45/2001 (Legge)

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«Con questa legge, se fossi un mafioso, non mi pentirei più»
Pietro Grasso


La legge n.45 del 13 febbraio 2001[1] ha modificato la precedente disciplina in materia di collaboratori e testimoni di giustizia, contenuta nel d.l. 8/91, convertito con modificazioni nella legge 203/91. Il disegno di legge approvato dal Parlamento era stato presentato dagli allora ministri dell'Interno Giorgio Napolitano e di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flick l'11 marzo 1997. Dopo quattro anni di feroci scontri tra le forze politiche in Parlamento, il ddl di iniziativa governativa, fortemente sostenuto dall'allora nuovo ministro della Giustizia Piero Fassino, viene approvato in extremis sul finire della XIII legislatura.

Gli intenti del ddl Flick-Napolitano

Il ddl Flick-Napolitano[2] recepiva tutte le principali obiezioni critiche scaturite dal dibattito politico e giornalistico dei mesi precedenti sui collaboratori di giustizia. Gli obiettivi espliciti della riforma erano tre:

  1. impedire le cosiddette «dichiarazioni a rate» del pentito;
  2. abolire l'impunità totale e prevedere un congruo periodo di detenzione dell'ex-mafioso;
  3. consentire il sequestro e la confisca dei beni del pentito acquisiti illecitamente.

Il dibattito parlamentare

L'esame del ddl aveva subito forti rallentamenti a causa del contrasto tra le forze politiche sulla necessità di inserire nuove previsioni sui criteri di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in sede processuale, poi superati grazie alla contestuale emanazione della legge sul giusto processo n.63/2001. Al varo della nuova normativa avrebbe contribuito non solo il mutato clima verso i pentiti da parte dello Stato e dell'opinione pubblica (a dimostrazione dell'efficacia della nuova strategia di Cosa Nostra circa il recupero del pentito, finalizzato a manipolarne la collaborazione per inquinare i processi e delegittimare così l'istituto della collaborazione in sé), ma anche il sempre più acceso conflitto tra magistratura e politica, non solo per i processi ai politici della Prima Repubblica per concorso esterno in associazione mafiosa, ma anche per gli strascichi giudiziari e gli epiloghi di molti dei processi della stagione di Mani Pulite.

I contenuti della riforma

Le principali novità introdotte dalla 45/2001 possono essere riassunti in cinque punti:

  • l'introduzione di nuovi strumenti e procedure per garantire la genuinità delle dichiarazioni e la trasparenza nella gestione dei pentiti, uno su tutti il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione;
  • lo sganciamento del sistema premiale da quello tutorio;
  • l'accentuata diversificazione delle misure di protezione dei pentiti, a seguito di rigorosa valutazione del reale pericolo a cui sarebbero esposti;
  • la definizione di una nuova disciplina con criteri rigorosi per la concessione, la revoca e la modifica dei benefici penitenziari;
  • la regolamentazione dei presupposti per la revoca della custodia cautelare.

Il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione

La riformulazione dell’art.16-quater del d.l. n.8/91 (convertito, con modificazioni, nella 82/91) prevede che la persona indagata, imputata o condannata per un delitto di tipo mafioso, che manifesti la volontà di collaborare, deve rendere al procuratore della Repubblica «entro il termine di 180 giorni dalla suddetta manifestazione di volontà, tutte le notizie in suo possesso utili alla ricostruzione dei fatti e delle circostanze sui quali è interrogata, nonché degli altri fatti di maggiore gravità ed allarme sociale di cui è a conoscenza, oltre che alla individuazione e alla cattura dei loro autori e altresì le informazioni necessarie perché possa procedersi alla individuazione, al sequestro e alla confisca del denaro, dei beni e di ogni altra utilità dei quali essa stessa o, con riferimento ai dati a sua conoscenza, altri appartenenti a gruppi criminali dispongono direttamente o indirettamente.» Per prevenire le cosiddette «dichiarazioni a rate», il verbale deve obbligatoriamente contenere anche una dichiarazione finale con la quale il collaboratore afferma «di non essere in possesso di notizie ed informazioni processualmente utilizzabili su altri fatti o situazioni, anche non connessi o collegati a quelli riferiti, di particolare gravità o comunque tali da evidenziare la pericolosità sociale di singoli soggetti o di gruppi criminali.» Inoltre, l'obbligo a rendere un'informativa completa è circoscritto alle sole notizie «processualmente utilizzabili», che possano formare oggetto di testimonianza a norma dell'art.194 del c.p.p., mentre sono escluse notizie apprese da «voci correnti o da situazioni a queste assimilabili», che, a causa della loro genericità, possono svolgere solo una funzione preventiva o investigativa, onde evitare di compromettere la riservatezza o l'onore di soggetti estranei al procedimento.

