'Ndrangheta

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È invisibile, come l'altra faccia della luna
(Julie Tingwall)


Con l'espressione 'ndrangheta si indica normalmente la declinazione calabrese del fenomeno mafioso, attiva sin dalla seconda metà del XIX Secolo, la cui forza e peso nelle dinamiche criminali è aumentata esponenzialmente dagli anni '90 con il declino di Cosa Nostra, a seguito delle Stragi del '92-'93.

Sottovalutata per decenni come una forma di criminalità locale circoscritta ad alcune zone della Calabria, attualmente la ‘ndrangheta è una delle organizzazioni criminali di stampo mafioso più stabile, diffusa e potente a livello nazionale ed internazionale, con presenze strutturate in regioni come la Lombardia, il Piemonte, la Liguria e l'Emilia-Romagna, in paesi europei come la Germania, la Svizzera, la Spagna e la Francia, oltreché negli USA, in Australia e in Canada. Attualmente, la 'ndrangheta è presente in tutti e cinque i continenti del globo.

Origine del nome

La leggenda vuole che la parola ‘ndrangheta derivi dal verbo greco άνδραγαθέω (andragathéo), composto dalla matrice semantica degli aggettivi άνήρ (anèr) e άθαθός (agathòs), che significa letteralmente «agisco da uomo perbene o valoroso»[1].

La parola, comunque, dopo essere stata introdotta nel 1909 da Giovanni Malara nel suo "Vocabolario dialettale calabro-reggino-italiano", venne ripresa solo nel 1961 da Attilio Piccoli in un articolo per la rivista "Cronache Meridionali", intitolato "La "ndranghita" in Calabria". L'anno successivo la parola 'ndrangheta venne ripresa da Giuseppe Guido lo Schiavo nel suo libro "100 anni di mafia" e da allora cominciò a circolare e ad affermarsi quasi dappertutto, benché in molti ambienti intellettuali si continuasse a definirla "mafia calabrese" o ad usare i termini coniati agli albori e con cui la 'ndrangheta era stata conosciuta per decenni ("Onorata Società", "Famiglia Montalbano" e "picciotteria"). Basti pensare che nella narrativa calabrese la parola comparve ufficialmente solo nel 1977, nel romanzo di Saverio Strati "Il Selvaggio di Santa Venere".

Una delle "fortune" della 'ndrangheta, lungo tutta la sua esistenza, è stata proprio la difficoltà da parte di inquirenti e intellettuali non solo ad inquadrarla come organizzazione mafiosa, ma addirittura di darle un nome, prendendo in prestito quello di "mafia" e "camorra" mutuati dalle "cugine" siciliana e campana. La stessa parola ‘ndrangheta è di difficile pronuncia e compare molto spesso tutt'oggi in forma errata su molti articoli di giornale, dove è frequente ritrovare errori ortografici grossolani come «l’ndrangheta» o «l’andrangheta», invece del corretto «la ‘ndrangheta». Se persino la conoscenza del nome è mal padroneggiata da chi dovrebbe fare informazione, figuriamoci la conoscenza dell’organizzazione in sé.

Storia ed Evoluzione

Il mito della fondazione: Osso, Mastrosso e Carcagnosso

La storia della ‘ndrangheta, così come quella delle altre organizzazioni criminali di stampo mafioso, è costellata da miti, riti e leggende narrate e tramandate nel tempo. Tra le storie più popolari ed importanti che contribuiscono, ancora oggi, ad alimentare fascino e curiosità verso il mondo criminale organizzato c'è quella di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, i tre cavalieri spagnoli arrivati in Italia attorno al 1412, in fuga dalle proprie terre per aver difeso l'onore della famiglia, vendicando con il sangue l'offesa subita da una sorella.

