Raffaele Cutolo

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«Se parlo ballano le scrivanie di mezzo Parlamento»
(Raffaele Cutolo)
Raffaele Cutolo
Raffaele Cutolo

Raffaele Cutolo (Ottaviano, 20 dicembre 1941 – Parma, 17 febbraio 2021) detto anche “‘O Professore”, è stato uno tra i più importanti boss della camorra, fondatore della Nuova Camorra Organizzata.

Come evidenziò la Commissione parlamentare antimafia[1], nonostante Cutolo rimase detenuto quasi ininterrottamente dal 1963, salvo brevi periodi di latitanza, riuscì a mettere in piedi e a dirigere un'organizzazione criminale che poteva contare su migliaia di affiliati sparsi su un territorio vasto centinaia di chilometri, a coltivare rapporti con esponenti di alto rango delle istituzioni e della politica, oltre a comunicare con l’esterno come e quando voleva.

Biografia

Raffaele Cutolo nacque in una famiglia modesta, in un contesto sociale problematico come quello di Ottaviano. Figlio di Michele Cutolo e Carolina Ambrosio, il padre era un contadino mezzadro, che con due soci gestiva una piccola azienda ortofrutticola, mentre la madre era una lavandaia. Dopo aver conseguito la licenza elementare, lavorò come apprendista in diverse botteghe artigianali locali (prima come falegname, poi come fabbro, barbiere e sarto) e in un'azienda vinicola, la Lacrima Christi, prima di imboccare definitivamente la strada del crimine, prima come parcheggiatore abusivo, poi a capo di una banda composta da cinque paesani, dedita a piccoli furti ed estorsioni[2].

Nel 1962 ebbe il suo primo figlio, nato dalla relazione con la fidanzata dell'epoca, Filomena Liguori. Roberto Cutolo, il suo unico figlio maschio, venne tuttavia riconosciuto solo diciotto anni più tardi e il padre continuò a comportarsi come se non esistesse, chiudendo anche la relazione con la madre Filomena[3].

Il primo omicidio

Il 24 febbraio 1963 Cutolo, appena 22enne, compì il suo primo omicidio. Intorno alle 14:30, mentre stava percorrendo con la Fiat 1100 della sorella il viale principale di Ottaviano in compagnia dell'amico Armando Visone, Cutolo rischiò di investire una bambina di 12 anni, Nunzia Arpaia, che reagì dandogli del cretino. A quel punto il futuro boss, all'epoca parcheggiatore abusivo, scese dalla macchina e la prese a schiaffi in malo modo, scatenando la reazione del fratello e di un amico, che intervennero per difenderla, dando il via a una rissa[4].

A quel punto Mario Viscito, muratore di 33 anni che si trovava a passare di lì per caso insieme al cognato e compagno di lavoro Salvatore Moccia, si intromise nel tentativo di separare i due contendenti. Cutolo a quel punto estrasse la sua pistola e si mise a sparare, facendo fuoco otto volte contro Viscito, che morì poco dopo durante il trasporto all'ospedale Loreto Mare[5].

Cutolo si diede alla fuga per scampare all'arresto, ma dopo tre giorni, rimasto senza soldi, fu costretto a costituirsi. A quel punto il Pretore di Ottaviano ne ordinò la reclusione presso il carcere di Poggioreale. Processato per direttissima, venne condannato in primo grado all'ergastolo, pena ridotta a 24 anni in Appello. In attesa del giudizio in Cassazione, nel maggio 1970 Cutolo venne scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare e si diede latitante.

Ascesa di un boss

Negli anni della carcerazione a Poggioreale, Cutolo costruì la sua leggenda criminale. Il soprannome “‘O Professore” se lo guadagnò perché in cella si dedicava prevalentemente a leggere libri e a scrivere poesie. A renderlo celebre, tuttavia, fu lo scontro mancato con Antonio Spavone detto “‘o Malommo”, un anziano e potente boss della camorra. Cutolo lo sfidò a uno scontro con la "molletta" (cioè il coltello a scatto), ma l'anziano boss non si presentò, non volendo riconoscere dignità al suo interlocutore: tuttavia, l'episodio venne sfruttato da Cutolo per accrescere la propria popolarità dentro e fuori dal carcere.

