Cartello di Sinaloa

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Il cartello di Sinaloa o cartello del Pacifico, è un'organizzazione criminale messicana dedita al traffico di droga. Il suo centro operativo si trova nel Sinaloa, uno stato del Messico Occidentale affacciato sull'Oceano Pacifico e attraversato dalla catena montuosa della Sierra Madre Occidentale, ricca di coltivazioni di cannabis e papavero da oppio. Il gruppo, specializzato nel traffico di marijuana, eroina, cocaina e metanfetamina, estende la propria influenza e i propri traffici su tutti e cinque i continenti e si configura oggi come una delle organizzazioni criminali più ricche e territorialmente più estese del pianeta.

Le origini: i trafficanti del Sinaloa e il cartello di Guadalajara

Le origini del cartello di Sinaloa sono rintracciabili sin dai primi decenni del Novecento. I primi gruppi di narcotrafficanti si stabilirono nel cosiddetto "Triangolo Dorato", una zona ricca di coltivazioni di marijuana e di oppio situata tra gli stati messicani del Sinaloa, Durango e Chihuahua. In queste zone a partire dagli anni '20 i produttori e trafficanti locali spodestarono i gruppi di immigrati cinesi nella produzione e nel traffico di oppio ed eroina verso gli Stati Uniti. [1] A gestire i traffici erano piccole o medie imprese familiari, campesinos, avventurieri e commercianti che iniziarono a comprendere le potenzialità del traffico di droga. Grazie alle politiche fortemente proibizionistiche degli Stati Uniti in materia di narcotraffico, e al conseguente sviluppo di un fiorente mercato nero, i gruppi messicani originari del Sinaloa si specializzarono nella produzione, nella distribuzione e nel traffico di oppio e marijuana oltre confine.[2] Occorre sottolineare che fin dai primi decenni del Novecento il mercato della droga messicano si legò a doppio filo con la politica. Dagli anni '20 iniziarono a susseguirsi vicende in cui politici locali e governatori si trovavano coinvolti in traffici illeciti o in episodi di corruzione. Quando la pressione degli organismi antidroga degli Stati Uniti sul governo messicano si fece più intensa (soprattutto dagli anni ’60 e ’70 quando la guerra del Vietnam e la controcultura fecero incrementare il consumo di sostanze stupefacenti nel paese) i vertici di Città del Messico dovettero dare segnali forti al vicino americano e avviarono una serie di campagne per la fumigazione e la estirpazione delle colture nel Triangolo Dorado. Queste operazioni indussero il blocco di trafficanti del Sinaloa a spostarsi verso sud, nella città di Guadalajara, nello stato di Jalisco. A Guadalajara cominciò a prendere forma quello che le agenzie antidroga americane etichettarono come cartello di Guadalajara.

Il gruppo si caratterizzava per 3 elementi: 1. Monopolio sulle coltivazioni e i traffici di droga. 2. Struttura clanica-familiare. 3. Stretti legami con la politica, l’imprenditoria e le forze dell’ordine.

La struttura direttiva e operativa dell’organizzazione contemplava un gruppo di clan familiari, la maggior parte originari dello stato del Sinaloa. Le famiglie di spicco erano i Caro Quintero; gli Zambada; i Beltrán Leyva; i Carillo Fuentes; i Guzmán Loera e gli Arellano Félix. All’interno del cartello gravitavano altri leader rilevanti non originari del Sinaloa come Héctor Luis Palma Salazar El Güero e Juan José Esparragoza Moreno detto El Azul. I vertici dell’organizzazione erano costituiti da Rafael Caro Quintero, Ernesto Fonseca Carrillo alias Don Neto e dal capo assoluto Miguel Angel Félix Gallardo, detto "El Padrino" o Jefe de los Jefes. [3]

Con gli anni Ottanta l'organizzazione fece un decisivo salto di qualità entrando nel mercato della cocaina. Il boom del consumo di polvere bianca negli Stati Uniti e la conseguente chiusura della rotta caraibica da parte del governo americano nel 1982, costrinse i cartelli colombiani, assolutamente dominanti nel traffico in quegli anni, a contrattare con le organizzazioni criminali messicane l'ingresso della merce in America. Grazie alla mediazione di alcune figure chiave, come quella dell’honduregno Juan Matta Ballesteros il cartello di Guadalajara e il cartello di Medellin di Pablo Escobar iniziarono ad accordarsi. Alcune inchieste riportano come questi accordi vennero stipulati con la compiacenza della CIA, l’agenzia di intelligence americana, accusata di favorire i cartelli della droga colombiani e messicani in cambio del loro sostegno economico ai contras del Nicaragua, che lottavano contro il governo filocomunista di Sandino.[4] Il cartello divenne dunque in breve tempo la rampa di lancio obbligata verso il mercato americano della cocaina: questa nuova centralità gli permise di acquisire sempre maggiore indipendenza nei confronti dei gruppi criminali colombiani. L’omicidio dell’agente della DEA Enrique Camarena nel 1985 complicò lo scenario, anche perchè avvenne per mano di alcuni uomini del cartello con la protezione di un settore corrotto dell'agenzia di intelligence messicana, la Direcciòn Federal de Seguridad (DFS). Le conseguenti pressioni statunitensi costrinsero Città del Messico a compiere un giro di vite nei confronti dei leader del gruppo di Guadalajara. Immediatamente vennero catturati Caro Quintero e Fonseca Carillo, mentre Felix Gallardo fu incarcerato solo nel 1989. [5]

