Libero Grassi: differenze tra le versioni

Da WikiMafia.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
 
(3 versioni intermedie di 2 utenti non mostrate)
Riga 1: Riga 1:
{{bozza}}
{{espandere}}


'''Libero Grassi''' (Catania, 19 luglio 1924 – Palermo, 29 agosto 1991) è stato un imprenditore italiano, ucciso da cosa nostra dopo aver intrapreso un'azione solitaria contro una richiesta di pizzo senza ricevere alcun appoggio da parte delle associazioni di categoria.
'''Libero Grassi''' (Catania, [[19 luglio]] [[1924]] – Palermo, [[29 agosto]] [[1991]]) è stato un imprenditore italiano, ucciso da cosa nostra dopo aver intrapreso un'azione solitaria contro una richiesta di pizzo senza ricevere alcun appoggio da parte delle associazioni di categoria.
[[File:Libero Grassi.jpg|400px|thumb|right|Libero Grassi]]
[[File:Libero Grassi.jpg|200px|thumb|right|Libero Grassi]]


== Biografia ==
== Biografia ==
=== I primi anni ===
=== I primi anni ===
Il nome, Libero, i genitori lo scelsero in onore del sacrificio di Giacomo Matteotti, sequestrato e ucciso dai fascisti quasi due mesi prima che nascesse. Nato a Catania, a otto anni Libero si trasferì con la famiglia a Palermo. Fervente antifascista sin dagli anni del liceo, nel 1942 andò a studiare Scienze Politiche a Roma, dove entrò in seminario per evitare l'arruolamento: come spiegò più tardi, questa scelta esprimeva "il rifiuto di combattere una guerra ingiusta al fianco di fascisti e nazisti".  
Il nome, Libero, i genitori lo scelsero in onore del sacrificio di '''Giacomo Matteotti''', sequestrato e ucciso dai fascisti quasi due mesi prima che nascesse. Nato a Catania, a 8 anni Libero si trasferì con la famiglia a Palermo. Fervente antifascista sin dagli anni del liceo, nel 1942 andò a studiare Scienze Politiche a Roma, dove entrò in seminario per evitare l'arruolamento: come spiegò più tardi, questa scelta esprimeva "''il rifiuto di combattere una guerra ingiusta al fianco di fascisti e nazisti''".  


Subito dopo la liberazione, riprese gli studi, ma passando alla facoltà di Giurisprudenza, questa volta all'Università di Palermo. Benché desiderasse intraprendere la carriera diplomatica, il giovane Libero continuò l'attività di commerciante del padre: negli anni '50 si trasferì in Lombardia, a Gallarate, e infine decise di aprire uno stabilimento tessile nel capoluogo siciliano. Nel 1961 iniziò a scrivere articoli a sfondo politico, fino alla militanza attiva nel Partito Repubblicano Italiano, di cui diventa il rappresentante in seno al consiglio di amministrazione dell'azienda municipalizzata del gas.
=== Il trasferimento al Nord ===
Subito dopo la Liberazione, Libero riprese gli studi, iscrivendosi però alla facoltà di Giurisprudenza, questa volta all'Università di Palermo. Benché desiderasse intraprendere la carriera diplomatica, il giovane Libero continuò l'attività di commerciante del padre: negli anni '50 si trasferì col fratello Pippo in Lombardia, a Gallarate, e fondò con lui la '''MIMA''' (Manifattura Maglieria ed Affini), producendo biancheria da donna e arrivando ad occupare circa 250 operai.