Dopo aver fatto perdere le sue tracce dopo la sentenza d'Appello per l'omicidio di Viscito, dopo poco più di un anno di latitanza, il 25 marzo 1971 il futuro boss venne fermato e arrestato dai Carabinieri a un posto di blocco tra Nola e Palma Campania, in provincia di Napoli. Pur dandosi alla fuga con tanto di conflitto a fuoco coi Carabinieri, alla fine venne arrestato nuovamente. Da quel momento uscì da Poggioreale soltanto per presenziare alle udienze del processo[6].

Al termine del processo per la sparatoria coi Carabinieri, nel 1975 i giudici della Corte d’assise del tribunale di Napoli, tenendo conto anche di una perizia psichiatrica, lo condannarono solamente a 14 anni di reclusione per il reato di tentato omicidio. I suoi avvocati, durante il processo d'appello, chiesero l'assoluzione per incapacità di intendere e di volere e, incredibilmente, la ottengono, con addirittura il riconoscimento dell'infermità mentale nel 1977 e la disposizione del ricovero presso un manicomio per almeno cinque anni[7]. Anni dopo venne accertato che le false perizie psichiatriche erano una costante per tutti gli affiliati alla NCO[8].

La nuova latitanza e i rapporti con le altre organizzazioni criminali

‘O Professore venne a quel punto trasferito presso l’istituto Sant’Eframo di Napoli. In quel suo breve soggiorno, il boss era riuscito persino a stringere accordi commerciali col Perù per una partita di cocaina. Dopo qualche mese venne trasferito all’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, dove tuttavia vi restò pochissimo: il 5 febbraio 1978, intorno alle 15:00, riuscì ad evadere: un gruppo di affiliati fece saltare per aria con una carica di nitroglicerina un pezzo del muro di cinta della struttura ospedaliera, permettendogli di fuggire[9].

Durante la nuova latitanza, Cutolo strinse rapporti con la criminalità organizzata pugliese nel leccese e nel foggiano, con alcune famiglie di 'ndrangheta, rifiutando di affiliarsi a Cosa Nostra come avevano fatto prima di lui boss del calibro di di Michele e Salvatore Zaza, Angelo e Lorenzo Nuvoletta, Raffaele Ferrara ed Antonio Bardellino.

Ebbe anche una relazione con Lidarsa Bent Brahim Radhia, una donna tunisina cui dedicò una poesia e da cui ebbe una figlia, Yosra[10].

Mentre intesseva la sua rete relazionale criminale, Cutolo cambiò spesso covo, finché non si stabilì ad Albanella, nella masseria di un bracciante, vicino Paestum. Il 15 maggio 1979, tuttavia, cento carabinieri irruppero nel covo, arrestandolo nuovamente. Riportato a Poggioreale, Cutolo si circondò di una propria cerchia di fedelissimi, iniziando a strutturare sia sul piano organizzativo che su quello ideale la Nuova Camorra Organizzata.

I rapporti con la Banda della Magliana e il sequestro Moro

Durante la latitanza Cutolo strinse un forte legame anche Nicolino Selis detto "er Sardo", uno dei boss della Banda della Magliana, che divenne il suo luogotenente a Roma, in cambio di un canale preferenziale per la Banda per approvvigionarsi la cocaina da spacciare nella capitale.

Durante il sequestro Moro, Cutolo chiese a Selis di trovare dove fosse tenuto prigioniero il presidente della Democrazia Cristiana. Sia lo stesso Cutolo nel 2015, sia Maurizio Abbatino in audizione presso la Commissione Parlamentare Antimafia il 24 febbraio 2022[11], confermarono di aver comunicato l'esatta ubicazione del covo delle BR che avevano sequestrato Moro, ma l'informazione non venne inspiegabilmente utilizzata dai referenti della Democrazia Cristiana e dai servizi segreti.

La nascita della Nuova Camorra Organizzata

Tornato in carcere a Poggioreale, a quel punto Cutolo inaugurò la propria strategia per diventare il capo indiscusso della camorra napoletana, con l'obiettivo di sganciarla dalla sudditanza verso Cosa Nostra attraverso l'eliminazione dei clan camorristici più importanti e assicurandosi un vasto consenso sociale tra gli strati più poveri della popolazione.

Se nella seconda metà degli anni '70 “‘O Professore” era solo il capo di uno dei tanti gruppi criminali che operavano in Campania, nel giro di pochi anni diventò uno dei boss più potenti d'Italia, grazie all'intuizione di strutturare la NCO sul modello della camorra ottocentesca, con rituali di affiliazione, uno stipendio per gli affiliati, la protezione dentro e fuori dal carcere. In questo modo Cutolo rivendicava per sé soltanto una continuità ed una legittimità su tutto il crimine organizzato campano. Alle masse sterminate dei giovani sottoproletari urbani napoletani Cutolo offriva un'opportunità di riscatto, sostenendo economicamente i detenuti più poveri e mantenendo le loro famiglie.

