Emanuele Notarbartolo

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Emanuele Notarbartolo
Emanuele Notarbartolo di San Giovanni

Emanuele Notarbartolo di San Giovanni (Palermo, 23 febbraio 1834 – Termini Imerese, 1° febbraio 1893) è stato un banchiere e politico italiano. È considerato la prima vittima eccellente di mafia in Italia.

Biografia

I primi anni

Figlio di Leopoldo, marchese di San Giovanni, e di Maria Teresa, figlia di suo zio Filippo principe di Sciara, il giovane Emanuele rimase orfano prima della madre e poi del padre e, sotto la tutela di uno zio, continuò gli studi prima a Palermo, poi a Monreale, fino alla maggiore età. Appassionatosi alla politica, sposò le tesi del liberalismo moderato, cosa che lo costrinse ad abbandonare Palermo nel 1857 per Parigi, a causa della repressione portata avanti dalla polizia borbonica contro i liberali.

Al termine del suo viaggio di formazione e istruzione in giro per l'Europa e il nord Italia, il giovane Notarbartolo si fermò a Firenze, dove frequentò i circoli intellettuali affollati di emigrati siciliani, tra cui l'antico leader del '48 Mariano Stabile. Nel 1859, allo scoppiò della guerra tra franco-piemontesi e austriaci, si arruolò nell'esercito sardo. Nel 1860 si unì ai garibaldini sbarcati a Marsala e combatté a Milazzo. Ammesso all'esercito regolare, venne impiegato in varie operazioni di repressione del brigantaggio in varie zone del Mezzogiorno, per lasciare definitivamente la divisa nel 1864 per sposarsi con Mariana Merlo, anche lei aristocratica, da cui ebbe tre figli: Teresa, Leopoldo e Antonietta.

La carriera politica

Abbandonata la carriera militare, Notarbartolo si diede alla politica, diventando seguace di Antonio Starabba, marchese di Rudinì, capo del partito moderato a Palermo e sindaco dal 1863. Notarbartolo esordì nell'amministrazione Rudinì nel 1865 come assessore alla polizia urbana, con la particolare delega del problema dei forni municipali.

L'anno dopo, a settembre, Palermo venne travolta da un'insurrezione popolare che bloccò la città per sette giorni e mezzo, guidata principalmente degli ex-garibaldini, a cui il governo rispose con la repressione militare. L'episodio, che vide anche il sindaco Rudinì fronteggiare armi alla mano i rivoltosi, provocò una crisi della giunta comunale, con le dimissioni di Rudinì. Nelle successive elezioni del 1869, i clerico-regionisti conquistarono il Comune e Notarbartolo si allontanò dalla politica cittadina, assumendo però la carica di direttore dell'ospedale dal 1870 al 1873.

Sindaco di Palermo (1873-1876)

Alle elezioni comunali del 1873 la coalizione liberale Destra-Sinistra sconfisse i regionisti e Notarbartolo fu indicato come sindaco per il suo elevato spessore etico-politico, oltre che per la sua fama di amministratore rigoroso e incorruttibile. Durante il suo mandato la città venne trasformata: completò il mercato degli Aragonesi, la copertura del Politeama, iniziò l’ammodernamento della rete viaria, collegando la stazione centrale con il porto, oltre a posare la prima pietra per la realizzazione del Teatro Massimo. Nonostante il fermento edilizio, il suo mandato si distinse per una lotta senza quartiere alla corruzione e per il risanamento delle finanze comunali, che gli creò molti nemici in città.

Direttore del Banco di Sicilia (1876-1890)

Sotto attacco da diversi fronti politici proprio per la sua rigorosa azione amministrativa, Notarbartolo accettò il 1° febbraio 1876 la nomina a direttore generale del Banco di Sicilia, voluta dal presidente del Consiglio Marco Minghetti su proposta del prefetto di Palermo Luigi Gerra. La giunta comunale cadde poco dopo e Notarbartolo rimase in carica come sindaco fino al 30 settembre.

La nomina di Notarbartolo, oltre ad essere frutto di dinamiche politiche che lo volevano lontano dall'amministrazione cittadina, rifletteva la necessità di un risanamento delle finanze della banca, eccessivamente esposta nei confronti di alcune società, in particolare della casa armatoriale palermitana Trinacria, che si proponeva di collegare la Sicilia con il Levante, area geografica con la quale la regione non aveva mai effettuato un solo scambio commerciale in tutta la sua storia. La Trinacria fallì, provocando un enorme buco di bilancio. L'opera di risanamento di Notarbartolo si risolse principalmente in una stretta creditizia, in contro tendenza con la finanza allegra dei suoi predecessori, cosa che gli inimicò il Consiglio d'amministrazione della Banca, pieno di politici, alcuni dei quali legati alla mafia locale. Per risanare l’istituto, infatti, Notarbartolo introdusse un regime di austerità, invitando i direttori delle sedi a far rientrare i clienti scoperti e a consentire crediti solo ai titoli protetti da solide garanzie.

