Mario Lattuca: differenze tra le versioni

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<center>''<small>“Onesto e stimato lavoratore, nei cui confronti nessuno nutriva motivi di astio o di rancore tali da giustificare l’assassinio <ref>L’omicidio di Lattuca Mario, Sentenza n°1 del 1986 pronunciata dalla Corte di Assise di Cosenza, p. 353</ref></small>''</center>
<center>''"Onesto e stimato lavoratore, nei cui confronti nessuno nutriva motivi di astio o di rancore tali da giustificare l’assassinio<ref>L'omicidio di Lattuca Mario, Sentenza n°1 del 1986 pronunciata dalla Corte di Assise di Cosenza, p. 353</ref>"''</center>
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[[File:Mario Lattuca.jpeg|200px|thumb|right|Mario Lattuca]]


'''Mario Lattuca''' ([[1 marzo]] [[1932]] Paola – [[21 settembre]] [[1982]] Paola), è stato un operaio ucciso dalla [['Ndrangheta|‘ndrangheta]] per errore durante un agguato.


'''Mario Lattuca''' (Paola, [[1° marzo]] [[1932]] – Paola, [[21 settembre]] [[1982]]), è stato un operaio calabrese, vittima innocente della [['ndrangheta]].


==Biografia==
==Biografia==
Nato a Paola, in provincia di Cosenza, Mario Lattuca iniziò presto a lavorare come operaio. Dopo il matrimonio con Antonietta Giacometti, per garantire un futuro migliore ai propri figli, Mario decise di emigrare in Svizzera come fecero molti altri suoi conterranei. Per dodici anni, tornò a casa poche volte all'anno, durante i giorni di festa, per riabbracciare i suoi cari e la moglie Antonietta che decise di non seguirlo per non abbandonare la madre.  
Nato a Paola, in provincia di Cosenza, Mario Lattuca iniziò presto a lavorare come operaio. Dopo il matrimonio con '''Antonietta Giacometti''', Mario decise di emigrare in Svizzera per garantire un futuro migliore ai propri figli, come fecero molti altri suoi conterranei. Per dodici anni tornò a casa poche volte all'anno, durante i giorni di festa, per riabbracciare i suoi cari e la moglie Antonietta che decise di non seguirlo per non abbandonare la madre.  


Dopo la morte prematura di Santo, il loro quinto figlio, Mario decise di ritornare definitivamente a Paola in modo da placare anche il dolore della moglie per la tragica perdita; fu così che trovò lavoro presso una ditta edile per la quale collaborò prima alla costruzione della statale 107 e poi alla realizzazione delle gallerie che avrebbero permesso il collegamento ferroviario tra la costa tirrenica e l’entroterra cosentino.
Dopo la morte prematura di Santo, il loro quinto figlio, Mario decise di ritornare definitivamente a Paola in modo da placare anche il dolore della moglie per la tragica perdita; fu così che trovò lavoro presso una ditta edile per la quale collaborò prima alla costruzione della statale 107 e poi alla realizzazione delle gallerie che avrebbero permesso il collegamento ferroviario tra la costa tirrenica e l'entroterra cosentino.


===L’omicidio===
===L'omicidio===
La sera del 21 settembre 1982, dopo aver concluso il suo turno di lavoro delle 13 – 22 presso la società Condotte d’Acqua, Mario Lattuca si avviò verso casa. Il tragitto che lo conduceva alla sua abitazione era solito farlo in auto con un collega; quel 21 settembre invece accettò un passaggio da un altro lavoratore della ditta perché il suo abituale conoscente era assente per problemi di salute. Nell'auto, una Giulia super, si trovarono in tre: alla guida c’era Domenico Molinaro (32 anni) proprietario dell’auto, vicino il conducente vi era Santo Mannarino (41 anni) e Mario seduto nel sedile posteriore.
La sera del [[21 settembre]] [[1982]], dopo aver concluso il suo turno di lavoro delle 13 – 22 presso la società Condotte d'Acqua, Mario Lattuca si avviò verso casa. Il tragitto che lo conduceva alla sua abitazione era solito farlo in auto con un collega; quel 21 settembre invece accettò un passaggio da un altro lavoratore della ditta perché il suo abituale conoscente era assente per problemi di salute. Nell'auto, una Giulia super, si trovarono in tre: alla guida c’era '''Domenico Molinaro''' (32 anni) proprietario dell’auto, vicino il conducente vi era '''Santo Mannarino''' (41 anni) e Mario, seduto sul sedile posteriore.