=== La scelta di campo contro il racket ===
In quegli anni Libero frequentava il fervente mondo dell'imprenditoria milanese. Nel 1951 sposò anche una ragazza di origine palermitana, arrivando a capire dopo due anni dell'errore compiuto e riuscendo, dopo diverse difficoltà, a chiedere l'annullamento.
Mentre l'azienda versava in critiche condizioni, Cosa Nostra si presentò da lui pretendendo il pagamento del pizzo: lui non si piegò e denunciò gli estorsori, incoraggiato anche dai dipendenti. Iniziò così una grande campagna d'opinione contro il racket: prima pubblicando una lunga lettera sul Giornale di Sicilia in cui spiegava il suo rifiuto a cedere ai ricatti mafiosi, poi andando in televisione, intervistato prima da Michele Santoro su Rai3 in prima serata, poi dalla giornalista tedesca Katharina Burgi della televisione svizzera Neue Zürcher Zeitung (NZZ Folio).
 
=== Il ritorno a Palermo, tra imprenditoria e politica ===
Nel [[1954]], privo di legami coniugali, tornò a Palermo, dove ritrovò [[Pina Maisano Grassi|Pina Maisano]], conosciuta negli anni dell'adolescenza e divenuta architetto: i due si sposarono con rito civile, comprando un appartamento al sesto piano in Via D'Annunzio, ed ebbero due figli, Davide e Alice. Nel [[1958]] fondò quindi una sua azienda di produzione di pigiameria maschile, la '''SIGMA''', in via Serra di Falco.
 
Negli anni Cinquanta Libero andava continuamente su e giù per l'Italia con la sua Fiat 1400 alla ricerca dei tessuti più idonei alla produzione dei suoi capi e, parallelamente, iniziò a dedicarsi all'attività politica, prima frequentando il gruppo dei Radicali con la moglie, infine partecipando attivamente alla vita politica del ''Partito Repubblicano Italiano'' (PRI).
 
Nel [[1961]] iniziò a scrivere articoli politici sui giornali locali, tra cui Cronaca Sicilia, dove caldeggiò l'operazione Milazzo e l'ingresso del Partito Socialista nella maggioranza parlamentare. Venne a quel punto nominato, in quota PRI, consigliere d'amministrazione dell'Azienda Municipalizzata del Gas, fino al [[1969]]: in quel periodo, insieme al consigliere socialista Ballerini, spingeva per l'estensione della rete pubblica del metano anche ai quartieri popolari, prospettiva a lungo ostacolata da aziende private in odor di mafia che avevano il monopolio della vendita delle bombole di gas.
 
Nel [[1972]] si candidò alle elezioni provinciali, senza tuttavia essere eletto. Negli anni '70 le idee dei movimenti studenteschi di sinistra divisero Libero dai figli, benché anche lui fosse a favore del divorzio nella campagna referendaria.
 
Tra la fine del '74 e l'inizio del '75, Grassi avviò una nuova avventura imprenditoriale, che non ebbe tuttavia successo. Dopo aver acquisito un brevetto israeliano, costituì la "''Solange impiantistica''" con lo scopo di utilizzare '''l'energia solare''' per produrre energia elettrica: l'ambizioso progetto naufragò per la scarsa sensibilità dell'opinione pubblica e della politica al tema e, di fatto, l'azienda non iniziò mai a lavorare.
 
=== Il trasferimento di sede e l'inizio dei problemi con Cosa Nostra ===
Nel [[1989]] i vecchi locali della SIGMA vennero ceduti dalla proprietà (un'immobiliare milanese) ad un costruttore palermitano. Libero fu così costretto a lasciare la sua sede storica e a cercarne un'altra.
 
Il trasferimento della nuova sede della SIGMA, 2000 m2 in Via Thaon di Revel, coincise con la richiesta del pizzo da parte di Cosa Nostra. Secondo Pina Maisano Grassi, la motivazione era che i vecchi locali si trovavano in via Dante, dove c'era anche la vetreria della famiglia Buscetta e questa presenza, senza che lo volessero, li aveva preservati dalle estorsioni. Una volta trasferitisi alle falde del Monte Pellegrino, la Famiglia che controllava la zona si presentò prima con due falsi ispettori sanitari che vollero rendersi conto della floridità dell'azienda, poi con le prime richieste estorsive.
 