Secondo la leggenda i tre cavalieri spagnoli, appartenenti all’associazione cavalleresca Garduña fondata a Toledo, rimasero 29 anni nascosti sull’isola di Favignana e durante questo lungo periodo delinearono le regole fondamentali delle organizzazioni mafiose: poi Osso si recò in Sicilia a fondare la Mafia, Mastrosso andò in Campania a fondare la Camorra e Carcagnosso si stabilì in Calabria per dare vita alla 'ndrangheta.

Le origini

Gli "spanzati" di fine '700

Le prime tracce di una presenza ufficiale della 'ndrangheta in Calabria arrivarono poco dopo l'Unità d'Italia, ma qualche forma embrionale dell'organizzazione c'era già prima: nel 1792 Giuseppe Maria Galanti annotava nel suo "Giornale di Viaggio in Calabria" la presenza a Monteleone, un centro economicamente molto importante dell'epoca, dei c.d. "spanzati", "gente oziosa" abituata a commettere "ogni sorta di bricconeria, con un manifesto disprezzo per la giustizia, la quale è inefficace a punirli"[2]. Molti di questi "spanzati" svolgevano la funzione di mediatori, facendo ricorso alla violenza se necessario, nei settori commerciali più redditizi dell'epoca, quelli della seta e dell'olio.

L'uso della violenza aumentò considerevolmente dopo l'abolizione del regime feudale e la conseguente liberazione delle terre, avvenuta nel periodo dell'occupazione francese (1806-1815): nei decenni successivi, fino all'Unità d'Italia, andò strutturandosi il nuovo fenomeno criminale che si sarebbe intrecciato con gli interessi e i bisogni dei nuovi ceti emergenti nei centri cittadini e nelle campagne segnate dall'avvento del nuovo ordine economico.

I "picciotti" dopo l'Unità d'Italia

La prima volta che le nuove bande fecero il loro ingresso nelle carte ufficiali fu proprio nel 1861, quando il prefetto di Reggio Calabria segnalò gruppi di uomini, che per i modi definì "camorristi", che scorrazzavano per la città. Camorristi non erano, eppure sempre così vennero chiamati nel 1863 in un esposto anonimo presentato a Gallico, in provincia di Reggio Calabria, in cui si avvisava che questi erano sì "uno sparuto numero", ma terrorizzavano la cittadinanza impossibilitata a denunciare se non voleva avere ritorsioni, tra cui la morte[3].

Nel 1871 il censimento pubblico registrava che l'87% dei calabresi non sapeva né leggere né scrivere e che la gran parte delle masse di contadini erano sottomesse a latifondisti senza alcuna pietà. Leopoldo Franchetti, nel 1874, scriveva che le amministrazioni locali in Calabria erano in preda alla violenza e alla corruzione: in svariati paesi, il sindaco e i suoi parenti si impossessavano di terre demaniali e commerciavano abusivamente legname rubato dalle foreste statali; se una guardia forestale provava a far rispettare la legge, rischiava di beccarsi una fucilata. I "monti frumentari", creati per prestare semi di creali e denaro ai poveri contadini nel periodo della semina, veniva utilizzati come fonte di credito per i ricchi proprietari terrieri[4].

Sin dalle origini, la 'ndrangheta manifestava la caratteristica alla base della propria sopravvivenza fino ai giorni nostri: l'invisibilità e la capacità di mimetizzarsi in altri fenomeni sociali. Nei decenni immediatamente successivi all'Unità, ciononostante, non tutti gli 'ndranghetisti si nascondevano, anzi, c'era quasi una gara a mostrare in pubblico la propria identità, con abiti particolari e tatuaggi. Se i prefetti scrivevano poche e superficiali osservazioni su questa nuova forma di criminalità, i magistrati e le forze dell'ordine descrissero con dovizia di particolare quegli uomini che a poco a poco estendevano la propria influenza sul territorio attraverso l'uso della violenza. Nei primi rapporti ufficiali cominciarono ad essere definiti come "mafiosi" o "camorristi", etichette prese in prestito per definire il fenomeno mafioso in Sicilia e Campania, dove la conoscenza era un po' meno superficiale. Vennero così introdotti, per definire questa nuova realtà criminale, i termini "mafia calabrese", "Onorata Società", "Società di camorristi" e altro.