In questo modo il legame tra il boss e gli affiliati divenne fortissimo e la fedeltà assoluta. Nel 1980 l'organizzazione arrivò a contare ben 7mila affiliati[12]. Le estorsioni venivano eseguite porta a porta, in maniera capillare. Su ogni cassa di sigarette che sbarcava in Campania, Cutolo impose una tassa di 20mila lire[13], anche su quelle lavorate dagli altri clan per conto dei siciliani di Cosa Nostra. La circostanza venne confermata da Pasquale Galasso, collaboratore di giustizia affiliato alla Nuova Famiglia:

«Quando si sapeva che Nuvoletta o Zaza erano mafiosi, erano collegati a Cosa Nostra, nessuno si permetteva di dargli fastidio o di aggredirli, finché non venne fuori Cutolo... Nel 1978-79 evade Cutolo e comincia a creare un marasma a Napoli; incomincia ad imporre finanche a queste famiglie legate ai mafiosi le tangenti sui loro traffici illeciti...»[14].

Alfonso Ferrara Rosanova jr., figlio del boss che era stato anche il padrino di Cutolo, e quindi vicinissimo al boss di Ottaviano, confermò l'attivismo di Cutolo dopo l'evasione:

«Quando Cutolo poi evase, nonostante la contrarietà di mio padre, fu introdotto in vari ambienti facendogli conoscere varie persone... Da allora Cutolo espandette il suo potere criminale nell'area stabiese, nell'agro nocerino e nel salernitano...»[15].

Nel 1980, il boss si impossessò anche di un simbolo della sua città: il Palazzo mediceo, per secoli appartenuto famiglia principesca dei Lancellotti di Lauro, per cui i genitori di Cutolo avevano lavorato, venne acquistato da una sua società da Donna Maria Capece Minutolo, vedova Lancellotti, per soli 270 milioni di lire[16].

La guerra con la Nuova Famiglia

La situazione divenne insostenibile e l'aggressività dei cutoliani spinse gli altri clan di camorra ad organizzarsi. I primi a promuovere una federazione che si opponesse alla NCO furono i Giuliano di Forcella, che l'8 dicembre 1978 sancirono un patto in un garage di loro proprietà con i Vollaro di Portici e i Mallardo di Secondigliano. Questo primo nucleo voleva restare autonomo rispetto alle due fazioni, ritagliandosi un proprio spazio. Tuttavia, ben presto la "Fratellanza napoletana" fu costretta a schierarsi con i clan vicini a Cosa Nostra, insieme ai quali fondò la "Nuova Famiglia".

La confederazione si dotò, come la rivale cutoliana, di riti di affiliazione, codici di comportamento e regole di solidarietà[17]. Venne addirittura stampato un "codice di omertà", di cui una copia venne ritrovata nell'auto blindata del boss di San Giuseppe Vesuviano Mario Fabbrocino, dopo il suo arresto il 6 maggio 1981 vicino a Pomigliano d'Arco. Al suo interno era riportato anche un "giuramento del camorrista":

«In questa sacra giornata d’umiltà, giuro da uomo di tenere fede a questo patto di sangue e di fratellanza e che il sangue di questa vena d’onore esce per entrare in un’altra vena d’onore. Giuro di dividere centesimo per centesimo, millesimo per millesimo, con questo mio fratello di sangue nel bene e nel male fino alla tomba. Se la lontananza ci dividerà, il sangue ci unirà e ci chiamerà fino alla morte che ci separa. Faccio fede di questo patto di fratellanza e di questo lungo abbraccio che ci porterà con umiltà fino alla tomba»[18].

La guerra tra le due fazioni, dal 1978 al 1983, fece 1500 morti[19] e accelerò il declino del contrabbando di sigarette, già colpito dal forte apprezzamento del dollaro, spostando l'interesse dei clan legati alla Nuova Famiglia e di Cosa Nostra sul narcotraffico. Nonostante i tentativi di mediazione promossi da Totò Riina per provare a riportare l'ordine in Campania, la guerra proseguì.

