Emanuele Basile: differenze tra le versioni

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'''Emanuele Basile''' (Taranto, [[2 luglio]] [[1949]] – Monreale, [[4 maggio]] [[1980]]) è stato un Capitano dei Carabinieri ucciso da [[Cosa Nostra]] per aver continuato un'indagine avviata dal capo della Squadra mobile di Palermo [[Boris Giuliano]] su un traffico di stupefacenti gestito dalla famiglia di Altofonte, stretta alleata dei [[Corleonesi]] di [[Totò Riina]]<ref>L'agguato al Capitano Emanuele Basile, Arma dei Carabinieri, p.1</ref>.
[[File:Emanuele Basile.jpg|right|thumb|Emanuele Basile]]
 
== Biografia ==
Nato a Taranto il 2 luglio 1949, Basile era il terzo di cinque figli. Frequentò l’Accademia Militare di Modena e, una volta ottenuto il diploma, provò e passò il test a Medicina all'Università; dopo aver passato l'esame di anatomia, tuttavia, Basile capì che la sua vera passione era per l'Arma dei Carabinieri. Dopo aver comandato la Compagnia di Sestri Levante, in provincia di Genova, Basile venne mandato alla Caserma di Monreale, dove cominciò a lavorare a stretto gomito con il capo della Squadra Mobile di Palermo [[Boris Giuliano]]<ref>Ibidem</ref>, ucciso il [[21 luglio]] [[1979]].
 
=== L'indagine di Giuliano sul traffico di droga ===
Dopo la morte di Giuliano, Basile continuò la sua indagine sui traffici di stupefacenti nei quali erano coinvolti i [[Corleonesi]], nel pieno della loro scalata al potere ai vertici di Cosa Nostra nella [[Seconda Guerra di Mafia]]; in particolare, riuscì a ricostruirne le tracce attraverso l'accertamento dei movimenti bancari e ad accendere i riflettori sulla famiglia di Altofonte, che operava nel territorio della compagnia di Monreale; in via generale sotto la giurisdizione rientravano i comuni di Altofonte, Piana degli Albanesi e Camporeale, tutti sotto il controllo del mandamento di San Giuseppe Jato, rappresentato in seno alla [[Commissione provinciale|Commissione Provinciale]] di Cosa Nostra da [[Antonino Salamone]], generalmente sostituito da [[Bernardo Brusca]]<ref>Ivi, p.2</ref>.
 
* per approfondire vedi [[:Categoria:Famiglie di Cosa Nostra|Famiglie di Cosa Nostra]]
 
I risultati delle indagini lo portarono alla coraggiosa decisione di procedere, il [[6 febbraio]] [[1980]] all'arresto in flagranza di reato per il delitto di associazione per delinquere a carico dei membri della famiglia di Altofonte, oltreché alla denuncia per lo stesso reato di [[Leoluca Bagarella]], [[Antonino Gioé]], [[Antonino Marchese]] e [[Francesco Di Carlo]]; le altre ipotesi investigative sulle famiglie legate a [[Totò Riina]] finirono nel rapporto del [[16 aprile]] dello stesso anno, consegnato a [[Paolo Borsellino]]. Tra i suoi principali collaboratori anche l’Appuntato [[Giuseppe Bommarito]], suo fedele autista, che poi sarebbe stato anche lui ucciso tre anni dopo insieme al successore di Basile, il capitano [[Mario D'Aleo]].
 
=== L'omicidio ===
La sera del 3 maggio, un sabato, Basile partecipò a un ricevimento organizzato dal Comune di Monreale al Palazzo di Città, in occasione della festa del Santissimo Crocifisso, patrono della città, per poi unirsi alla tradizionale processione per l'omaggio della cittadinanza al simulacro di Cristo in croce. Verso mezzanotte e mezza, mentre lo spettacolo pirotecnico era ancora in corso, Basile si avviò verso la Caserma con la moglie Silvana e la figlia Barbara di 4 anni che teneva in braccio; in via Pietro Novelli, piena di gente, i tre furono però raggiunti da un killer, che sparò alle spalle del Carabiniere; la moglie Silvana tentò di parare il colpo di grazia diretto al marito e si salvò per miracolo grazie a un'agendina 3x4 cm con una copertina d'argento massiccio regalatagli dal marito, dove il proiettile si conficcò; il killer scappò in auto insieme a due complici. Basile, ferito gravemente, fu trasportato d'urgenza all'ospedale di Palermo dove i medici tentarono di salvarlo con un delicato intervento chirurgico, invano: il capitano morì verso le 2 di notte. In ospedale accorse anche Paolo Borsellino, a cui Basile aveva affidato l'ultimo rapporto.
 
== I funerali ==
I funerali si tennero tre giorni dopo a Palermo. La figlia Barbara, come raccontò il fratello di Emanuele, Luigi, non parlò per tre giorni e anche il giorno dei funerali non le venne detto della morte del padre. Dopo un po' di tempo confessò alla madre che era stata colpa sua, che aveva visto gli assassini del padre ma non lo aveva avvertito in tempo<ref>Mafia, la bimba che non sa perdonare, la Stampa, 5 maggio 2010</ref>.
 