La frammentazione del cartello di Guadalajara e gli anni '90

Dopo la cattura di Gallardo, il cartello di Guadalajara venne frammentato a tavolino e furono ripartiti i territori. Alcuni studiosi e giornalisti sostengono che sia stato lo stesso Gallardo ad operare la divisione con la speranza che i traffici continuassero floridi e pacifici attraverso una sorta di holding criminale, altri sostengono che sia stato Juan José Esparragoza Moreno “El Azul”. Lo stesso Gallardo imputò la frammentazione del cartello a Guillermo González Calderoni, il capo corrotto della Policia Judicial Federal al servizio del Padrino. I territori furono ripartiti in zone d’influenza: a Joaquìn “El Chapo” Guzmàn de Loera fu assegnato il controllo di Tecate; la città di Mexicali andò all’ex agente della DFS Rafael Chao; a Rafael Aguilar Guajardo furono consegnate le chiavi di Ciudad Juárez e Nuevo Laredo; ad Héctor Luis “El Güero” Palma Salazar la città di San Luis Río Colorado; fu assegnato Nogales ed Hermosillo nello stato di Sonora a Emilio Quintero Payán; a Jesús Labra “El Chuy” fu data la città di Tijuana, in Baja California, mentre ad Ismael “El Mayo” Zambada García fu assegnato l’intero stato di Sinaloa. [6] La ripartizione dei territori non significava il controllo esclusivo della plaza. Erano ammessi anche altri narcotrafficanti, sia messicani che stranieri, a patto che pagassero una quota per il transito e l’utilizzo della rotta.

La ripartizione compiuta non sopravvisse a lungo perché dagli anni Novanta si imposero sullo scenario criminale tre imprese criminali in modo prevalente: il cartello di Sinaloa guidato da El Chapo Guzmàn, El Mayo Zambada ed El Güero Palma Salazar che detenevano il controllo di Sinaloa e Sonora; il cartello di Tijuana dei fratelli Arellano Felix ed il cartello di Juárez di Amado Carillo Fuentes. La fine del monopolio di un solo attore criminale (e dunque l’abbassamento delle barriere di entrata nel mercato) e la continua diversificazione del mercato statunitense della droga contribuirono ad innalzare la competizione per il controllo dei mercati illeciti e dei territori strategici. La prima escalation di violenza si verificò nei territori della Baja California, la regione al confine con la California dove si trova proprio la città di Tijuana. La difficile convivenza tra il cartello di Tijuana e quello di Sinaloa provocarono un aumento del tasso di omicidi nella regione. In un agguato orchestrato contro El Chapo, i sicari del cartello di Tijuana uccisero per sbaglio il cardinale Juan Jesús Posadas Ocampo il 24 maggio 1993. [7] Gli anni novanta furono comunque caratterizzati da un livello di scontro medio-basso, dove si impose, almeno fino al 1997 Amado Carillo Fuentes, leader del cartello di Juárez. La sua egemonia, unitamente alla capacità di corrompere qualsiasi attore politico e istituzionale si ponesse di fronte a lui, permisero un periodo di relativa stabilità nel panorama criminale messicano. Secondo la giornalista Anabel Hernández la troppa vitalità del Chapo costrinse Amado Carillo a vendere alla polizia il leader del cartello di Sinaloa. Arrestato nel 1993, El Chapo rimase nel carcere di massima sicurezza di Puente Grande fino al gennaio 2001.

L'era del Chapo: le guerre e l'ascesa del cartello di Sinaloa (2001-2016)

L'arresto del Chapo e gli scenari futuri

  1. Gli immigrati cinesi giunsero negli Stati Uniti e in Messico alla fine del 1800 per rimpolpare la manodopera impiegata per la costruzione delle ferrovie della costa occidentale. Essi introdussero anche la coltivazione di papavero da oppio e successivamente ne gestirono la produzione e i traffici. In Antonio L. Mazzitelli, "Crimine organizzato e narcotraffico in Messico: cartelli e protomafie", in Atlante delle Mafie, storia, economia, società, cultura, Enzo Ciconte, Francesco Forgione, Isaia Sales (a cura di) Volume Terzo, Rubettino, 2015, p.300.
  2. Per una panoramica sulle politiche di contrasto al narcotraffico degli Stati Uniti con particolare riferimento al caso messicano si veda Thomas Aureliani, Gli Stati Uniti e la lotta al narcotraffico, il caso messicano (1916-2013), tesi di laurea, Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali, Università degli Studi di Milano, a.a. 2012-2013.
  3. Guillermo Valdés Castellanos, Historia del narcotráfico en México, Penguin Random House Grupo Editorial, México, 2013, p.175-180; Thomas Aureliani, La criminalità organizzata in Messico e le forme della resistenza civile, “Osservatorio sulla Criminalità Organizzata-CROSS”, Università degli Studi di Milano, 2016, p.34
  4. Per approfondire il coinvolgimento del governo americano nel traffico di droga durante gli anni Ottanta, consultare Anabel Hernàndez, La terra dei narcos, nello specifico i capitoli III “un patto perverso” e IV “un allevamento di corvi” pp.55-97
  5. Thomas Aureliani 'La criminalità organizzata in Messico e le forme della resistenza civile, op. cit., p.36
  6. Guillermo Valdés Castellanos op. cit. p.211
  7. La versione ufficiale racconta che i membri del cartello di Tijuana scambiarono il cardinale per El Chapo. La versione più probabile sembra invece legata all’attivismo antimafia del cardinale, al corrente delle fitte trame relazionali tra narcotrafficanti e istituzioni. in Anabel Hernández, op cit. p.53.