Il terremoto dell'Irpinia

Domenica 23 novembre 1980, alle 19:34, un terremoto di magnitudo 6.9 di appena 90 secondi devastò l'Irpinia e parte della Basilicata. Il bilancio drammatico fu di 2.914 morti, 8.850 feriti e 280mila sfollati. A 48 ore dal sisma, fu il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, dopo aver visitato i luoghi della tragedia, a denunciare l’assenza dello Stato tra quelle macerie: i primi soccorsi non erano arrivati, gli uomini dell’esercito presenti non avevano mezzi sufficienti per affrontare l’emergenza, mancavano pale, viveri, soccorritori[20].

Allo sgomento e all'orrore di quelle ore seguirono decenni di ricostruzione, simbolo degli sprechi e dell'incapacità del Mezzogiorno di risollevare se stesso, nonostante le migliaia di miliardi di lire investiti a fondo perduto dallo Stato italiano. Il principale effetto di quella catastrofe naturale fu che il ciclo edilizio divenne la principale attività economica della Campania, dal 1981 in poi[21].

Il terremoto inaugurò un vero e proprio sistema di «politica ed economia della catastrofe», per usare la fortunata espressione di Ada Becchi[22], dentro cui si svilupparono enormemente le imprese dei clan camorristici, che entrarono in un decennio di affari d'oro. Il più rapido a profittare di questa insperata fortuna fu proprio Cutolo, che sfruttò il terrore dei detenuti per il terremoto e l'apertura delle porte all'interno del carcere di Poggioreale, per guidare personalmente una carneficina ai danni dei detenuti affiliati alla Nuova Famiglia. Il capozona cutoliano dei Quartieri spagnoli, Mario Savio, raccontò in seguito la terribile scena svoltasi nell’enorme padiglione San Paolo:

«Al centro c’era lui, Raffaele ’O professore. Era circondato dalle guardie scelte. Saranno stati una sessantina di detenuti. La vestaglia di seta era la sua inquietante e grottesca divisa da generale golpista. Con calma e decisione impartiva gli ordini in quello spazio gigantesco, di cui aveva assunto il controllo totale. Divise gli uomini in piccole squadre. Ad alcune consegnò la lista dei condannati a morte; ad altre assegnò il compito di scavare una via verso l’uscita»[23].

La Nuova Camorra Organizzata fu in prima fila, sin dal primo giorno, ad accaparrarsi gli appalti per la rimozione delle macerie e la costruzione dei primi prefabbricati. Chi tentò di opporsi, come il sindaco di Pagani Marcello Torre, veniva eliminato.

Il caso Ciro Cirillo

Dopo la carneficina a Poggioreale, all'inizio del 1981 Cutolo ottenne il trasferimento nel carcere di Marino del Tronto ad Ascoli Piceno. Contrariamente alle aspettative, il boss conquistò un trattamento di favore e un'ampia possibilità di comandare l'organizzazione.

La sera del 27 aprile 1981, alle 21:45, Ciro Cirillo, politico democristiano assessore regionale all'Urbanistica, venne rapito dalle Brigate Rosse, guidate a Napoli dal sociologo Giovanni Senzani, il teorico dell'ala movimentista delle Br che si rivolgeva al "proletariato marginale ed extralegale"[24]. I due uomini che erano con lui, l’autista Mario Cancello e l’agente della scorta Luigi Carbone, vennero uccisi sul posto.

Cirillo era uomo di fiducia di Antonio Gava, a sua volta sostenitore dell'allora segretario della Democrazia Cristiana Flaminio Piccoli. La sua importanza, tuttavia, risiedeva nel fatto che era delegato a presiedere il Comitato tecnico regionale, la struttura creata all'indomani del terremoto del 23 novembre 1980 per coordinare gli interventi pubblici di ricostruzione.

Gli 88 giorni di prigionia furono costellati da dieci comunicati delle BR e da trattative di vario tipo intavolate per ottenerne il rilascio. A nemmeno 16 ore dal sequestro, un funzionario del Sisde, Giorgio Criscuolo, spacciandosi per avvocato, si presentò in carcere ad Ascoli Piceno per chiedere a Cutolo di mediare coi terroristi. Tuttavia, il boss prese tempo, non fidandosi completamente, dato che voleva sapere in nome di chi gli veniva chiesta la mediazione.