Libero ricevette una prima telefonata in cui venne minacciato di morte, se non pagherà 60 milioni a due emissari di Cosa Nostra. Al rifiuto dell'imprenditore, venne rapito Dick, il cane lasciato a guardia della Sigma, restituito dopo qualche giorno in fin di vita. Il fatto fu regolarmente denunciato alla Polizia.
 
Qualche mese dopo due giovani a volto scoperto tentarono di rapinare le paghe dei dipendenti: anche in questo caso Libero denunciò e i due vennero individuati e arrestati.
 
=== La lettera al "Caro Estortore" ===
Dopo aver ricevuto una telefonata del "''geometra Anzalone''" in cui gli vene detto che se non fossero arrivati i soldi sarebbero cominciati i "''bombardamenti, i colpi di pistola, i fuochi d'artificio''", il [[10 gennaio]] [[1991]], sette mesi prima di essere ucciso da Cosa Nostra, Grassi inviò al '''Giornale di Sicilia''' una "''lettera al caro estortore''" che di fatto aprì la stagione della ribellione al pizzo.
 
"''Caro estortore,
''Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia.''
 
''Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo.''
 
''Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui"''.
 
=== Un simbolo contro il pizzo, lasciato solo dagli industriali ===
Dopo la lettera, Libero denunciò gli estorsori, i fratelli Avitabile, arrestati il [[19 marzo]] [[1991]] assieme a un complice, rifiutando l'offerta di una scorta personale ma accettando la vigilanza dello stabilimento della sua azienda.
 
''Sicindustria'', l'associazione degli imprenditori siciliani aderenti a Confindustria, gli voltò le spalle: la mafia in Sicilia era un'invenzione dei giornalisti, come dissero alcuni di loro in un circolo borghese cittadino, intervistati dalla tv. In una lettera pubblicata sul Corriere della Sera il [[30 aprile]] [[1991]], Grassi ricordò che «''l'unico sostegno alla mia azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana''» e definì "scandalosa" la sentenza del 4 aprile 1991 del giudice catanese Luigi Russo che stabiliva che non era reato pagare la "protezione" ai boss mafiosi, in riferimento ai Cavalieri del Lavoro di Catania, definiti dell'[[I quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa (articolo)|Apocalisse mafiosa]] da [[Pippo Fava]] su i Siciliani quasi un decennio prima<ref>[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/04/05/assolti-cavalieri-dell-apocalisse.html Attilio Bolzoni, Assolti i Cavalieri dell'Apocalisse, la Repubblica, 5 aprile 1991]</ref>.
 
Libero Grassi espresse il suo sconcerto anche davanti a una platea di studenti:
 
"''La decisione scandalosa del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo, che ha stabilito che non è reato pagare la protezione ai boss mafiosi è sconvolgente [...] Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la mafia è ancora più scandaloso della scarcerazione dei boss. Ormai nessuno è più colpevole di niente. Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un vero e proprio modello di comportamento: pagate i mafiosi. E quelli che come me invece cercano di ribellarsi?''"<ref>Citato in Cecchini M., Vasconi P., Vettranio S., a cura di, ''Estorti & riciclati. “Libro bianco” della Confesercenti su riutilizzo del denaro proveniente da attività criminose'', Milano, Franco Angeli, 1992.</ref>
 
=== L'intervista a Samarcanda ===
L'[[11 aprile]] [[1991]] Grassi partecipò alla trasmissione televisiva '''Samarcanda''', condotta da Michele Santoro. In quella sede dichiarò: "''Non sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace pagare. Rinuncerei alla mia dignità. Non divido le mie scelte con i mafiosi''"<ref>[https://youtu.be/CjYf1z5dYAI Libero Grassi, Intervista a Samarcanda (11/04/1991), YouTube]</ref>.