Man mano però che magistratura e forze dell'ordine approfondivano il fenomeno, la parola che si impose per definire questo nuovo fenomeno criminale fu "picciotteria". "Picciotti" erano anche coloro che appartenevano ai ranghi più bassi camorra napoletana, ma comunemente la parola significa "ragazzo". In un opuscolo del 1885 sulle condizioni igieniche di Reggio Calabria, Francesco Melari descrisse questi giovani che non nascondevano per nulla la propria natura criminale:

"Il giovanotto entrato nella "Società" col grado di "picciotto" veste calzoni stretti alla coscia e larghi agli estremi inferiori - detti "calzoni a campana" - fazzoletto annodato al collo, solini piegati, cappellino tondo sotto le cui falde si vede il ciuffo dei "bravi", che sporge orizzontalmente sulla tempia sinistra. Così aggiustato il "picciotto" prende un'aria spavalda e provocante; e armato dell'indispensabile "mollettone", coltello provvisto di molla a lama chiusa, e del rasoio a manico fermo, s'impone".[5]

L’organizzazione era presente sì nelle campagne e nelle lande desolate dell'Aspromonte, ma si strutturò anche nei grandi centri urbani come Reggio Calabria, Nicastro e Vibo Valentia. La ‘ndrangheta, dunque, non fu mai solamente figlia della povertà, del sottosviluppo, della miseria: esisteva questa componente, rintracciabile nell’Aspromonte descritto da Corrado Alvaro[6] dove dove «i pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali» e «la terra sembra navigare sulle acque», a causa del disboscamento selvaggio che andava ad arricchire i primi capitalisti calabresi (famosi i 60 ettari di foresta a San Luca abbattuti per il commercio di legname) e lasciava i pastori alla mercé della natura ad ogni pioggia.

La ‘ndrangheta fu figlia anche del commercio che popolava la ricca piana di Gioia Tauro, dove l’economia agraria era più avanzata e una classe borghese mercantile aveva messo solide radici. Al crocevia dei fiorenti traffici, laddove c’era bisogno di un mediatore, compariva «l’industriante», l’equivalente del gabelloto siciliano, una figura centrale nei commerci perché procurava mano d’opera o imponeva il prezzo dei prodotti agricoli, dalle olive agli agrumi.

Da principio, fu la stessa organizzazione a presentarsi come una variante del brigantaggio meridionale, usando parole d’ordine che alimentavano l’odio e la diffidenza verso uno Stato che veniva vissuto come oppressore quando c’era da prendere e inesistente quando c’era da dare. La copertura ideologica ebbe successo, tanto che alcuni si riferivano alla ‘ndrangheta come società di mutuo soccorso. Poi, per guadagnare maggior potere, gli 'ndranghetisti cominciarono a difendere l’onore e ad assicurare la giustizia a chi giustizia non ne poteva avere: il capobastone delle origini, come riferisce Ciconte[7], era il giudice di pace per i poveri, mediando tra i conflitti, mettendo fine a liti familiari, risolvendo controversie economiche, fino a trovare il marito giusto alla ragazza che rischiava di diventar zitella o, al contrario, scoraggiare la corte non apprezzata di una giovane ragazza. Gli ‘ndranghetisti, insomma, si cucirono addosso l’abito mai fuorimoda dell’uomo d’onore, nel senso che dalla difesa dell’onore, proprio e altrui, fondavano la legittimità al proprio Potere.

Il Maxi-processo di Palmi e l'offensiva giudiziaria alla fine del XIX Secolo

Poco dopo la sua comparsa, comunque, la "picciotteria" dovette fare i conti con un'offensiva giudiziaria che era sì discontinua, ma comunque più efficace di quella che contemporaneamente era portata avanti in Campania o in Sicilia contro Camorra e Mafia, e portò a svariati processi.

