sulla morte di Pompeo e questo solo grazie al figlio Paolo che chiese e ottenne la riapertura del caso, in verità omicidio di ‘ndrangheta di cui Pompeo fu una vittima innocente a soli 48 anni.

La scomparsa silenziosa

Il 28 luglio del 1982, come ogni sera, alle 21 circa Pompeo Panaro chiuse la sua attività commerciale sita in via Duomo per raggiungere la moglie Silvana in Piazza IV Novembre. Quella sera Pompeo salì su una Fiat 127 che si fece prestare dal cognato dopo aver subito il furto della sua vettura. All'appuntamento con Silvana però l’uomo non arrivò mai; quel mercoledì di luglio, Pompeo scomparve e solo il giorno seguente fu presentata una denuncia dal fratello[2]. La sera stessa della scomparsa fu ritrovata l’auto guidata da Pompeo, in via Baracche, chiusa a chiave e regolarmente parcheggiata ma sul caso scese un incredibile silenzio.

[…] Probabilmente mi dissero che papà era partito, che era andato all'estero. Questa voce circolò molto e io di fatto mi convinsi che quella possibilità poteva essere reale[3]. Altre voci di paese sussurravano che l’uomo venne rapito e tenuto prigioniero, in località Baracche, luogo del ritrovamento della Fiat 127.

Il ritrovamento dei resti umani e le indagini

Dopo circa un anno dalla scomparsa di Pompeo, il 15 giugno 1983, una telefonata anonima all'allora commissario di Paola, Antonio Cappelli, – poliziotto di ferro temuto dalla criminalità – aprì uno spiraglio sulla sparizione dell’uomo. Località Trifoglio fu l’indicazione riportata dalla voce anonima per l’individuazione del corpo di Pompeo ucciso, bruciato e sepolto; inoltre, la fonte anonima si preoccupò di far pervenire al comandante una busta con dentro un foglio su cui era disegnata la mappa della località Trifoglio e l’indicazione esatta del punto in cui erano sepolti i resti di Pompeo[4] [5].

Nel punto descritto, le autorità con l’aiuto degli escavatori ritrovarono i resti di un corpo umano, brandelli di vestiti, un contenitore con del liquido infiammabile, dopo dieci giorni, una chiave di un immobile di Pompeo.

Nonostante il ritrovamento ed il successivo riconoscimento delle prove certe attraverso perizia ufficiale disposta dalla procura di Paola presso l’università di Napoli nel 1984, la morte di Pompeo non venne registrata: “questo semplice atto amministrativo non avviene perché il documento rimane nel fascicolo […] dopo il riconoscimento ufficiale nessuno ci ha comunicato l’esito[6] [7]. Il 10 febbraio 1984 con l’atto n. 1297/82 R.G., i resti ritrovati furono restituiti non alla moglie ma ai fratelli di Pompeo. “Si comunica che in località Trifoglio, agro del comune, sono stati rinvenuti resti umani identificati come appartenuti al cadavere di Pompeo Panaro” questo quanto riportato nei documenti del 10 febbraio 1984[8].

Il 21 marzo del 1984, su richiesta del pubblico ministero Luigi Belvedere, il giudice istruttore del Tribunale di Paola dispose l’archiviazione del caso d’omicidio a carico di ignoti così motivandolo: “Ritenuto che gli atti assunti forniscono la prova oggettiva del fatto denunciato, ma non offrono alcun indizio sugli autori di esso, si dichiara il non doversi procedere per essere ignoti coloro che hanno commesso il reato”. Da quel momento delle prove (le chiavi, le parti di scheletro, il vestiario e la scarpa) ritrovate durante le ricerche, in contrada Trifoglio, non si ebbe più traccia; a seguito di tutti gli accadimenti giudiziari che si susseguirono dal 1984, venne omesso anche il fascicolo d’omicidio senza un motivo preciso.

