Archeomafie: differenze tra le versioni

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Oltre ad opere d'arte, sono oggetto del traffico anche libri, documenti antichi e beni archivistici, nonché monete. Queste ultime sono le più richieste sul mercato illegale. Quasi la metà dei furti avviene in Chiese e istituti religiosi, stando ai dati di Legambiente.<ref>Ecomafie 2014, Legambiente</ref>
Oltre ad opere d'arte, sono oggetto del traffico anche libri, documenti antichi e beni archivistici, nonché monete. Queste ultime sono le più richieste sul mercato illegale. Quasi la metà dei furti avviene in Chiese e istituti religiosi, stando ai dati di Legambiente.<ref>Ecomafie 2014, Legambiente</ref>
== Bibliografia ==
* Ecomafie 2014, Legambiente


== Note ==
== Note ==

Versione delle 19:50, 27 set 2014


Archeomafie è il termine con cui comunemente vengono qualificate quelle organizzazioni criminali, non solo di stampo mafioso, che operano nel settore dei beni culturali, dedite agli scavi archeologici clandestini e al furto e al traffico di opere d’arte.

Origine del termine

Il termine "archeomafie" comparve per la prima volta nel 1999, usato da Legambiente nel dossier "Archeomafie e il caso villa Romana del Casale", una villa patrimonio dell'umanità Unesco sita in Piazza Armerina, Enna. In quel dossier l'associazione ambientalista denunciava i numerosi atti vandalici a danno della villa, su cui anche la Procura di Enna aveva aperto un fascicolo di indagine (poi archiviato nel 2000).

Finalità

Aree archeologiche in tutto il mondo vengono depredate ogni giorno. Eppure l'immensa disponibilità in Italia di siti archeologici, monumenti, chiese, musei e immobili di interesse storico-artistico sotto tutela alimenta un mercato molto redditizio per le organizzazioni mafiose, le quali, come rivelato dall'Operazione Ro.Vi.Na, utilizzano questa attività per riciclare denaro, utilizzare i beni trafugati come moneta di scambio per partite di droga e armi, per ricattare i vertici delle istituzioni.

Le figure criminali

Tre le figure tipiche del traffico di beni archeologici ci sono:

  • i tombaroli, che si occupano di “produrre il pezzo” attraverso scavi clandestini, furti e contraffazioni;
  • i ricettatori, che trafficano il bene “piazzandolo” nel Paese d’origine se di valore medio-basso, all’estero se è invece medio-alto;
  • i committenti-ricettatori, che rivendono gli oggetti a musei, case d’asta e privati in tutto il mondo.

Reperti trafugati

I reperti vengono esportati clandestinamente all'estero (soprattutto in Nord America, Australia e Giappone), dopo essere stati preventivamente “ripuliti” attraverso false documentazioni ottenute in Paesi come la Svizzera, che costituiscono veri porti franchi. Il bottino più appetibile in questo settore criminale è rappresentato dai reperti archeologici sommersi, i quali, non essendo catalogati, riescono a bypassare i controlli. Uno dei casi più noti è quello dell’Apollo Sauroctonos, un’antica statua greca che comparve dal nulla nel museo di Cleveland, nell’Ohio. Secondo la versione ufficiale era stata acquistata presso una galleria d’arte svizzera, che l'aveva a sua volta acquistata da una collezione privata tedesca, ma il governo greco riuscì a dimostrare che la statua era stata ritrovata in mare negli anni '90.

Oltre ad opere d'arte, sono oggetto del traffico anche libri, documenti antichi e beni archivistici, nonché monete. Queste ultime sono le più richieste sul mercato illegale. Quasi la metà dei furti avviene in Chiese e istituti religiosi, stando ai dati di Legambiente.[1]

Note

  1. Ecomafie 2014, Legambiente