L'inutilizzabilità processuale delle dichiarazioni

L'ultimo comma del riformulato art.16-quater stabilisce inoltre che le dichiarazioni rese dal pentito oltre il termine di 180 giorni «non possono essere valutate ai fini della prova dei fatti in esse affermati contro le persone diverse dal dichiarante, salvo i casi di irripetibilità». Il che significa che sono utilizzabili ai fini probatori, oltre il termine dei 180 giorni, le sole dichiarazioni rese a favore e non contro terze persone o quelle divenute irripetibili.

Le nuove procedure per garantire la genuinità della collaborazione

Al fine di preservare l'autenticità e la genuinità della collaborazione, la 45/2001 introduce anche nuove procedure per evitare che questa venga compromessa da colloqui con organi investigativi o incontri con altri collaboratori o soggetti diversi. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) ha l'obbligo di provvedere all'immediato trasferimento del mafioso che manifesti la volontà di collaborare in istituti penitenziari o loro sezioni distaccate che ne possano garantire la sicurezza e che gli impediscano di incontrarsi con altri collaboratori. Per fugare qualsiasi dubbio circa "le dichiarazioni concordate a tavolino", è espressamente vietato sottoporre a colloqui investigativi il detenuto, almeno fino alla redazione del verbale illustrativo, mentre viene introdotto l'obbligo da parte del pentito di indicare nel verbale tutti i colloqui intrattenuti prima della sua decisione a collaborare, sui quali il giudice ha il potere di disporre, su richiesta di parte, l'acquisizione di copia dei registri, per l'effetto del combinato disposto degli artt. 16-quater, comma 5, e 16-sexies, comma 2 del riformato d.l. 8/91. Inoltre, il collaboratore non può assolutamente intrattenere alcun tipo di corrispondenza, sia essa epistolare, telegrafica o telefonica, oltre ad avere incontri, con altri criminali o collaboratori di giustizia, salva, in quest'ultimo caso, l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria per finalità connesse a esigenze di protezione, ovvero per gravi esigenze familiari, qualora il collaboratore da incontrare sia un parente.

Provvedimenti in materia di sequestro e confisca dei beni del collaboratore

Al fine di impedire il riciclaggio o comunque il godimento di ricchezze accumulate in maniera illecita, l'articolo 16-quater impone al collaboratore di giustizia, in sede di redazione del verbale, di fornire tutte le informazioni necessarie per procedere all'individuazione, al sequestro e alla confisca di beni e di ogni altra utilità dei quali essi stessi o atri appartenenti al gruppo criminale dispongano direttamente o indirettamente. La disposizione di legge va letta in collegamento con l'art.12, comma 2, lettera e), del d.l. 8/91, in base al quale il collaboratore ha l'obbligo di specificare tutti i beni e le altre utilità di cui dispone direttamente o indirettamente, nonché quello di versare, subito dopo, il denaro frutto di attività illecite, affinché «l'Autorità giudiziaria provveda all'immediato sequestro». La falsità delle dichiarazioni rese dal collaboratore è oggi sanzionata con la revoca delle misure di tutela e con la possibile revoca dell'attenuante, oltre che dei benefici penitenziari. Va detto che la generica formulazione dell'art.12, comma 2, lettera e), consente di procedere all'immediato sequestro non solo del denaro e dei beni di origine illecita, ma anche di tutti i beni leciti del collaboratore, finendo così per imporgli un trattamento patrimoniale maggiormente sanzionatorio rispetto a quello previsto per il mafioso che decida di non collaborare con la giustizia, creando così un forte disincentivo alla collaborazione stessa. Rispetto alla destinazione dei beni confiscati, la nuova legge dispone che il 60% di essi venga utilizzato per coprire l'attuazione delle speciali misure di protezione, mentre il 15% venga elargito a favore delle vittime dei reati di terrorismo e criminalità organizzata, previste dalla legge n.302/90.