Percorsi pochi metri, in località Pantani, una zona buia e a ridosso di una curva che collegava la zona del cantiere alla strada statale, il conducente dell’auto fu costretto a rallentare in quanto il passaggio era ostruito da una 131 posteggiata sulla destra; qualcuno stava aspettando la Giulia e vista arrivare iniziò a sparare: Mario venne investito da una pioggia di proiettili. Il conducente dell’auto che era il vero obiettivo del killer insieme all'altro collega ebbero la prontezza di abbassarsi riuscendo a schivare i colpi e dopo aver aperto lo sportello abbandonarono il veicolo, fuggendo via. Mario, che era seduto nel sedile posteriore, divenne un parafulmine naturale: venne raggiunto da molti colpi che lo ferirono mortalmente<ref>“Mio padre era la mia certezza”, diario della memoria, Quotidiano del sud, 27 luglio 2016</ref>.
Percorsi pochi metri, in località Pantani, una zona buia e a ridosso di una curva che collegava la zona del cantiere alla strada statale, il conducente dell'auto fu costretto a rallentare in quanto il passaggio era ostruito da una 131 posteggiata sulla destra; qualcuno stava aspettando la Giulia e vista arrivare iniziò a sparare: Mario venne investito da una pioggia di proiettili. Il conducente dell'auto che era il vero obiettivo del killer insieme all'altro collega ebbero la prontezza di abbassarsi riuscendo a schivare i colpi e dopo aver aperto lo sportello abbandonarono il veicolo, fuggendo via. Mario, che era seduto nel sedile posteriore, divenne un parafulmine naturale: venne raggiunto da molti colpi che lo ferirono mortalmente<ref>“Mio padre era la mia certezza”, diario della memoria, Quotidiano del sud, 27 luglio 2016</ref>.


Quella sera ad aspettare Mario per la cena c’erano sua figlia Anna con i suoi due fratelli più piccoli: “''Mia madre era ricoverata in ospedale perché aveva avuto problemi di pressione e io aspettavo mio padre mentre guardavo in televisione il Festivalbar ma lui tardava ad arrivare […] Si presentò a casa nostra un mio zio, avvisato dell’accaduto, e disse che papà era in ospedale e che era grave. Pare si fosse sentito male in galleria. Io volevo subito raggiungerlo ma lui mi consigliò di restare per prendermi cura dei miei fratelli più piccoli, Romeo e Sandro. Aggiunse che avrei potuto andare da lui anche il giorno dopo''”<ref>“Mio padre era la mia certezza”, diario della memoria, Quotidiano del sud, 27 luglio 2016</ref>. Mario fu raggiunto da un’ambulanza con a bordo anche un suo familiare che prestava servizio come infermiere anche se ormai non restava nulla da fare.
Quella sera ad aspettare Mario per la cena c'erano sua figlia Anna con i suoi due fratelli più piccoli: “''Mia madre era ricoverata in ospedale perché aveva avuto problemi di pressione e io aspettavo mio padre mentre guardavo in televisione il Festivalbar ma lui tardava ad arrivare […] Si presentò a casa nostra un mio zio, avvisato dell’accaduto, e disse che papà era in ospedale e che era grave. Pare si fosse sentito male in galleria. Io volevo subito raggiungerlo ma lui mi consigliò di restare per prendermi cura dei miei fratelli più piccoli, Romeo e Sandro. Aggiunse che avrei potuto andare da lui anche il giorno dopo''”<ref>Ibidem</ref>. Mario fu raggiunto da un'ambulanza con a bordo anche un suo familiare che prestava servizio come infermiere anche se ormai non vi era più nulla da fare.


Mario Lattuca morì quel 21 settembre 1982 lasciando la moglie Antonietta Giacometti (51 anni) e i suoi sei figli Maria (24 anni), Francesco (23 anni), Anna (21 anni), Rita (20 anni), Romeo (14 anni) e Sandro (10 anni).
Mario Lattuca morì quel 21 settembre 1982 lasciando la moglie Antonietta Giacometti (51 anni) e i suoi sei figli '''Maria''' (24 anni), '''Francesco''' (23 anni), '''Anna''' (21 anni), '''Rita''' (20 anni), '''Romeo''' (14 anni) e '''Sandro''' (10 anni).


Il suo corpo fu preso in custodia dalle forze dell’ordine e a nessuno fu permesso di vederlo neanche alla moglie: “''Mamma mi chiedeva piangendo dove fosse mio padre. Dopo molte insistenze fui costretta a dirle che era al cimitero. Prese per la mano Sandro, il mio fratello più piccolo, e uscì di casa per andare da lui. In molti provarono a fermarla ma lei con passo spedito arrivò prima di tutti. Davanti al cancello c’erano i carabinieri che le chiesero chi fosse e chi stava cercando. Lei urlando rispose che voleva vedere suo marito. Le fu chiaramente impedito di entrare e intanto un fratello la portò via con la forza''”<ref>“Mio padre era la mia certezza”, diario della memoria, Quotidiano del sud, 27 luglio 2016</ref>.
Il suo corpo fu preso in custodia dalle forze dell'ordine e a nessuno fu permesso di vederlo, neanche alla moglie: “''Mamma mi chiedeva piangendo dove fosse mio padre. Dopo molte insistenze fui costretta a dirle che era al cimitero. Prese per la mano Sandro, il mio fratello più piccolo, e uscì di casa per andare da lui. In molti provarono a fermarla ma lei con passo spedito arrivò prima di tutti. Davanti al cancello c’erano i carabinieri che le chiesero chi fosse e chi stava cercando. Lei urlando rispose che voleva vedere suo marito. Le fu chiaramente impedito di entrare e intanto un fratello la portò via con la forza''”<ref>Ibidem</ref>.