Così 22 novembre 1994, dieci anni dopo la scomparsa del commerciante paolano, con provvedimento del Tribunale tirrenico fu dichiarata, assurdamente, la morte presunta di Pompeo Panaro[9]; sul ritrovamento dei resti di Pompeo non fu aperto alcun atto d’ufficio e quindi venne confermata la morte presunta; il fascicolo contenente tutte le informazioni sulla telefonata anonima, il ritrovamento dei resti, la perizia, l’identificazione, la restituzione e l’archiviazione d’omicidio a carico di ignoti venne paradossalmente dimenticato come venne dimenticata l’ufficializzazione della morte di Pompeo presso gli uffici competenti; Pompeo quindi continuò a risultare persona scomparsa.

Le rivelazioni dei pentiti

Nel 1997 il caso Panaro tornò a far parlare[10]; la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro acquisì il vecchio fascicolo e anche alcuni pentiti locali fecero il nome di Pompeo Panaro, durante delle operazioni antimafia.

A parlare dell’omicidio Panaro furono Fedele Soria e Giuliano Serpa.

Il 5 febbraio del 1997, dopo quattordici anni di silenzio, in un verbale segreto sottoscritto da Fedele Soria, il picciotto della storica ‘ndrina dei Serpa parlò dell’omicidio: fece il nome dell’uomo che si occupò dello spostamento del cadavere di Pompeo in località Trifoglio; indicò i nomi di quattro uomini, appartenenti alla ‘ndrina Serpa, informati sull'omicidio e sul luogo preciso del seppellimento; inoltre, il pentito dichiarò che per uccidere il commerciante venne utilizzata una pistola 38 Cobra, sequestrata poi dai carabinieri. Infine, Soria confidò per poi smentire le cause dell’omicidio, ovvero problemi sul pagamento dell’affitto di un’abitazione che il commerciante impegnò ad un uomo di comando della ‘ndrangheta. Secondo l’uomo, Pompeo si lamentò più volte di questa mancanza anche con altre persone e per questo malcontento venne punito con la morte. Per questi motivi, il commerciante paolano dapprima venne rapito e ucciso da un uomo di fiducia dell’organizzazione e poi seppellito nella zona montuosa da un secondo affiliato[11]. Nonostante queste rivelazioni, il caso venne nuovamente archiviato nel 2004; anche le successive inchieste “Costa”, “Missing” e “Tela del Ragno” della DDA di Catanzaro portarono nuovamente a considerare un caso di lupara bianca la morte di Panaro, in quanto del fascicolo d’omicidio volontario del 1984 continuò ad essere ignorato.

Nel 2007 il boss pentito Giuliano Serpa parlò dell’omicidio di Pompeo Panaro confermando la ricostruzione di Soria e di aver partecipato al delitto[12].

Sulla morte del commerciante e politico paolano, Giuliano Serpa aggiunse nuovi particolari: ad ucciderlo fu un colpo di pistola al cuore; l’ordine di uccidere partì da Ennio Serpa – cugino di Giuliano – detenuto nel carcere di Cosenza[13].

La motivazione di questo atto criminale fu motivata da una sospetta collaborazione di Pompeo con gli investigatori nella risoluzione di un altro caso di omicidio che portò all'arresto di due picciotti della ‘ndrina, l’11 febbraio 1982[14]; secondo il pentito Giuliano Serpa, infatti, Pompeo Panaro informato sull'omicidio di Luigi Gravina – commerciante ucciso dalla ‘ndrangheta– fece arrestare i latitanti che presero in affitto un immobile di sua proprietà per sfuggire alla cattura[15]. Dalle dichiarazioni del pentito Serpa fu possibile ricostruire la dinamica dell’omicidio. Al commerciante paolano venne dapprima rubata l’automobile, poi fu contattato da un emissario della ‘ndrina; con l’intenzione di riappropriarsi della propria vettura, Pompeo si recò nel luogo stabilito. Giunto sul posto, Pompeo fu sottoposto ad interrogatorio sulla sua presunta collaborazione con le forze dell’ordine ma non trovando riscontro positivo alle domande Mario Serpa decise di lasciarlo andare via. Mentre Pompeo si stava allontanando un uomo che prese parte all'incontro (del quale il pentito fornì il nominativo) sparò con la “Cobra” calibro 38 verso di lui; il cadavere venne sepolto e fatto sparire nelle montagne locali.