La revisione della sentenza di condanna, in caso di falsità della dichiarazione

La 45/2001 ha anche modificato la disciplina della revisione della sentenza di condanna che era contenuta negli ultimi tre commi dell'art.8 del d.l. n.152/91. Questo istituto, di natura eccezionale e scarsamente applicato in passato, permetteva, su richiesta del procuratore generale presso la Corte d'appello competente, di riformare in negativo la sentenza irrevocabile di condanna con cui erano state concesse le attenuanti, qualora le dichiarazioni rese dal collaboratore si fossero rivelate successivamente false o reticenti. Accanto alla revisione finalizzata a scoraggiare le collaborazioni false o reticenti, la 45/2001 ha introdotto anche una nuova forma di revisione, che è possibile richiedere qualora il beneficiario abbia commesso, entro 10 anni dal passato in giudicato della sentenza, un delitto per il quale sia previsto l'arresto in flagranza obbligatorio e che sia indicativo della sua permanenza nel circuito criminale (art.16-septies, d.l. n.8/91). Qualora il giudice accogliesse la domanda di revisione, egli può disporre, su richiesta del pubblico ministero, l'applicazione di una misura cautelare, ai sensi dell'art.16-septies, comma 4 e 5, del d.l. n.8/91. Non solo, qualora le circostanze attenuanti siano state applicate con sentenza ancora revocabile, è facoltà del pm richiederne la restituzione nel termine per impugnare la sentenza. Se poi le dichiarazioni false o reticenti integrano il delitto di calunnia, la pena è aumentata da un terzo alla metà o, se uno dei benefici è già stato concesso, dalla metà ai due terzi.

L'abolizione dell'impunità totale e i nuovi provvedimenti cautelari personali

Il precedente regime cautelare prevedeva all'art.275, comma 3 (tutt'ora vigente), l'applicazione obbligatoria della custodia cautelare in carcere per i soggetti indagati o imputati per delitti di tipo mafioso, a meno che questi non decidessero di collaborare: in tal caso veniva garantita la possibilità al pentito di ottenere la custodia in locali diversi dal carcere «per il tempo necessario alla definizione dello speciale programma di protezione». La semplice scelta a collaborare consentiva ai pentiti di sottrarsi alla pena detentiva, anche prima che se ne vagliasse l'effettiva attendibilità in sede processuale, con l'effetto di incoraggiare false collaborazioni da parte di soggetti che continuavano ad avere rapporti con il gruppo criminale d'appartenenza. Per questo motivo, la 45/2001 vieta all'art.16-octies la revoca o la sostituzione della misura della custodia cautelare per il solo fatto che la persona esprima la volontà di collaborare, a meno che il giudice non abbia acquisito, anche grazie al parere del procuratore nazionale antimafia, elementi dai quali sia possibile desumere l'esclusione dei collegamenti con la criminalità organizzata di stampo mafioso.