A un secondo incontro parteciparono anche il sindaco democristiano di Giugliano, Giuliano Granata, all'epoca segretario particolare di Cirillo, e il vice di Cutolo, Vincenzo Casillo, all'epoca latitante. Nonostante ciò, ancora Cutolo prese tempo[25]. Il boss voleva essere legittimato politicamente, quindi voleva essere sicuro che dietro la richiesta di mediazione ci fossero non solo i servizi segreti ma i vertici nazionali della Democrazia Cristiana, Antonio Gava in primis.

Il caso passò a quel punto al Sismi, il servizio di sicurezza preposta alla difesa dall'estero e che quindi non aveva alcuna competenza sul sequestro. D'altronde, però, entrambi i capi dei servizi erano affiliati alla loggia massonica P2 di Licio Gelli. Alla fine, Cirillo venne liberato il 24 luglio successivo, in un palazzo abbandonato in via Stadera a Poggioreale. Il giorno prima le Brigate Rosse comunicarono la liberazione perché era stato pagato un riscatto di un miliardo e 450 milioni di lire «raccolti da amici», come sostenne lo stesso Cirillo. In realtà i soldi raccolti erano almeno il doppio, ma metà andò a Cutolo come parte del suo compenso per la mediazione[26]. Il pagamento del riscatto era avvenuto il 21 luglio sul tram per Centocelle a Roma ed era stato portato da un amico della famiglia.

La contropartita per liberazione

Senzani ottenne anche la requisizione degli alloggi sfitti di Napoli (per sistemarvi i senzatetto), indennità per i terremotati, la pubblicazione dei comunicati e dei verbali a cui Cirillo si doveva sottomettere; Cutolo, invece, venne ricompensato anche con l’assegnazione alle sue imprese di numerosi appalti per la ricostruzione in Campania. Pochi giorni prima della liberazione di Cirillo era stata anche approvata, quasi all'unanimità, la legislazione straordinaria per la ricostruzione, che allargava le deroghe alle abituali leggi sull'edilizia.

A tal proposito, il costruttore irpino Antonio Sibilia dichiarò in sede giudiziaria:

«Vedete che tutto nasce dal sequestro Cirillo e dagli accordi che sono stati presi a Roma, arbitro Flaminio Piccoli, legato notoriamente alla Volani, in conseguenza della liberazione del Cirillo. A me risulta, ed è del resto notorio tra tutti i costruttori della provincia di Avellino, che a tali accordi partecipò anche la camorra, e in particolare Vincenzo Casillo. È vero che fu raggiunto un accordo di carattere generale per cui, per ogni appalto della ricostruzione, gli appaltatori dovevano versare una doppia percentuale: il 5% alla camorra e il 3% ai politici»[27].

Il tradimento dei patti e il trasferimento all'Asinara

Oltre all'aspetto economico, Cutolo aveva ricevuto precise rassicurazioni su tutta una serie di agevolazioni per i suoi affiliati in carcere, nonché per se stesso. Tuttavia, su questo fronte trovò sulla sua strada l'inflessibilità dell'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che venuto a conoscenza della condizione agiata del camorrista presso il carcere di Ascoli Piceno, fece pressioni sull'allora Ministro della Giustizia democristiano Clelio Darida per il suo trasferimento nel supercarcere dell'Asinara.

Benché il Governo presieduto dal democristiano Arnaldo Forlani prendesse tempo di fronte alle richieste di Pertini, in quegli stessi giorni, il 16 marzo 1982, arrivò al quotidiano del Partito Comunista Italiano "l'Unità" un documento che raccontava a modo suo la storia della trattativa e il coinvolgimento di politici e apparati statali. Benché la sostanza della ricostruzione dei fatti fosse poi vera, il documento risultava falso[28]. A inviarlo era stato Cutolo, come accerteranno i processi scaturiti dalle indagini del giudice Carlo Alemi, nel tentativo di ricattare i politici che avevano tradito i patti. Tuttavia, il clamore suscitato dalla pubblicazione del documento si rivelò un boomerang, perché da quel momento iniziò la fine della NCO.

