Lucio Ferrami

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"Mio marito non era un eroe, solo chiedeva allo Stato di proteggerlo. Ricordo che, dopo la denuncia degli estorsori, passammo un anno d'inferno: chiesi a mio marito di andarcene dal paese, gli dissi che ce l'avrebbero fatta pagare. Ma lui non volle cedere"
Maria Avolio, moglie di Lucio Ferrami


Lucio Ferrami (22 febbraio 1949 Casalbuttano – 27 ottobre 1981 Acquappesa), è stato un commerciante ucciso dalla ‘ndrangheta perché deciso a non pagare il pizzo.

Biografia

Nato a Casalbuttano, in provincia di Cremona, Lucio Ferrami iniziò a lavorare fin da giovane nel campo dell’edilizia stradale come dipendente di una ditta lombarda. Aveva circa ventun'anni quando gli impegni lavorativi lo portarono in Calabria, a Guardia Piementose (CS), dove conobbe Maria Avolio, sua futura moglie.

Dopo essersi sposato, Lucio con l’aiuto della moglie decise di mettersi in proprio: avviò la Ferrami ceramiche per la vendita al dettaglio di materiali da costruzione che da subito diede grandi soddisfazioni al giovane imprenditore.

Ai profitti della Ferrami ceramiche però si interessarono anche le ‘ndrine locali della costa tirrenica. Non passò molto tempo, infatti, prima che alla Ferrami ceramiche venne chiesto il pagamento del pizzo dagli uomini vicini a Franco Muto, conosciuto come il "re del pesce" di Cetraro, boss indiscusso dell’alto tirreno cosentino. Alla richiesta delle "mazzette" l’imprenditore piemontese decise di non cedere e denunciò i suoi estorsori alla giustizia facendo mettere per iscritto nomi e cognomi dei criminali[1].

L'omicidio

Nonostante le immediate denunce però la giustizia non fece il suo corso e Lucio Ferrami non riuscì a distogliere l’attenzione della ‘ndrangheta dai profitti della sua azienda. Un anno dopo l’inizio di questa travagliata vicenda, il 27 ottobre 1981, Lucio Ferrami rimase vittima di un agguato pagando con la vita un gesto ritenuto fin troppo rivoluzionario[2][3].

Mentre era alla guida della sua auto, Ferrami fu raggiunto da una moto con a bordo i killer che lo uccisero con un’esecuzione in pieno stile ‘ndranghetista[4], in Contrada Zaccani ad Acquappesa. Quella sera, l'imprenditore stava rientrando a casa in compagnia della moglie, Maria Avolio, che si salvò dall'agguato perché suo marito le fece da scudo umano[5].

Lucio Ferrami fu vittima innocente di mafia all'età di 32 anni. Lasciò la giovane moglie e il figlio Pierluigi di soli 9 anni.

Le indagini e i processi

L’omicidio di Lucio Ferrami coincise con quello di altre due vittime innocenti, per questo motivo venne istruito un unico processo per il suo omicidio, quello di Giovanni Losardo e di Catello De Iudicibus presso il Tribunale di Cosenza (trasferito successivamente a Bari per motivi di ordine pubblico).

Nel corso del processo, in Corte di Assise, per l’omicidio Ferrami sia Franco Muto che suo figlio Luigi insieme a quattro uomini a loro vicini furono condannati all'ergastolo. In secondo grado furono però tutti assolti con formula dubitativa[6].

Nel 1988 gli avvocati di parte civile avanzarono la richiesta di riapertura del caso: con un gesto clamoroso e senza precedenti, Maria Avolio ricostruì l’intera vicenda fino a denunciare la Procura della Repubblica di Paola, competente sull'indagine per l'uccisione del marito, per omissione di atti d’ufficio; accusò i magistrati di non aver fatto tutto il possibile per impedire l'omicidio, di aver trascurato precise denunce della polizia che segnalavano l'escalation mafiosa a Cetraro, a Paola, a Guardia Piemontese e negli altri paesi limitrofi della costa tirrenica. Sotto accusa sono furono messi i silenzi delle istituzioni, della magistratura e delle forze dell’ordine[7].

Memoria

Secondo Maria Teresa Morano, Coordinatrice delle associazioni antiracket calabresi "Ricordare Lucio Ferrami è ricordare la parte migliore della Calabria, di quella Calabria che non si rassegna e che non si è mai voluta rassegnare alla prevaricazione della ndrangheta. Tutti noi calabresi abbiamo un debito di riconoscenza nei suoi confronti. Lucio Ferrami ha combattuto da solo ed è morto da solo, e per troppo tempo è stato dimenticato. La Calabria ha il dovere, abbiamo il dovere per oggi e per il futuro di ricordare i nostri figli migliori".

La Ferrami ceramiche continua a mantenere vivo il ricordo del suo fondatore Lucio: l’attività commerciale, infatti, è rimasta in attivo grazie al continuo impegno di Maria Avolio e del figlio Pierluigi Ferrami che dopo il diploma di Geometra si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza ma nel 1991 entrò a far parte a pieno titolo dell’azienda di famiglia. “Lo feci solo per accontentare mia mamma e perché era naturale scegliere per me questo tipo di studi visto che ho seguito tutte le fasi dibattimentali del processo. In realtà avevo però desiderio di cominciare subito a lavorare per continuare quanto iniziato da mio padre[8].

Il 9 ottobre 2014, venne intitolata a Lucio Ferrami l’associazione antiracket di Cosenza, guidata da Alessio Cassano, giovane imprenditore locale: “E’ il nostro Libero Grassi calabrese ed è diventato il nostro esempio da seguire. Ricordarlo e farlo riconoscere è assolutamente doveroso”[9].

Il 27 ottobre 2015, in occasione del 33° anniversario della morte di Lucio Ferrami, il movimento antiracket della FAI si impegnò per l’affissione della lapide in marmo sul luogo dell'omicidio, fino ad allora abbandonato ed usato come punto di discarica abusivo.

Note

  1. Storie Antiracket: Ferrami la verità e i silenzi trentatré anni dopo, Linea Diretta, anno 2 numero 14, 30 ottobre 2014
  2. Nel nome di mio marito accuso quei magistrati succubi della mafia, L'Unità, 27 febbraio 1983
  3. Per Giannino Losardo, Laboratorio sperimentale Giovanni Losardo, L'Unità, 27 febbraio 1983
  4. Una via intitolata all'eroe antiracket Lucio Ferrami, Gazzetta del Sud, 6 aprile 2012
  5. Resistere, resistere, resistere, Corriere della Calabria, 26 aprile 2012
  6. Per il delitto Losardo la Cassazione conferma: tutti da assolvere, L'Unità, 22 gennaio 1988
  7. Nel nome di mio marito accuso quei magistrati succubi della mafia, L'Unità, 27 febbraio 1983
  8. Storie Antiracket, Ferrami la verità e i silenzi trentatré anni dopo, Linea Diretta, anno 2 – Numero 14, 30 ottobre 2014
  9. Cosenza, la legalità di frontiera, Linea Diretta, anno 2 – Numero 13, 13 ottobre 2014

Bibliografia

  • Storie Antiracket, Ferrami la verità e i silenzi trentatré anni dopo, Linea Diretta, anno 2 – Numero 14, 30 ottobre 2014
  • Cosenza, la legalità di frontiera, Linea Diretta, anno 2 – Numero 13, 13 ottobre 2014