Musolino, il re dell'Aspromonte

Sotto il Fascismo

Nel periodo fascista la ‘ndrangheta resta attiva del territorio: sono questi infatti gli anni in cui l’organizzazione di stampo mafioso si stabilizza in quanto il regime fascista commette l’errore di sottovalutarla considerandola più come una forma di criminalità rurale. Vengono eseguiti diversi arresti e molti ‘ndranghetisti sono portati in carcere ma la contraddizione del periodo fascista viene messa in risalto pensando al caso del maresciallo dei carabinieri Giuseppe Delfino che diventa un mito della lotta alla criminalità ma finisce con lo scendere a patti insieme ad Antonio Macrì, importante capobastone del periodo. Entrare a far parte della ‘ndrangheta significa quindi per molti fare opposizione al potere statuale; per questo motivo nell’organizzazione confluiscono antifascisti.

L'avvento della Repubblica e il Secondo Dopoguerra

Con l’avvento della Repubblica, la ‘ndrangheta continuava la sua attività. Tra il 1943 e il 1945 i mafiosi furono nominati sindaci di buona parte dei comuni della Sicilia Occidentale e della provincia di Reggio Calabria. Si rimarcava, così, la continuità del potere ‘ndranghetista. Ciò non toglie che l’organizzazione criminale assunse caratteristiche diverse rispetto al passato, si adattava ai mutamenti, imboccando percorsi nuovi che la realtà imponeva. Non venne meno, in quel periodo, la funzione della ‘ndrangheta come soggetto politico, sia come direttamente impegnata nell’amministrazione pubblica, sia come interlocutrice privilegiata nell’assegnazione di lavori e servizi, ma anche come strumento utilizzato per risolvere le lotte per il potere che imperversarono in diversi partiti.

Gli anni Sessanta, i sequestri di persona e l’espansione verso il nord Italia

Dal 1963 fino alla fine degli anni settanta la 'ndrangheta si dedica al sequestro di persona per ottenere maggiori guadagni. I sequestri sono rivolti verso imprenditori benestanti del luogo e nascosti nelle zone dell’Aspromonte dove lo Stato fa arrivare l’esercito per cercare di porre fine a tale pratica.

Gli anni Sessanta segnano, inoltre, per la ‘ndrangheta l’espansione nell’Italia settentrionale e all’estero. Questo ampliamento territoriale coincide anche con un cambiamento di rotta negli investimenti economici: infatti inizialmente l’organizzazione si dedica a reati tradizionali come furti, sequestri di persona o estorsioni mentre successivamente si interessa al traffico internazionale di stupefacenti, al racket, al controllo della prostituzione e delle scommesse fino a toccare la gestione di appalti, alla politica e finanziaria.

Gli anni Settanta e la prima guerra di ‘ndrangheta

La fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta sono gli anni della prima guerra di ‘ndrangheta: già negli anni precedenti si verificano scontri tra cosche ma gli affari legati ai sequestri di persona, al traffico della droga e degli appalti aumentano la voglia di primeggiare soprattutto nei giovani dell’organizzazione.

Il 26 ottobre 1969 la polizia intercetta una riunione che le ‘ndrine del reggino organizzano a Montalto dove si cerca di mantenere l’unione della ‘ndrangheta a quel tempo in bilico.

Il 1974 viene ucciso Giovanni De Stefano e ferito suo fratello Giorgio durante la faida tra i De Stefano e don Mico Tripodo dalla quale escono vincitori i De Stefano. Sono molte le vittime rimaste uccise nella prima guerra di ‘ndrangheta: si contano solo nel 1975 circa 93 morti e nel 1976 101 morti. Tra questi, nomi importanti nell’organizzazione come Giorgio De Stefano, ‘Ntoni Macrì, Mico Tripodo, Martino Raso, Vincenzo Romeo, Giuseppe Polimeni, Giuseppe Zito, Giuseppe Imerti, Paolo Bruno Equisone, Totò D’Agostino.