Il 18 aprile Cutolo venne infatti finalmente trasferito nel carcere dell'Asinara, nonostante le minacce dei luogotenenti cutoliani ai referenti democristiani. Il giorno dopo, il 19 aprile un commando della Nuova Famiglia assassinò Alfonso Rosanova, braccio destro di Cutolo e mente economica dell'organizzazione, depositario dei segreti sul Caso Cirillo. La soffiata era arrivata a Carmine Alfieri da due camorristi di Nocera, uno dei quali, Antonio Sale detto "l'ingegnere", era sospettato di legami coi servizi[29]. A tal proposito, nel 1994 Alfieri dichiarò:

«Ora, il fatto che sia stato proprio il Sale a recarmi la notizia che Rosanova era ricoverato in ospedale mi fa pensare che egli possa essere stato ispirato da settori istituzionali (Polizia o Carabinieri), che avrebbe potuto avere interesse a far coincidere il trasferimento di Cutolo all’Asinara con la morte del Rosanova. Non posso dire nulla di più sul punto, ma questa è certamente una ipotesi che non posso escludere»[30].

Il 15 luglio venne ucciso, stavolta dalle Brigate Rosse, il vicequestore Antonio Ammaturo, il quale stava conducendo le indagini sul caso Cirillo e, a quanto venne ricostruito in seguito, era entrato in possesso delle prove delle collusioni tra DC, camorra cutoliana e terroristi[31]. Anni dopo, nel 2006, in un'intervista al quotidiano la Repubblica, Cutolo dichiarò:

«Mentre era in corso il sequestro vennero da me, in carcere ad Ascoli Piceno, un sacco di persone: politici, agenti dei servizi segreti, mediatori. Un influente politico della DC mi disse che dovevo intervenire con ogni mezzo per salvare la vita dell'assessore. Che in cambio avrei ottenuto il controllo di tutti gli appalti della Campania. Cirillo fu liberato. [...] I soldi in carcere li usavo per comprare da mangiare e da vestire ai detenuti. Anche ad Alì Agca, l'attentatore del Papa. Ma il caso Cirillo, chissà perché, segnò definitivamente il mio destino per ringraziamento mi hanno mandato "in ritiro spirituale"»[32].

Il venerdì nero della camorra e il caso Tortora

Completamente isolato nel carcere dell'Asinara, impossibilitato a comunicare con i suoi uomini, che nel frattempo venivano uno ad uno ammazzati dai rivali della Nuova Famiglia, Cutolo perse definitivamente tutto il suo potere. Alcuni sodali della NCO sopravvissuti preferirono collaborare con la giustizia e salvarsi la vita, ottenendo benefici carcerari. Fu il caso di Pasquale D'Amico, Achille Lauri e Salvatore Zannetti, sulla base delle dichiarazioni dei quali la Procura di Napoli il 17 giugno 1983 avviò il più grande blitz contro la camorra fino a quel momento, tanto da essere ribattezzato "il Venerdì nero della camorra": oltre diecimila uomini delle forze dell'ordine, tra carabinieri e poliziotti, diedero esecuzione a una sentenza-ordinanza contro 856 persone, tra i quali vi erano imprenditori come il presidente dell'Avellino calcio Antonio Sibilia, terroristi come Pierluigi Concutelli e Sante Notarnicola, gangster come Renato Vallanzasca, nonché politici, cantanti e persino il popolare conduttore televisivo Enzo Tortora, accusato di spacciare droga per conto di Cutolo.

Come è noto, la gran parte delle dichiarazioni dei collaboratori dei giustizia, assodate per vere, erano invece inattendibili, come le assoluzioni di Franco Califano ed Enzo Tortora dimostrarono anni dopo. Il "Caso Tortora" sconvolse l'opinione pubblica italiana e prestò il fianco anche a chi, tre anni dopo, accusava i giudici del Pool antimafia che avevano istruito il Maxiprocesso di Palermo di inventare teoremi.

Tuttavia, al netto dei clamorosi errori giudiziari, l'inchiesta portò anche alla verità sui mandanti di alcuni omicidi eccellenti, come quello del vice-direttore del carcere di Poggioreale Giuseppe Salvia.

Le condanne

Al termine dei vari procedimenti scaturiti negli anni '80, Cutolo rimediò due ergastoli nel 1986 al termine del processo per gli omicidi del boss Antonio Cuomo e della moglie Carla Ciampi, un ergastolo nel 1987 in qualità di mandante dell'omicidio di Giuseppe Salvia e uno nel 2001 per quello di Marcello Torre, sentenza confermata in Cassazione nel 2002.

Nel 1987 Cutolo venne trasferito a Cuneo, quando ormai la sua organizzazione non esisteva praticamente più. Quella piemontese è una delle tante case circondariali che vedranno “ospite” O’ Professore, come Poggioreale, Ariano Irpino, Bellizzi Irpino, Ascoli Piceno, Asinara, Belluno, Novara[33].

