Vito Lipari

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Vito Lipari (Castelvetrano, 19 giugno 1938 – Castelvetrano, 13 agosto 1980) è stato un politico italiano, ucciso da Cosa Nostra.

Biografia

Dirigente del Consorzio sviluppo industriale di Trapani, fu consigliere comunale di Castelvetrano, in provincia di Trapani, per diverse consiliature, fino a diventare sindaco per la prima volta dal 1967 al 1968 e poi successivamente dal 1974 al 1976.

Dopo due anni tornò a ricoprire la carica di sindaco dall'ottobre 1978 all'aprile 1979, quando si candidò alle elezioni politiche del 3 giugno e risultò il primo dei non eletti alla Camera dei deputati nella lista della Democrazia cristiana, nella circoscrizione Sicilia Occidentale dove, sostenuto dai cugini Ignazio e Antonino Salvo, ottenne più di 46mila preferenze.

Dopo essere stato eletto segretario provinciale della Democrazia Cristiana, fu rieletto sindaco di Castelvetrano nel luglio 1980.

L'omicidio

Il giorno della sua morte Lipari uscì dalla sua villa sul litorale di Triscina, a pochi km da Castelvetrano verso le 9:15. Mentre si dirigeva con la sua Golf verso il Municipio, dove doveva presiedere una riunione di giunta, un auto gli si affiancò dopo una curva e gli uomini al suo interno iniziarono a sparare contro di lui. L'ultima revolverata, il colpo di grazia, fu esploso a pochi centimetri dalla faccia, per sfigurarlo.

Le indagini

Circa tre ore dopo il delitto, una Renault 30 venne fermata da una pattuglia di carabinieri ad un posto di blocco alle porte di Mazara del Vallo: a bordo dell'auto si trovavano i mafiosi Mariano Agate, a capo della famiglia di Mazara del Vallo, Nitto Santapaola, a capo di quella di Catania, Francesco Mangione e Rosario Romeo: bastò un'occhiata ai documenti per convincere i carabinieri a proseguire la conversazione con quei quattro in caserma.

Il presunto depistaggio

Santapaola e i suoi compagni di viaggio non vennero sottoposti al guanto di paraffina, perché egli stesso dichiarò di aver partecipato, il giorno precedente, a una battuta di caccia a casa di un amico a Catania. Il capitano Vincenzo Melito, comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri di Trapani, andò a Catania per verificare di persona l'alibi. Dopo tre giorni i quattro vennero scarcerati.

Nel 1984 venne svelata una parte della vicenda: nell'interrogatorio Santapaola sostenne di essere andato in provincia di Trapani per risolvere dei problemi che aveva l'imprenditore edile Gaetano Graci, il quale aveva degli interessi nel trapanese per conto di "personaggi al di sopra di ogni sospetto". Contemporaneamente, Melito venne arrestato con l'accusa di aver avallato il falso alibi di Santapaola in cambio della stessa automobile su cui il boss catanese e i suoi amici erano stati trovati il giorno dell'omicidio di Lipari.

I processi

Le dirette di Rostagno

Mauro Rostagno dagli schermi di Rtc non perdeva una sola delle udienze del primo processo per il delitto Lipari: fu durante una pausa di una udienza di questo dibattimento che Agate mandò a dire, da dentro la gabbia, che Rostagno «doveva dire meno minchiate» sul suo conto. Rostagno tuttavia continuò a parlare di quel processo e a ricostruire le trame della mafia nel Belice. Qualche mese dopo Rostagno fu ucciso.

Condanne e assoluzioni

Per l'omicidio di Vito Lipari, nel 1985 vennero condannati in primo grado all'ergastolo Nitto Santapaola, Mariano Agate, Francesco Mangione e Rosario Romeo per l'omicidio di Vito Lipari, mentre Vincenzo Melito fu condannato in primo grado a due anni per corruzione. Tutti gli imputati vennero assolti nel 1992 in appello a Palermo, sentenza confermata in Cassazione l'anno successivo.

Il finto pentito Calcara

Nel 1992 il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara si autoaccusò dell'omicidio di Lipari, rivelando che il mandante era in realtà l'allora consigliere comunale di Castelvetrano Antonino Vaccarino, perché "bramoso di divenire primo cittadino", accusandolo anche di essere affiliato alla cosca di Castelvetrano, nella quale avrebbe ricoperto il ruolo di consigliere del boss Francesco Messina Denaro. Arrestato, Vaccarino fu poi assolto da quell'accusa, mentre Calcara fu ritenuto inattendibile.

Le dichiarazioni di Sinacori

Nell'aprile 2019, al processo di Caltanissetta, il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori si autoaccusò del delitto, affermando di averlo compiuto su indicazione dei corleonesi: disse di aver agito, senza però conoscere il movente.

Le possibili piste

Ad oggi le piste su cui lavorano gli inquirenti sono due. La prima riconduce il delitto Lipari nell'ambito della Seconda Guerra di Mafia: sarebbe stato un "segnale" dei Corleonesi ai cugini Salvo, a cui Lipari era legato. La seconda inserisce il delitto all'interno delle vicende del «sacco» edilizio del Belice, avvenuto dopo il terremoto. Ci sarebbero state due planimetrie, una ufficiale e l'altra voluta da Cosa Nostra, dentro la quale erano compresi terreni sui quali non si doveva costruire e invece si costruì, permettendo affari d'oro ai boss con la speculazione edilizia. Lipari sarebbe stato ucciso, secondo questa ricostruzione, perché a conoscenza della seconda planimetria.

Bibliografia