Nel resto della Calabria stesso scenario si presenta a Crotone con lo scontro tra i Feudale e i Vrenno insieme ai Giampà di Cutro e gli Arena di Isola Capo Rizzuto; a Gioiosa Jonica con la cosca degli Scali-Aquino e i Mazzaferro come anche nell’alto tirreno con l’uccisione di Luigi Palermo a Cosenza.

Gli anni Ottanta, la seconda guerra di ‘ndrangheta e nuovi affari

Gli anni Ottanta sono segnati dalla seconda guerra di ‘ndrangheta durante la quale restano uccise circa 700 persone. Iniziato nel 1985 e terminato nel 1991, questo secondo scontro tra cosche vede la morte di altri nomi eccellenti come Paolo De Stefano che si scontra con gli Imerti.

Tra gli anni Ottanta e Novanta la 'Ndrangheta entra nell'affare dei rifiuti tossici con i casi di motonavi scomparse come: la Nikos I (1985) affondata tra Libano e Grecia; la Mikigan (1986) nel

Tirreno calabrese; la Rigel (1987) affondata nei pressi di Capo Spartivento; la Jolli Rosso, (1990) in provincia di Cosenza; la Anni (1989) a largo di Ravenna; la Marco Polo (1993) nel canale di Sicilia, e la Koraline (1995) a largo di Ustica. Legambiente nel 2009 denuncia la possibile presenza di rifiuti tossici anche in Aspromonte.

Gli anni '90 e la Seconda Repubblica

Il 1991 segna la fine delle faide di Taurianova e di Cittanova ma anche l’inizio della faida di San Luca. Sempre nel ’91 viene ucciso, a Piale, il magistrato Antonino Scopelliti.

Gli anni Duemila: l'egemonia criminale

La Struttura

La ‘ndrangheta si sviluppa con una struttura orizzontale per via della sua conformazione geografica: sono tante infatti le difficoltà di collegamento tra un comune e l’altro causando la formazione di più ‘ndrine nella regione che si interessano al controllo delle attività presenti nel proprio territorio.

Dall’unione di più cosche si delinea la “locale”, ovvero l’unità fondamentale di aggregazione mafiosa su un determinato territorio, formato minimo da 49 affiliati. Tutte le locali sono gestite solitamente da una terna di ‘ndranghetisti nota come “copiata” rappresentata dal capo bastone, dal contabile e dal capo crimine. Secondo le norme della ‘ndrangheta ogni affiliato che si presenta in una diversa locale deve dichiarare la sua appartenenza ad una copiata specifica e stessa cosa accade quando un affiliato di grado superiore lo richiede ad un affiliato gerarchicamente inferire per contrastare le infiltrazioni esterne.

Ogni capo bastone ha potere di vita e di morte sui suoi uomini e ha diritto all’obbedienza assoluta. La carica si tramanda da padre in figlio ed ha il potere di affiliare anche elementi esterni alla famiglia anagrafica. Solitamente il capo bastone fa avvicinare tutti i membri della propria famiglia naturale all’organizzazione in modo da renderla più sicura ed organizza matrimoni combinati per creare alleanze.

Il contabile oltre che delle finanze e della divisione dei proventi, si occupa della cosiddetta “baciletta” cioè la casa comune dove affluiscono i proventi delle attività criminali mentre il capo crimine è responsabile della pianificazione e dell’esecuzione di tutte le azioni delittuose.

Chi non fa parte dell’organizzazione viene solitamente definito contrasto mentre i fiancheggiatori che possono entrare a far parte dell’organizzazione sono detti contrasti onorati.