== Le indagini e i processi ==
[[Vincenzo Puccio]], sospettato insieme a [[Giuseppe Madonia]] e [[Armando Bonanno]] di essere il suo assassino dopo la descrizione fornita dalla moglie di Basile, venne arrestato quasi subito dai Carabinieri; tuttavia, il processo di primo grado si concluse con una clamorosa assoluzione per tutti e tre gli imputati, che subito dopo la scarcerazione vennero inviati in soggiorno obbligato in Sardegna, da cui faranno perdere le proprie tracce sin dal giorno successivo all'arrivo; quando la Corte d'Assise di Palermo, ribaltando il verdetto di primo grado, li condannò all'ergastolo risultavano quindi latitanti; quando il processo arrivò in Cassazione, la prima sezione presieduta da [[Corrado Carnevale]] annullò la sentenza per un vizio di forma; la Corte d'Appello di Palermo presieduta dal giudice [[Antonino Saetta]] li condannò nuovamente all'ergastolo, ma nuovamente la prima sezione presieduta da Carnevale annullò la sentenza, questa volta per difetto di motivazione.
 
Al settimo processo per l'omicidio di Basile nel frattempo erano finiti sul banco degli imputati, oltre agli esecutori, anche i mandanti, i boss della "Cupola" imputati nel [[Maxiprocesso di Palermo]]: [[Totò Riina]], [[Michele Greco]], [[Francesco Madonia]], che vennero condannati all'ergastolo, e [[Bernardo Provenzano]], [[Bernardo Brusca]] e [[Nenè Geraci]], che invece vennero assolti. La posizione di Brusca venne chiarita successivamente da lui stesso, nell'ambito della sua collaborazione, affermando di aver partecipato all'omicidio. Il [[14 novembre]] [[1992]] la Cassazione confermò finalmente il verdetto, rimandando alla Corte d'Appello di Caltanissetta solo la posizione di Michele Greco<ref>Uccise il capitano Emanuele Basile, per Riina il carcere a vita, la Repubblica, 15 novembre 1992</ref>.
 
Ciononostante né Bonanno, vittima di lupara bianca, né Puccio, ucciso il [[9 maggio]] [[1989]] a colpi di bistecchiera di ghisa nel carcere dell'Ucciardone, videro mai confermata la propria condanna<ref>L'agguato al Capitano Emanuele Basile, p. 4</ref>. 
 
 
== Note ==
<references></references>
 
== Bibliografia ==
* Archivio de la Repubblica
* Archivio de la Stampa
* Saverio Lodato, Quarant'anni di Mafia, Milano, Bur, 2013
* L'Agguato al Capitano Emanuele Basile, Arma dei Carabinieri
 
[[Categoria:Forze dell'Ordine]] [[Vittime di Cosa Nostra]]

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Emanuele Basile (Taranto, 2 luglio 1949 – Monreale, 4 maggio 1980) è stato un Capitano dei Carabinieri ucciso da Cosa Nostra per aver continuato un'indagine avviata dal capo della Squadra mobile di Palermo Boris Giuliano su un traffico di stupefacenti gestito dalla famiglia di Altofonte, stretta alleata dei Corleonesi di Totò Riina[1].

Emanuele Basile

Biografia

Nato a Taranto il 2 luglio 1949, Basile era il terzo di cinque figli. Frequentò l’Accademia Militare di Modena e, una volta ottenuto il diploma, provò e passò il test a Medicina all'Università; dopo aver passato l'esame di anatomia, tuttavia, Basile capì che la sua vera passione era per l'Arma dei Carabinieri. Dopo aver comandato la Compagnia di Sestri Levante, in provincia di Genova, Basile venne mandato alla Caserma di Monreale, dove cominciò a lavorare a stretto gomito con il capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano[2], ucciso il 21 luglio 1979.

L'indagine di Giuliano sul traffico di droga

Dopo la morte di Giuliano, Basile continuò la sua indagine sui traffici di stupefacenti nei quali erano coinvolti i Corleonesi, nel pieno della loro scalata al potere ai vertici di Cosa Nostra nella Seconda Guerra di Mafia; in particolare, riuscì a ricostruirne le tracce attraverso l'accertamento dei movimenti bancari e ad accendere i riflettori sulla famiglia di Altofonte, che operava nel territorio della compagnia di Monreale; in via generale sotto la giurisdizione rientravano i comuni di Altofonte, Piana degli Albanesi e Camporeale, tutti sotto il controllo del mandamento di San Giuseppe Jato, rappresentato in seno alla Commissione Provinciale di Cosa Nostra da Antonino Salamone, generalmente sostituito da Bernardo Brusca[3].