Il sequestro del 1882

Il 12 aprile 1882, mentre si trovava in campagna con i fedeli fratelli Randazzo, Notarbartolo fu sequestrato da una banda di briganti travestita da Carabinieri, che con un escamotage disarmò i contadini che lo stavano scortando al treno per Palermo. Il direttore del Banco di Sicilia fu tenuto prigioniero in una grotta fino al pagamento del riscatto di 52mila lire, avvenuto il 18 aprile. Benché non ci fossero mai state prove del legame tra la sua attività al Banco e il sequestro, il figlio Leopoldo, nel suo libro sul padre, manifestò più di un sospetto inanellando i fatti e le circostanze[1].

Il governo Crispi

Nel 1887 assunse la guida del governo Francesco Crispi, leader della Sinistra palermitana, nonché antico avversario politico di Notarbartolo, il quale però riuscì a raggiungere una buona intesa con il nuovo ministro dell'Agricoltura Luigi Miceli, che controllava il Banco, unica sponda per resistere agli attacchi di un Consiglio che premeva per riaprire i cordoni della borsa e tornare alla gestione sconsiderata pre-Notarbartolo.

Fu proprio in alcune lettere personali a Miceli, inviate nell'aprile 1889, che Notarbartolo denunciò la forte ostilità «personale» di un Consiglio "composto da gente di nessuna competenza bancaria; che rispondeva solo a logiche di sovraeccitate «lotte elettorali»; che si proponeva di «asservire la Direzione generale e le Commissioni di sconto», di «invadere tutti i campi»"[2].

Mentre attendeva una riforma (che non arrivò mai) che modificasse lo Statuto del Banco di Sicilia, ristabilendo la giusta gerarchia tra lui stesso, lo staff tecnico e il Consiglio, le lettere riservate a Miceli vennero trafugate dalla scrivania del ministro per finire su quelle del Consiglio, che votò una mozione di sfiducia nei confronti del Direttore, poi invalidata dato che la nomina dipendeva dal governo. A complicare i rapporti tra Notarbartolo e il Consiglio vi fu l'idea del ministro Miceli di costituire una società di navigazione italo-britannica, volta a instaurare un regime di concorrenza nel settore che riducesse le tariffe per gli esportatori: l'idea piacque a Notarbartolo, che incontrò però le resistenze della Navigazione Generale Italiana, la più grande società armatoriale nazionale, controllata dalla famiglia palermitana dei Florio, in ottimi rapporti con Palizzolo e anche con Crispi. Il progetto naufragò, indebolendo ulteriormente la posizione di Notarbartolo. Il 6 febbraio 1890 il Governo decretò lo scioglimento dell'amministrazione del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli, allontanando i rispettivi direttori.

L'omicidio

Omicidio Notarbartolo
L'omicidio Notarbartolo, in una ricostruzione dell'epoca. Foto Archivio Storico de l'Unità

Il 20 dicembre 1892 scoppiò lo scandalo della Banca Romana, che travolse il primo governo Giolitti, che tuttavia riuscì a restare in carica fino al 15 dicembre dell'anno dopo. Denunciato dal deputato Napoleone Colajanni, lo scandalo venne fatto trapelare nella guerra tra l'allora presidente del Consiglio e Francesco Crispi, il quale tornò al governo subito dopo. Fu proprio quando Notarbartolo, amico di Colajanni, espresse la sua volontà nel gennaio 1893 di rendere spontanee dichiarazioni alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta in merito alle malversazioni attorno al Banco di Sicilia, legati al gruppo di potere crispino, che il 1° febbraio, mentre si trovava su una carrozza di prima classe del treno della linea Termini Imerese - Palermo, l'ex-sindaco di Palermo venne ucciso con 27 coltellate e scaraventato giù dal finestrino, all'altezza di Trabia.

Le indagini e il processo

Note

  1. Leopoldo Notarbartolo, Emanuele Notarbartolo di San Giovanni, Pistoia, Tipografia Pistoiese, 1949, pp. 182-187
  2. cfr Giuseppe De Felice Giuffrida, Maffia e Delinquenza in Sicilia, 1900, pp. 320-328

Bibliografia

  • Salvatore Lupo, Tra Banca e Politica: il delitto Notarbartolo, Rivista Meridiana
  • Leopoldo Notarbartolo, Emanuele Notarbartolo di San Giovanni, Pistoia, Tipografia Pistoiese, 1949