All’interno di questa organizzazione di stampo mafioso troviamo una divisione tra la Società Maggiore e la Società Minore. A quest’ultima fanno capo i picciotti semplici e di giornata che hanno il compito di avvisare tutti i membri delle riunioni indette – si tratta del primo vero grado nell’ascesa interna alla 'ndrangheta che deve eseguire gli ordini e dare completa obbedienza agli altri gradi della cosca con l’ambizione e la speranza di ricavarne benefici; i camorristi che possono essere semplici, di società, di fibbia che possono presiedere una riunione in cui vengono affiliati nuovi membri, formati che possono fare le veci del capo bastone e di sgarro noto per il suo valore; in fine gli sgarristi o camorristi di sgarro, che si distinguono in sgarristi di sangue e quindi che

hanno commesso almeno un omicidio o sgarristi definitivi che danno esempio di provata fedeltà all’organizzazione possono ricoprire il ruolo di colui che riscuote le tangenti.

Ad ogni ruolo corrisponde un santo: per esempio il grado di picciotto fa riferimento a santa Liberata, il camorrista a santa Nunzia e lo sgarrista a santa Elisabetta.

Nella Società Maggiore troviamo, in ordine crescente, il Santista, il Vangelo, il Quartino o Trequartino, il Quintino e l’Associazione.

La dote di Santista, ovvero il grado che può essere acquisito da uno sgarrista il quale ha dimostrato un certo valore, permette di raggiungere una posizione di élite nell’organizzazione e concede la formazione della società Maggiore, chiamata Santa con riferimento ai personaggi come Alfonso La Marmora, Giuseppe Garibaldi e Mazzini. Con la Santa la ‘ndrangheta si apre a compromessi con i poteri devianti delle istituzioni, fin quando si è nella posizione di sgarrista infatti non si può entrare a far parte di alcuna struttura pubblica, di avere parenti nelle forze dell’ordine e avere tessere dell’amministrazione pubblica mentre i santisti possono intrattenere rapporti con la politica.

In ordine si ha poi la dote di Vangelo, detta anche ruolo di vangelista perché si ottiene dopo un giuramento di fedeltà all’organizzazione mettendo una mano su una copia del Vangelo, che è stata creata da alcuni santisti per distinguersi, ovvero personaggi eccelsi, conoscitori dei diritti e dei doveri dell’Onorata Società con mansioni decisionali al massimo livello come nel caso di Antonio Pelle e dei Nirta o di Sebastiano Romeo e Giuseppe Muià. Le figure religiose a cui si fa riferimento, in questo caso, sono tutti gli apostoli e i santissimi Pietro e Paolo, mentre le figure storiche sono Giuseppe Mazzini e Camillo Benso di Cavour. Ancora, si ha la dote di Quartino o Trequartino creata solo per comodità di alcuni personaggi che volevano rimanere particolarmente segreti. E, infine, la dote di Quintino e l’Associazione, gradi estremamente importanti nell’organizzazione in quanto attribuiti ad un numero ristretto dei membri che permettono privilegi - responsabilità esclusive: il primo, il Quintino, si distingue per un tatuaggio con la stella a cinque punte mentre il secondo, l’Associazione, è concessa ai capi delle famiglie che si riuniscono in forma di consiglio e tra questi pochi, non più di sette persone in Calabria, è possibile ricordare Antonio Papalia e Domenico Tegano.

Già a partire dalla fine dell’Ottocento, un’altra figura di particolare importanza nella 'ndrangheta è svolta dalla "sorella d'omertà", ovvero una donna che svolge diversi compiti come dare assistenza ai latitanti, controllare l'andamento delle estorsioni, riscuotere le tangenti.