Inoltre, in un verbale di acquisizione di intercettazioni in carcere, dell’omicidio Panaro parlò anche Mario Serpa -il capo indiscusso della ‘ndrina di Paola negli anni ’80-[16]. Nonostante si accusò dell’omicidio Panaro insieme ad altre tredici persone, il pentito Serpa fu l’unico ad essere processato.

La reazione del figlio Paolo: la fine del silenzio e la riapertura del caso

Avevo nove anni quando scomparve mio padre e ho di lui dei ricordi molto vaghi perché il silenzio che mi ha avvolto dopo la sua scomparsa, ha lavorato molto dentro di me facendo un’opera di erosione costante e subdola, privandomi anche del prima, degli anni in cui avevo ancora papà […] Io sono andato avanti con la mia vita, scuola, amici, università fino a 27 anni quando parlando con una persona che conoscevo da tempo mi ha fatto riflettere sulla scomparsa di mio padre e sulla mia totale disinformazione su ciò che era accaduto. La prima cosa che ho fatto è stato chiedere ai miei familiari di avere maggiori informazioni su quello che era successo allora. Non mi aspettavo le grandi rivelazioni ma un confronto tranquillo che avrebbero potuto essere anche le sole chiacchiere del paese. Ma la loro reazione è stata inaspettata e incomprensibile. Si è scatenato l’inferno e mi sono sentito chiedere perché andavo contro di loro. Questo atteggiamento mi creò subito sospetti e mi resi conto di essere da solo di fronte alla ricerca di verità[17].

Nel 2011 Paolo Panaro, il figlio di Pompeo, scoprì molti dettagli sulla ‘scomparsa’ del padre; venne a conoscenza del fascicolo per omicidio e del fatto che due pentiti di ‘ndrangheta ricostruirono l’omicidio di Pompeo durante degli interrogatori. Su Calabria Ora, un giornale locale, lesse un articolo sulle vittime di ‘ndrangheta dal quale apprese che esistevano atti giudiziari sulla vicenda di suo padre; non ricevendo risposte dalla sua famiglia, Paolo si mobilitò in modo autonomo e, il 31 maggio 2011, riuscì a recuperare il fascicolo sulle indagini per poi chiedere nel 2012 e ottenere dalla magistratura la riapertura del caso sulla morte di suo padre.

Nel 2013 venne richiesto il test del DNA sui resti di Pompeo che si ritrovarono in una scatola di zinco, nella cappella di famiglia: coperto con della carta da pacchi fu rinvenuto l’omero, ma non i capelli, fondamentali per l’identificazione del DNA e i frammenti di cranio ritrovati nel 1983, secondo i documenti mai consegnati ai parenti[18] [19].

Con questo atto, paradossalmente per la seconda volta, venne formalizzato il ritrovamento del corpo di Pompeo, dimenticato dalla magistratura per trent'anni[20].

Le scoperte fatte sulla morte di suo padre portarono Paolo a dubitare sulla corretta gestione del caso: “Si è solo badato a non far trapelare nulla. E in definitiva il risultato, finora è stato che gli assassini sono rimasti liberi di delinquere e il sacrificio, il coraggio di un uomo che ha sfidato la malavita in quegli anni di fuoco, denunciando gli esecutori di un altro omicidio, invece di essere portato come esempio alle generazioni future da chi ne aveva obbligo e dovere istituzionale e civile è stato anzi soffocato, vilipeso, offeso fino alla dimenticanza più totale[21].

Per Paolo la morte di suo padre ha dell’incredibile: la magistratura si dimenticò del ritrovamento di un corpo, periziato ed identificato, commettendo un errore giudiziario senza precedenti. Collusione, corruzione, connivenza sintetizzano bene l’omicidio di ‘ndrangheta dimenticato di Pompeo.