=== L'omicidio ===
=== L'omicidio ===
Nonostante le minacce di morte, Libero Grassi andò avanti col suo impegno, finché non venne assassinato il 29 agosto 1991 da un killer di Cosa Nostra (Marco Favaloro, condannato nel 1997). Il 26 settembre successivo Michele Santoro (Rai3) e Maurizio Costanzo (Canale5) gli dedicarono una trasmissione televisiva a reti unificate.
Nonostante le minacce di morte e l'isolamento, Libero Grassi andò avanti col suo impegno, finché non venne assassinato il [[29 agosto]] [[1991]]. Il [[26 settembre]] successivo Michele Santoro (Rai3) e Maurizio Costanzo (Canale5) gli dedicarono una trasmissione televisiva a reti unificate.
 
Nell'ottobre del 1991 vennero arrestati il killer [[Salvatore Madonia]], detto Salvino, figlio del boss di Resuttana, e il complice alla guida dell'auto, Marco Favaloro, che in seguito decise di collaborare con la giustizia, contribuendo a ricostruire la dinamica dell'agguato. Madonia fu condannato in via definitiva e recluso al 41-bis, mentre l'intera Cupola di Cosa Nostra fu condannata il [[18 aprile]] [[2008]] come mandante del delitto.
 
== Note ==
<references></references>
 
== Bibliografia ==
* Caprì Chiara, Maisano Grassi Pina, ''Libero. L'imprenditore che non si piegò al pizzo'', Roma, Castelvecchi, 2011
* Cecchini M., Vasconi P., Vettranio S., a cura di, ''Estorti & riciclati. “Libro bianco” della Confesercenti su riutilizzo del denaro proveniente da attività criminose'', Milano, Franco Angeli, 1992
* Mascali Antonella, ''Lotta Civile'', Milano, Chiarelettere, 2009


[[Categoria:Imprenditori]] [[Categoria:Vittime di Cosa Nostra]]
[[Categoria:Imprenditori]] [[Categoria:Vittime innocenti delle mafie]] [[Categoria:Vittime di Cosa Nostra]] [[Categoria:Nati il 19 luglio]] [[Categoria:Nati nel 1924]] [[Categoria:Morti il 29 agosto]] [[Categoria:Morti nel 1991]]

Versione attuale delle 12:22, 9 gen 2021


Libero Grassi (Catania, 19 luglio 1924 – Palermo, 29 agosto 1991) è stato un imprenditore italiano, ucciso da cosa nostra dopo aver intrapreso un'azione solitaria contro una richiesta di pizzo senza ricevere alcun appoggio da parte delle associazioni di categoria.

Libero Grassi

Biografia

I primi anni

Il nome, Libero, i genitori lo scelsero in onore del sacrificio di Giacomo Matteotti, sequestrato e ucciso dai fascisti quasi due mesi prima che nascesse. Nato a Catania, a 8 anni Libero si trasferì con la famiglia a Palermo. Fervente antifascista sin dagli anni del liceo, nel 1942 andò a studiare Scienze Politiche a Roma, dove entrò in seminario per evitare l'arruolamento: come spiegò più tardi, questa scelta esprimeva "il rifiuto di combattere una guerra ingiusta al fianco di fascisti e nazisti".

Il trasferimento al Nord

Subito dopo la Liberazione, Libero riprese gli studi, iscrivendosi però alla facoltà di Giurisprudenza, questa volta all'Università di Palermo. Benché desiderasse intraprendere la carriera diplomatica, il giovane Libero continuò l'attività di commerciante del padre: negli anni '50 si trasferì col fratello Pippo in Lombardia, a Gallarate, e fondò con lui la MIMA (Manifattura Maglieria ed Affini), producendo biancheria da donna e arrivando ad occupare circa 250 operai.

In quegli anni Libero frequentava il fervente mondo dell'imprenditoria milanese. Nel 1951 sposò anche una ragazza di origine palermitana, arrivando a capire dopo due anni dell'errore compiuto e riuscendo, dopo diverse difficoltà, a chiedere l'annullamento.