Il codice della ‘ndrangheta

“La ‘ndrangheta è rappresentata dall’albero della scienza che è una grande quercia alla cui base è collocato il capo bastone o mammasantissima ossia quello che comanda. Il fusto (il tronco) rappresenta gli sgarristi che sono la colonna portante della ‘ndrangheta. Il rifusto (grossi rami che partono dal tronco) sono i camorristi che rappresentano gli affiliati con dote inferiore alla precedente. I ramoscelli (i rami propriamente detti) sono i picciotti cioè i soldati della ‘ndrangheta. Le foglie (letteralmente così) sono i contrasti onorati cioè i non appartenenti alla ‘ndrangheta. Infine ancora le foglie che cadono sono gli infami che per la loro infamia sono destinati a morire”.

Quello della ‘ndrangheta è un codice che bisogna memorizzare non è consentito trascriverlo anche se molti hanno trasgredito a questa regola. Inizialmente infatti i membri dell’organizzazione comunicano preferibilmente a voce sia per evitare di lasciare testimonianze scritte ma anche per l’alto grado di analfabetismo del tempo; successivamente molte regole, codici, giuramenti ed altri documenti vengono riportati su carta.

Il primo codice di cui si ha notizia è quello di Nicastro del 1888 che contiene 17 articoli riguardanti gli obblighi e doveri degli affiliati , la formula del giuramento, la parola d’ordine per riconoscersi fra loro e distinguersi da quelli di altra società. Il primo codice dell’organizzazione criminale, scoperto nella zona di Seminara nel 1897, viene riportato in una sentenza del tribunale di Palmi con tutte le regole per essere ammessi al “gruppo” nel grado di picciotti e le norme di comportamento oltre ai ruoli da ricoprire.

Nel 1902, a Catanzaro, i carabinieri interrompono una riunione di picciotti e scoprono due fogli di carta, uno con il titolo “Società della malavita catanzarese” che riportava i nomi di 80 individui e rispettivo grado di presidente o capo contabile, camorrista e picciotto l’altro titolato “Statuto della malavita catanzarese” con tutte le norme, specie dell’ammissione ed espulsione.

All’interno dei codici si fa riferimento più volte all’importanza dell’omertà, valore primario nella ‘ndrangheta che la rende forte e coesa: Enzo Ciconte la definisce “scudo protettivo”. Entrare come membro nella picciotteria significa quindi far proprie le regole di questi codici d’onore.

Ancora oggi, per avere accesso all’organizzazione è prevista una pratica precisa: pungersi il dito o il braccio con un ago o con un coltello facendo cadere qualche goccia di sangue sull’immagine di san Michele Arcangelo, protettore della ‘ndrangheta, che poi viene bruciata a seguito di alcune parole pronunciate dal capobastone che suonano come una minaccia “Come il fuoco brucia questa immagine, così brucerete voi se vi macchiate d’infamità; se prima vi conoscevo come un contrasto onorato da ora vi riconosco come un picciotto d’onore”. Dopo il giuramento, ancora, per rendere ufficiale l’ingresso nell’organizzazione bisogna pagare la ‘ dritta’, ovvero la tassa d’ingresso, nella ‘baciletta’, la cassa comune della società custodita dal contabile.

Infine, oltre al linguaggio parlato e scritto la ‘ndrangheta si rende forte anche grazie a omicidi, furti, danneggiamenti, taglio degli alberi da frutta e tante altre forme intimidatorie che rendono facilmente comprensibile il suo operato a tutta la popolazione.

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Fatti Principali

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Bibliografia

Note

  1. Traduzione dal Vocabolario GRECO-ITALIANO di Lorenzo Rocci, Società Editrice Dante Alighieri
  2. Citato in Enzo Ciconte, 'Ndrangheta, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008, p.25
  3. Citato in Ibidem, p.26
  4. Citato in John Dickie, Onorate Società, Bari, Laterza, 2012, p.156
  5. Citato in Ciconte, 2008, p.29
  6. Corrado Alvaro, Gente di Aspromonte, Firenze, Le Monnier, 1930
  7. Ciconte, 2008, p.41 e ss.