L’archiviazione del caso

Nel 2013, in seguito alla presentazione dell’esposto da parte di Paolo, figlio di Pompeo Panaro, la DDA riaprì il caso. Le importanti rivelazioni fatte da Giuliano Serpa, pentito di ‘ndrangheta, portarono a dodici indagati: undici di loro considerati deceduti anche se in realtà lo erano solo tre[22]. In conclusione, per l’omicidio di Pompeo Panaro, il P.M. Bruni con la sua richiesta di nove anni di reclusione riconobbe solo la responsabilità di Giuliano Serpa, il quale però venne assolto perché il reato cadde in prescrizione[23] [24].

In memoria

Una storia di omissioni, connivenze, depistaggi, ingiustizie, perpetrate per oltre trent'anni” queste le parole di don Ennio Stamile, referente regionale di Libera Calabria[25].

A Paola, il 21 luglio di ogni anno viene celebrata la giornata in ricordo di Tonino Maiorano e di tutte le vittime innocenti di mafia del territorio.

Nonostante le richieste del figlio, in ricordo di Pompeo Panaro non vi è alcuna memoria in sede comunale né come politico né come vittima di mafia.

Note

  1. Storia di Pompeo, testimone scomodo sepolto nel cimitero della ‘ndrangheta”, Inchieste la Repubblica, 2 maggio 2013
  2. La storia di Pompeo Panaro, il consigliere comunale ammazzato dalla ‘ndrangheta, Fanpage.it, 29 settembre 2017
  3. La mia battaglia per la verità. Paolo Panaro, Diario della memoria, il Quotidiano del Sud, 3 agosto 2016
  4. Vittima di mafia, non per lo Stato, archivio il Quotidiano
  5. La mappa dell’orrore spedita alla polizia, archivio Gazzetta del Sud
  6. Storia di Pompeo, testimone scomodo sepolto nel cimitero della ‘ndrangheta, la Repubblica – Inchieste, 2 maggio 2013
  7. La morte di Panaro non fu segnalata Gazzetta del Sud, 8 marzo 2014
  8. Morte di Panaro, il mistero s’infittisce. Al Comune non ci sono atti di sepoltura Gazzetta del Sud, 23 agosto 2012
  9. Il picciotto sul delitto Panaro Calabria Ora, 18 ottobre 2011
  10. Indagini sull'omicidio Panaro. Altri pentiti pronti a parlare Gazzetta del Sud 27 settembre 2013
  11. Il picciotto sul delitto Panaro Calabria Ora, 18 ottobre 2011
  12. Ibidem
  13. Nove indagati per il delitto di Pompeo Panaro, Gazzetta del Sud, 11 febbraio 2014
  14. Mamma ‘ndrangheta,A. Badolati, Pellegrini editore, 2014
  15. Ibidem
  16. Indagini sull'omicidio Panaro. Altri pentiti pronti a parlare Gazzetta del Sud, 27 settembre 2013
  17. La mia battaglia per la verità Paolo Panaro in Diario della memoria, il Quotidiano del Sud, 3 agosto 2016
  18. Ibidem
  19. Quei resti sono di Panaro L’ora della Calabria 27 settembre 2013
  20. Se lo Stato trasforma in farsa perfino la guerra alla mafia, Il Giornale, 21 giugno 2012
  21. Paola, non si dimentica Pompeo Panaro, Infopinione, 29 luglio 2016
  22. Delitto di Pompeo Panaro. Undici coinvolti per errore L'ora della Calabria, 1 aprile 2014
  23. Ibidem
  24. Venne ucciso più di trent'anni fa. Scatta la prescrizione per il reato il Quotidiano del Sud, 18 Aprile 2015
  25. Ibidem

Bibliografia

  • Archivio Gazzetta del Sud
  • Badolati A., Mamma ‘ndrangheta, Pellegrini Editore, 2014
  • Indignato Speciale, rubrica TG5, 9 dicembre 2015
  • Testimonianza della famiglia, resa a Sabrina Lattuca per Wikimafia