Il ritorno a Palermo, tra imprenditoria e politica

Nel 1954, privo di legami coniugali, tornò a Palermo, dove ritrovò Pina Maisano, conosciuta negli anni dell'adolescenza e divenuta architetto: i due si sposarono con rito civile, comprando un appartamento al sesto piano in Via D'Annunzio, ed ebbero due figli, Davide e Alice. Nel 1958 fondò quindi una sua azienda di produzione di pigiameria maschile, la SIGMA, in via Serra di Falco.

Negli anni Cinquanta Libero andava continuamente su e giù per l'Italia con la sua Fiat 1400 alla ricerca dei tessuti più idonei alla produzione dei suoi capi e, parallelamente, iniziò a dedicarsi all'attività politica, prima frequentando il gruppo dei Radicali con la moglie, infine partecipando attivamente alla vita politica del Partito Repubblicano Italiano (PRI).

Nel 1961 iniziò a scrivere articoli politici sui giornali locali, tra cui Cronaca Sicilia, dove caldeggiò l'operazione Milazzo e l'ingresso del Partito Socialista nella maggioranza parlamentare. Venne a quel punto nominato, in quota PRI, consigliere d'amministrazione dell'Azienda Municipalizzata del Gas, fino al 1969: in quel periodo, insieme al consigliere socialista Ballerini, spingeva per l'estensione della rete pubblica del metano anche ai quartieri popolari, prospettiva a lungo ostacolata da aziende private in odor di mafia che avevano il monopolio della vendita delle bombole di gas.

Nel 1972 si candidò alle elezioni provinciali, senza tuttavia essere eletto. Negli anni '70 le idee dei movimenti studenteschi di sinistra divisero Libero dai figli, benché anche lui fosse a favore del divorzio nella campagna referendaria.

Tra la fine del '74 e l'inizio del '75, Grassi avviò una nuova avventura imprenditoriale, che non ebbe tuttavia successo. Dopo aver acquisito un brevetto israeliano, costituì la "Solange impiantistica" con lo scopo di utilizzare l'energia solare per produrre energia elettrica: l'ambizioso progetto naufragò per la scarsa sensibilità dell'opinione pubblica e della politica al tema e, di fatto, l'azienda non iniziò mai a lavorare.

Il trasferimento di sede e l'inizio dei problemi con Cosa Nostra

Nel 1989 i vecchi locali della SIGMA vennero ceduti dalla proprietà (un'immobiliare milanese) ad un costruttore palermitano. Libero fu così costretto a lasciare la sua sede storica e a cercarne un'altra.

Il trasferimento della nuova sede della SIGMA, 2000 m2 in Via Thaon di Revel, coincise con la richiesta del pizzo da parte di Cosa Nostra. Secondo Pina Maisano Grassi, la motivazione era che i vecchi locali si trovavano in via Dante, dove c'era anche la vetreria della famiglia Buscetta e questa presenza, senza che lo volessero, li aveva preservati dalle estorsioni. Una volta trasferitisi alle falde del Monte Pellegrino, la Famiglia che controllava la zona si presentò prima con due falsi ispettori sanitari che vollero rendersi conto della floridità dell'azienda, poi con le prime richieste estorsive.

Libero ricevette una prima telefonata in cui venne minacciato di morte, se non pagherà 60 milioni a due emissari di Cosa Nostra. Al rifiuto dell'imprenditore, venne rapito Dick, il cane lasciato a guardia della Sigma, restituito dopo qualche giorno in fin di vita. Il fatto fu regolarmente denunciato alla Polizia.

Qualche mese dopo due giovani a volto scoperto tentarono di rapinare le paghe dei dipendenti: anche in questo caso Libero denunciò e i due vennero individuati e arrestati.

