Giovanni Corrao

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Giovanni Corrao (Palermo, 17 novembre 1822 – Palermo, 3 agosto 1863) è stato un operaio, militare e patriota italiano.

Biografia

Di umili origini (era calafato, un operaio specializzato al porto di Palermo), fu sempre avverso ai Borboni, contro i quali organizzò diversi tentativi di cospirazione. Dopo essere stato in prigione ed in esilio, nel 1858 strinse un forte rapporto di corrispondenza con Rosolino Pilo, assieme al quale organizzò una spedizione in Sicilia. Il 12 aprile del 1860 i due sbarcarono a Messina a bordo della tartana viareggina Madonna del Soccorso, e successivamente si recarono a Palermo, attendendo l'arrivo di Giuseppe Garibaldi organizzando gruppi di volontari.

Dopo lo sbarco dei Mille, combatté per l'intera durata della campagna. Fu nominato generale dallo stesso Garibaldi, con il quale combatté anche in Aspromonte. Dopo l'Unità d'Italia assunse il grado di colonnello dell'esercito, dal quale si dimise poco tempo dopo in coerenza con la sua avversione verso la politica del governo in Sicilia. Tornato successivamente a Palermo, venne assassinato dalla mafia il 3 agosto 1863. Il delitto è rimasto sempre impunito, ma negli atti di indagine venne usato per la prima volta nella storia del Regno d'Italia il termine "mafia".


Nato il 17 novembre 1822 nel quartiere Borgo di Palermo, dove esercitò il mestiere di calafato ereditato dal padre, mostrò sin da giovane il coraggio e l'audacia necessari per conquistare il pieno rispetto degli altri. Nel 1848 egli manifestò la sua viva fede anti-borbonica a Messina, Catania e a Palermo, dove intrecciò diverse amicizie, organizzò squadre e condusse imprese che lo resero noto soprattutto negli ambienti democratici.

Al ritorno dei Borboni lasciò l'isola per rifugiarsi a Malta, da dove rientrò poco dopo. Scoperto dalla polizia venne arrestato e confinato nel 1852 ad Ustica, da dove tentò la fuga, ma invano: fu subito preso e rinchiuso nelle prigioni della Cittadella di Messina. Nel 1856, avendo ottenuto il permesso di lasciare i Reali domini, si recò a Marsiglia e da qui negli Stati Sardi, dove nel 1857 fu emesso nei suoi confronti un ordine di espulsione dal ministro Urbano Rattazzi, che lo riteneva soggetto «capacissimo di male azione e pericoloso anche in genere politico». Lasciati gli Stati Sardi si rifugiò a Malta, raggiunse poi Alessandria d'Egitto, per rientrare nel 1859 in Italia. Da Genova partì con Rosalino Pilo per preparare l'isola alla spedizione garibaldina, che egli seguì in tutte le fasi. Il 12 aprile del 1860 i due sbarcarono a Messina a bordo della tartana viareggina Madonna del Soccorso, e successivamente si recarono a Palermo, attendendo l'arrivo di Giuseppe Garibaldi organizzando gruppi di volontari.

Dopo lo sbarco dei Mille, combatté per l'intera durata della campagna. Fu nominato generale dallo stesso Garibaldi. Dopo l'Unità d'Italia, fu nominato Colonnello dell'Esercito Regio, ma preferì dimettersi per la sua netta opposizione al governo di Torino sullo scioglimento dei volontari. Fu invece molto recettivo alla chiamata di Garibaldi al grido "O Roma o Morte" e nell'agosto del 1862, dopo aver raccolto numerosi volontari (pare che solo nel bosco della Ficuzza ne avesse radunati circa 3.000) seguì il Generale in Aspromonte. I suoi uomini ebbero qui il coraggio di aprire il fuoco contro i bersaglieri e fu necessario l'intervento risoluto di Garibaldi perché lui e i suoi volontari fossero riportati all'ordine.

In Sicilia, dopo il rientro, lo attendeva un tragico destino: il "Generale dei Picciotti" il 3 agosto 1863 venne assassinato in circostanze misteriose. Nulla si scoprì circa gli autori dell'assassinio, ciò che è certo è che una gran folla, proveniente per lo più dalle campagne del circondario palermitano, accompagnò il suo feretro, chiedendo a gran voce al governo che il delitto non rimanesse impunito.

Dopo la Morte

Il delitto è rimasto sempre impunito, ma negli atti di indagine venne usato per la prima volta nella storia del Regno d'Italia il termine "mafia".

La salma, che secondo la richiesta di alcuni nobili dell'isola, doveva trovare posto nella Chiesa di San Domenico vicino a quella di Rosalino Pilo, fu invece conservata, dopo l'imbalsamazione, nelle catacombe dei Cappuccini. Quando però il Municipio di Palermo, dopo l'unificazione, dispose che tutti i cadaveri imbalsamati nelle catacombe venissero interrati, un frate nascose la bara contenente il cadavere mummificato del Corrao in un vano della terrazza coperta del convento, occultandola con un muro.

La mummia venne scoperta durante dei lavori di ristrutturazione molto tempo dopo e rimase attrazione per i visitatori delle catacombe fino al 1960 quando, in occasione delle celebrazioni ufficiali del Centenario, che prevedevano anche la visita del Presidente della Repubblica, furono richiesti dei funerali solenni, celebrativi dell'Eroe, visto che quelli religiosi gli erano stati negati.

Il 21 maggio 1960 il cadavere del generale Corrao, accompagnato da un degno corteo, trovava finalmente definitivo riposo nel chiostro della Chiesa di San Domenico, Pantheon riservato agli uomini illustri.

Bibliografia

  • Collura M., Qualcuno ha ucciso il generale, Longanesi, 2006
  • De Maria U., Pagine ignorate della vita di Giovanni Corrao precursore dei Mille, in «Atti della R. Accademia di Scienze e Lettere ed Arti», Palermo 1941;
  • Falzone G. , Il «GENERALE CORRAO», in «Archivio Storico Siciliano», serie IV, vol. I, Palermo;
  • Guardione F., La spedizione di Rosalino Pilo nei ricordi di Giovanni Corrao, in «Rassegna Storica del Risorgimento», Roma 1917.