Nel 1990 suo figlio Roberto Cutolo, in soggiorno obbligato a Tradate in Lombardia, venne ucciso da uomini della 'ndrangheta di Franco Coco Trovato, come favore a Mario Fabbrocino, che in cambio uccise per il boss calabrese il rivale Salvatore Batti.

Il tentativo di collaborare e la marcia indietro

Nel 1994 Cutolo decise di collaborare con la giustizia, dopo un anno costretto al regime carcerario del 41-bis. Tuttavia, dopo aver riempito diverse pagine di verbali, fece marcia indietro, secondo il procuratore Franco Roberti dopo pressione dei servizi segreti[34].

Il matrimonio con Immacolata Iacone

Nel 1983, Cutolo, allora 42enne, sposò Immacolata Iacone, giovane di appena 19 anni, nella chiesa di Cala d'Oliva. La cerimonia, celebrata da don Giorgio Curreli, storico cappellano dell'Asinara, inevitabilmente fece scoppiare un mare di polemiche. Nonostante la carcerazione, il 30 ottobre 2007 il boss divenne padre di Denise, nata grazie all'inseminazione artificiale.

La morte

Cutolo morì a 79 anni nel reparto sanitario detentivo dell'ospedale Maggiore di Parma il 17 febbraio 2021, a causa di una setticemia del cavo orale, conseguenza di una polmonite bilaterale. La salma venne tumulata quattro giorni dopo nel cimitero di Ottaviano.

L'ideologia cutoliana

Come ricorda Isaia Sales, Cutolo è stato l’unico boss della malavita napoletana, o forse internazionale, «ad aver elaborato una sorta di filosofia, una teoria capace, a modo suo, di supportare la prassi quotidiana delle violenze»[35]. Attraverso il suo carisma, il boss arrivò a creare una teoria giustificatrice per i suoi delitti, spesso attraverso le sue poesie.

Il suo libro, “Poesie e Pensieri”, pubblicato dall'editore napoletano Arturo Berisio, era un volumetto di 235 pagine, contenente anche molte fotografie, che Cutolo inviò a tutti i suoi affiliati e che rappresentò il vademecum del suo pensiero, nel quale recuperava molti termini e usanze della camorra ottocentesca che servirono da collante ideologico per la sua organizzazione. Arrivò persino a impadronirsi di poesie non sue, ben consapevole del fascino dell’uomo “di penna” sulla labile personalità dei giovani volenti del sottoproletariato urbano.

Nel libro, il boss non si preoccupava di dichiarare apertamente i suoi scopi:

«Dicono che ho organizzato la nuova camorra. Se fare del bene, aiutare i più deboli, far rispettare i più elementari valori e diritti umani che vengono quotidianamente calpestati dai potenti e ricchi e se riscattare la dignità di un popolo e desiderare intensamente un senso vero di giustizia, rischiando la propria vita per tutto questo, per la società vuol dire “camorra”, allora ben mi sta quest’ennesima etichetta»[36].

Per Cutolo il valore più grande era l’amicizia, tanto da essere uno dei perni ideologici della NCO come filosofia di vita. "Amicizia" era una parola che scriveva sempre con la A maiuscola nel libro. Sul punto, significative sono le parole che l'avvocato Francesco Cangemi usò nella prefazione:

«Per chi avesse, al di là di certe bardature istituzionali, disponibilità all’ascolto di un messaggio autentico del profondo, sarebbe questa un’occasione irripetibile, per capire che un’anima ha sempre, dentro di sé, come ricordo, o come nostalgia, come amore o come sogno, il desiderio e la gioia del bene. E avrebbe il modo, unico per ristabilire con la sofferenza e con la pena, quel patto di amore senza il quale ogni giustizia resta fredda ed inutile»[37].

Il libro divenne un punto di riferimento per i giovani criminali, al punto che alcuni di loro presero esempio dal capo e cominciarono ad appuntare poesie e pensieri nelle proprie agende[38]. Cutolo per tutti questi giovanissimi divenne un punto di riferimento, un'autorità morale. Per loro è il “Salvatore di Napoli[39].

Nella fitta corrispondenza che il boss intratteneva con i suoi gregari emerge un'identificazione totale tra il capo e gli affiliati. Il boss si sentiva all’altezza della stima dei suoi: «Sono una divinità. sono un grandissimo uomo», disse una volta[40].