La lettera al "Caro Estortore"

Dopo aver ricevuto una telefonata del "geometra Anzalone" in cui gli vene detto che se non fossero arrivati i soldi sarebbero cominciati i "bombardamenti, i colpi di pistola, i fuochi d'artificio", il 10 gennaio 1991, sette mesi prima di essere ucciso da Cosa Nostra, Grassi inviò al Giornale di Sicilia una "lettera al caro estortore" che di fatto aprì la stagione della ribellione al pizzo.

"Caro estortore, Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia.

Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo.

Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui".

Un simbolo contro il pizzo, lasciato solo dagli industriali

Dopo la lettera, Libero denunciò gli estorsori, i fratelli Avitabile, arrestati il 19 marzo 1991 assieme a un complice, rifiutando l'offerta di una scorta personale ma accettando la vigilanza dello stabilimento della sua azienda.

Sicindustria, l'associazione degli imprenditori siciliani aderenti a Confindustria, gli voltò le spalle: la mafia in Sicilia era un'invenzione dei giornalisti, come dissero alcuni di loro in un circolo borghese cittadino, intervistati dalla tv. In una lettera pubblicata sul Corriere della Sera il 30 aprile 1991, Grassi ricordò che «l'unico sostegno alla mia azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana» e definì "scandalosa" la sentenza del 4 aprile 1991 del giudice catanese Luigi Russo che stabiliva che non era reato pagare la "protezione" ai boss mafiosi, in riferimento ai Cavalieri del Lavoro di Catania, definiti dell'Apocalisse mafiosa da Pippo Fava su i Siciliani quasi un decennio prima[1].

Libero Grassi espresse il suo sconcerto anche davanti a una platea di studenti:

"La decisione scandalosa del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo, che ha stabilito che non è reato pagare la protezione ai boss mafiosi è sconvolgente [...] Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la mafia è ancora più scandaloso della scarcerazione dei boss. Ormai nessuno è più colpevole di niente. Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un vero e proprio modello di comportamento: pagate i mafiosi. E quelli che come me invece cercano di ribellarsi?"[2]

L'intervista a Samarcanda

L'11 aprile 1991 Grassi partecipò alla trasmissione televisiva Samarcanda, condotta da Michele Santoro. In quella sede dichiarò: "Non sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace pagare. Rinuncerei alla mia dignità. Non divido le mie scelte con i mafiosi"[3].

L'omicidio

Nonostante le minacce di morte e l'isolamento, Libero Grassi andò avanti col suo impegno, finché non venne assassinato il 29 agosto 1991. Il 26 settembre successivo Michele Santoro (Rai3) e Maurizio Costanzo (Canale5) gli dedicarono una trasmissione televisiva a reti unificate.

Nell'ottobre del 1991 vennero arrestati il killer Salvatore Madonia, detto Salvino, figlio del boss di Resuttana, e il complice alla guida dell'auto, Marco Favaloro, che in seguito decise di collaborare con la giustizia, contribuendo a ricostruire la dinamica dell'agguato. Madonia fu condannato in via definitiva e recluso al 41-bis, mentre l'intera Cupola di Cosa Nostra fu condannata il 18 aprile 2008 come mandante del delitto.

Note

  1. Attilio Bolzoni, Assolti i Cavalieri dell'Apocalisse, la Repubblica, 5 aprile 1991
  2. Citato in Cecchini M., Vasconi P., Vettranio S., a cura di, Estorti & riciclati. “Libro bianco” della Confesercenti su riutilizzo del denaro proveniente da attività criminose, Milano, Franco Angeli, 1992.
  3. Libero Grassi, Intervista a Samarcanda (11/04/1991), YouTube

Bibliografia

  • Caprì Chiara, Maisano Grassi Pina, Libero. L'imprenditore che non si piegò al pizzo, Roma, Castelvecchi, 2011
  • Cecchini M., Vasconi P., Vettranio S., a cura di, Estorti & riciclati. “Libro bianco” della Confesercenti su riutilizzo del denaro proveniente da attività criminose, Milano, Franco Angeli, 1992
  • Mascali Antonella, Lotta Civile, Milano, Chiarelettere, 2009