Concessione, revoca e modifica dei benefici penitenziari

La 45/2001 ha introdotto anche criteri molto più rigorosi ed esclusivi nella concessione, nella revoca e nella modifica dei benefici penitenziari per i soggetti che decidano di collaborare. Mentre il testo originario del '91 indicava come potenziali beneficiari del programma di protezione (e quindi dei benefici penitenziari ad esso connessi) gli autori dei delitti per i quali era obbligatorio l'arresto in flabranza ai sensi dell'art.380 del c.p.p., la nuova normativa li circoscrive ai soli autori di delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale (art.51, comma 3bis, c.p.p.). Il trattamento di favore riservato ai pentiti consiste, da un lato, nella possibilità di fruire dei benefici penitenziari (prima preclusi dall'art.4bis della 354/1975) e, dall'altro, di ottenere la concessione delle misure della liberazione condizionale, della detenzione domiciliare e dei permessi premio «anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui agli artt. 176 c.p., 30ter e 47ter della l. n.354/75 e successive modificazioni»[3] Diversamente dal passato, non è più consentito derogare ai limiti di pena ordinari allorché si tratti dei benefici del'assegnazione del lavoro esterno e dell'affidamento in prova ai servizi sociali, in quanto la natura di tali misure rendeva particolarmente difficili le attività di controllo e di protezione da parte delle forze di polizia; il collaboratore può farne richiesta, ma questa è vincolata al parere del Procuratore nazionale antimafia, richiesto dal giudice di sorveglianza. L'organo legittimato a richiedere i benefici a favore del pentito è il procuratore nazionale antimafia; ciononostante, il suo parere sfavorevole può essere disatteso dal giudice, che dovrà però specificarne le ragioni nel provvedimento di concessione del beneficio. I benefici penitenziari possono essere concessi solo dopo la redazione del verbale illustrativo e solo dopo una valutazione da parte del giudice delle caratteristiche della collaborazione, della pericolosità sociale e della condotta, anche processuale, del pentito, il quale non deve essersi «mai rifiutato di sottoporsi a interrogatorio o ad esame o ad altro atto d'indagine», nonché a seguito dell'accertamento del ravvedimento, inteso come assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, stando all'art.16-nonies, comma 3 e 4. Oltre a ciò, la 45/2001 condiziona la concessione dei benefici solo nel caso in cui la collaborazione venga definita importante, il verbale venga redatto entro i tempi previsti e che il collaboratore abbia espiato una parte della pena inflitta (un quarto oppure 10 anni, se condannato all'ergastolo), tranne che nel caso in cui il beneficio richiesto sia un permesso premio (art.16-nonies, comma 4). I benefici penitenziari concessi al collaboratore possono essere revocati o modificati d'ufficio (o su proposta o parere del procuratore nazionale antimafia) per gli stessi motivi che giustificano la modifica o la revoca delle speciali misure di protezione oppure per la revisione della sentenza con la quale sono state applicate le attenuanti.

Differenziazione del regime di protezione tra collaboratore e testimone di giustizia

La legge 45/2001 ha distinto il Servizio centrale di protezione in due diverse strutture, differenziando il trattamento assistenziale tra collaboratori e testimoni di giustizia, per i quali è previsto il mantenimento degli stessi standard di vita precedenti.

Effetti e critiche alla 45/2001

La critica più dura alla legge venne dalle colonne del Corriere della Sera il 18 marzo 2001 da parte del neo-procuratore di Palermo Pietro Grasso, che in un'intervista a Felice Cavallaro disse: «Se fossi un mafioso, non mi pentirei più»[4]. Secondo l'allora procuratore, la legge era fortemente disincentivante e avrebbe reso molto più conveniente per il mafioso stare zitto, piuttosto che parlare. E, infatti, rispetto al passato, il numero di pentiti si ridusse drasticamente, passando dai 1214 del 1996 ai 1120 del 2012[5]. Di questi, 472 sono pentiti di Camorra, 306 di Cosa Nostra, 123 di ‘Ndrangheta, 105 della Sacra Corona Unita ed i rimanenti 114 classificabili come appartenenti ad altre organizzazioni criminali.


Note

  1. Consulta il testo integrale della legge qui: http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2001-02-13;45@originale
  2. Cfr "Modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonché disposizioni in favore delle persone che prestano testimonianza" http://www.senato.it/leg/13/BGT/Schede/Ddliter/9075.htm
  3. cfr art.16-nonies, comma 4, d.l. n. 8/1991
  4. Corriere della Sera, 18/03/2001
  5. Cfr l'ultima "Relazione al Parlamento sulle speciali misure di protezione sulla loro efficacia e sulle modalità generali di applicazione", disponibile qui http://www.poliziadistato.it/articolo/26546/