NOTE

  1. Commissione Parlamentare Antimafia (1994). Relazione sulla Camorra, Relatore: Luciano Violante, Doc. XXIII n. 12, XI Legislatura, Roma, 15 febbraio, p. 25.
  2. Citato in De Stefano Bruno (2011). I boss della Camorra, Roma, Newton & Compton, p. 27 (versione ebook).
  3. Ibidem
  4. Di Meo, Simone & Falco, Vittorio (2019). “Nuova Camorra Organizzata. La Vera Storia dei Cutoliani”, Napoli, Stylo24, pp. 54-56
  5. Titti Beneduce, "Anna Viscito: «Vi racconto mio padre, il primo uomo ucciso da Cutolo»", il Corriere del Mezzogiorno, 20 febbraio 2021.[1]
  6. Di Meo, Simone & Falco, Vittorio (2019). “Nuova Camorra Organizzata. La Vera Storia dei Cutoliani”, Napoli, Stylo24, p. 54.
  7. Ivi, p. 56
  8. Citato in "Relazione sulla Camorra", p. 25.
  9. Di Meo, Falco, op.cit., p. 56.
  10. Marrazzo, Giuseppe (2005). Il camorrista. Vita segreta di don Raffaele Cutolo, Napoli, Pironti, pp. 106-107.
  11. Commissione Parlamentare Antimafia (2022). Relazione sull'attività svolta, Tomo III, Doc. XXIII n. 37, XVIII Legislatura, Roma, 13 settembre, p. 1501.
  12. Relazione sulla Camorra, p. 32.
  13. Francesco Barbagallo (2010). Storia della Camorra, Roma-Bari, Editori Laterza, p. 122.
  14. Ivi, p. 33.
  15. Ibidem.
  16. Nel 1991 il castello venne confiscato in base alla legge Rognoni-La Torre. Dopo quattro anni, l'8 settembre 1995, venne affidato al Comune di Ottaviano.
  17. Relazione sulla Camorra, p. 33.
  18. Barbagallo, op.cit., p. 125.
  19. Ibidem.
  20. Sandro Pertini, edizione straordinaria Tg2, mercoledì 26 novembre 1980.
  21. Per approfondire, si veda Isaia Sales (2023). Storia delle Camorre, Soveria Mannelli, Rubbettino, p. 313 e ss.
  22. Barbagallo, op.cit., p. 126.
  23. Ibidem
  24. Sales, op.cit., p. 330.
  25. Citato in Sales, op.cit., p. 337.
  26. Barbagallo, op.cit., p. 128.
  27. Ivi, pp. 128-129.
  28. Sales, op.cit., p. 340.
  29. Barbagallo, op.cit., p. 131.
  30. Ibidem.
  31. Sales, op.cit., p. 349.
  32. Paolo Berizzi, Cutolo, l'ultimo desiderio: "Il mio seme per un figlio", la Repubblica, 24 febbraio 2006[2]
  33. Sales, Teneri Assassini, p. 140
  34. Vincenzo Iurillo, "Rapimento Cirillo, Franco Roberti: “Cutolo non si pentì, nonostante il ‘maresciallo preservativo'”", il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2020.
  35. Sales, Storia delle Camorre, pp. 296-297
  36. Ivi, p. 298
  37. Ivi, p. 299.
  38. Ibidem
  39. Ivi, p.288.
  40. Ibidem.

Bibliografia

  • Barbagallo, Francesco (2010). Storia della Camorra, Roma-Bari, Editori Laterza.
  • Commissione Parlamentare Antimafia (1994). Relazione sulla Camorra, Relatore: Luciano Violante, Doc. XXIII n. 12, XI Legislatura, Roma, 15 febbraio.
  • Commissione Parlamentare Antimafia (2022). Relazione sull'attività svolta, Tomo III, Doc. XXIII n. 37, XVIII Legislatura, Roma, 13 settembre.
  • De Stefano, Bruno (2011). I boss della camorra, Roma, Newton & Compton.
  • Di Meo, Simone & Falco, Vittorio (2019). “Nuova Camorra Organizzata. La Vera Storia dei Cutoliani”, Napoli, Stylo24.
  • Marrazzo, Giuseppe (2005). Il camorrista. Vita segreta di don Raffaele Cutolo, Napoli, Pironti.
  • Sales Isaia (2022). Teneri Assassini, Napoli, Marotta & Cafiero.
  • Sales Isaia (2022). Storia delle Camorre, Soveria Mannelli, Rubbettino.