I risultati delle indagini lo portarono alla coraggiosa decisione di procedere, il 6 febbraio 1980 all'arresto in flagranza di reato per il delitto di associazione per delinquere a carico dei membri della famiglia di Altofonte, oltreché alla denuncia per lo stesso reato di Leoluca Bagarella, Antonino Gioé, Antonino Marchese e Francesco Di Carlo; le altre ipotesi investigative sulle famiglie legate a Totò Riina finirono nel rapporto del 16 aprile dello stesso anno, consegnato a Paolo Borsellino. Tra i suoi principali collaboratori anche l’Appuntato Giuseppe Bommarito, suo fedele autista, che poi sarebbe stato anche lui ucciso tre anni dopo insieme al successore di Basile, il capitano Mario D'Aleo.

L'omicidio

La sera del 3 maggio, un sabato, Basile partecipò a un ricevimento organizzato dal Comune di Monreale al Palazzo di Città, in occasione della festa del Santissimo Crocifisso, patrono della città, per poi unirsi alla tradizionale processione per l'omaggio della cittadinanza al simulacro di Cristo in croce. Verso mezzanotte e mezza, mentre lo spettacolo pirotecnico era ancora in corso, Basile si avviò verso la Caserma con la moglie Silvana e la figlia Barbara di 4 anni che teneva in braccio; in via Pietro Novelli, piena di gente, i tre furono però raggiunti da un killer, che sparò alle spalle del Carabiniere; la moglie Silvana tentò di parare il colpo di grazia diretto al marito e si salvò per miracolo grazie a un'agendina 3x4 cm con una copertina d'argento massiccio regalatagli dal marito, dove il proiettile si conficcò; il killer scappò in auto insieme a due complici. Basile, ferito gravemente, fu trasportato d'urgenza all'ospedale di Palermo dove i medici tentarono di salvarlo con un delicato intervento chirurgico, invano: il capitano morì verso le 2 di notte. In ospedale accorse anche Paolo Borsellino, a cui Basile aveva affidato l'ultimo rapporto.

I funerali

I funerali si tennero tre giorni dopo a Palermo. La figlia Barbara, come raccontò il fratello di Emanuele, Luigi, non parlò per tre giorni e anche il giorno dei funerali non le venne detto della morte del padre. Dopo un po' di tempo confessò alla madre che era stata colpa sua, che aveva visto gli assassini del padre ma non lo aveva avvertito in tempo[4].

Le indagini e i processi

Vincenzo Puccio, sospettato insieme a Giuseppe Madonia e Armando Bonanno di essere il suo assassino dopo la descrizione fornita dalla moglie di Basile, venne arrestato quasi subito dai Carabinieri; tuttavia, il processo di primo grado si concluse con una clamorosa assoluzione per tutti e tre gli imputati, che subito dopo la scarcerazione vennero inviati in soggiorno obbligato in Sardegna, da cui faranno perdere le proprie tracce sin dal giorno successivo all'arrivo; quando la Corte d'Assise di Palermo, ribaltando il verdetto di primo grado, li condannò all'ergastolo risultavano quindi latitanti; quando il processo arrivò in Cassazione, la prima sezione presieduta da Corrado Carnevale annullò la sentenza per un vizio di forma; la Corte d'Appello di Palermo presieduta dal giudice Antonino Saetta li condannò nuovamente all'ergastolo, ma nuovamente la prima sezione presieduta da Carnevale annullò la sentenza, questa volta per difetto di motivazione.

Al settimo processo per l'omicidio di Basile nel frattempo erano finiti sul banco degli imputati, oltre agli esecutori, anche i mandanti, i boss della "Cupola" imputati nel Maxiprocesso di Palermo: Totò Riina, Michele Greco, Francesco Madonia, che vennero condannati all'ergastolo, e Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca e Nenè Geraci, che invece vennero assolti. La posizione di Brusca venne chiarita successivamente da lui stesso, nell'ambito della sua collaborazione, affermando di aver partecipato all'omicidio. Il 14 novembre 1992 la Cassazione confermò finalmente il verdetto, rimandando alla Corte d'Appello di Caltanissetta solo la posizione di Michele Greco[5].

Ciononostante né Bonanno, vittima di lupara bianca, né Puccio, ucciso il 9 maggio 1989 a colpi di bistecchiera di ghisa nel carcere dell'Ucciardone, videro mai confermata la propria condanna[6].


Note

  1. L'agguato al Capitano Emanuele Basile, Arma dei Carabinieri, p.1
  2. Ibidem
  3. Ivi, p.2
  4. Mafia, la bimba che non sa perdonare, la Stampa, 5 maggio 2010
  5. Uccise il capitano Emanuele Basile, per Riina il carcere a vita, la Repubblica, 15 novembre 1992
  6. L'agguato al Capitano Emanuele Basile, p. 4

Bibliografia

  • Archivio de la Repubblica
  • Archivio de la Stampa
  • Saverio Lodato, Quarant'anni di Mafia, Milano, Bur, 2013
  • L'Agguato al Capitano Emanuele Basile, Arma dei Carabinieri Vittime di Cosa Nostra