==Le indagini e il processo==
==Le indagini e il processo==
Subito dopo l’accaduto, iniziarono le indagini. Sul posto dell’omicidio arrivarono il sostituto procuratore della repubblica di Paola, la squadra della polizia giudiziaria dei carabinieri e gli uomini del locale Commissariato della polizia di Stato. Furono attivate battute a largo raggio per trovare i killer ma senza esiti positivi.
Subito dopo l'accaduto, iniziarono le indagini. Sul posto dell'omicidio arrivarono il sostituto procuratore della repubblica di Paola, la squadra della polizia giudiziaria dei carabinieri e gli uomini del locale Commissariato della polizia di Stato. Furono attivate battute a largo raggio per trovare i killer ma senza esiti positivi.


Dalle prime supposizioni e dagli interrogatori rivolti ai due uomini sopravvissuti all'accaduto, si capì subito che si trattava di un agguato.
Dalle prime supposizioni e dagli interrogatori rivolti ai due uomini sopravvissuti all'accaduto, si capì subito che si trattava di '''un agguato'''.


La Giulia, guidata dall'operaio, collega di Mario Lattuca, a ridosso dell’incrocio che collegava la zona cantiere alla strada statale, in località Pantani, fu costretta a rallentare perché la carreggiata di destra era occupata da una Fiat 131 Racing, posteggiata volontariamente per intralciare il cammino degli operai. E’ stato in quel momento, infatti, che i killer, presumibilmente due, nascosti nell'oscurità e nella vegetazione, iniziarono a sparare verso gli occupanti dell’auto a distanza ravvicinata. Il destinatario di quella mattanza sembrava essere il passeggero che sedeva nel sedile posteriore dell’auto perché i colpi d’arma raggiunsero principalmente lui: Mario Lattuca, secondo il medico legale, morì dopo che due proiettili gli trapassarono la testa<ref>“Agguato notturno, Ucciso in auto un operaio a Paola”, Gazzetta del Sud, 23 settembre 1982</ref>.  
La Giulia, guidata dall'operaio, collega di Mario Lattuca, a ridosso dell’incrocio che collegava la zona cantiere alla strada statale, in località Pantani, fu costretta a rallentare perché la carreggiata di destra era occupata da una '''Fiat 131 Racing''', posteggiata volontariamente per intralciare il cammino degli operai. E’ stato in quel momento, infatti, che i killer, presumibilmente due, nascosti nell'oscurità e nella vegetazione, iniziarono a sparare verso gli occupanti dell’auto a distanza ravvicinata. Il destinatario di quella mattanza sembrava essere il passeggero che sedeva nel sedile posteriore dell’auto perché i colpi d’arma raggiunsero principalmente lui: Mario Lattuca, secondo il medico legale, morì dopo che due proiettili gli trapassarono la testa<ref>“Agguato notturno, Ucciso in auto un operaio a Paola”, Gazzetta del Sud, 23 settembre 1982</ref>.  


Da ulteriori indagini si scoprì poi che sulla Fiat 131 Racing, utilizzata per rallentare il percorso degli operai, era stata apposta una targa falsa e asportata ad un'altra Fiat 126 a San Pietro di Amantea (CS) qualche tempo prima; inoltre, la Fiat 131 Racing risultò anch'essa rubata a Nocera Terinese (CZ) e dentro l’auto furono ritrovati una custodia per binocolo, due paia di scarpe da tennis e una busta in plastica con 24 cartucce per pistola cal. 9 lungo ed altre 3 cartucce per pistola cal. 357 Magnum.  
Da ulteriori indagini si scoprì poi che sulla Fiat 131 Racing, utilizzata per rallentare il percorso degli operai, era stata apposta una targa falsa e asportata ad un'altra Fiat 126 a San Pietro di Amantea (CS) qualche tempo prima; inoltre, la Fiat 131 Racing risultò anch'essa rubata a Nocera Terinese (CZ) e dentro l’auto furono ritrovati una custodia per binocolo, due paia di scarpe da tennis e una busta in plastica con 24 cartucce per pistola calibro 9 lungo ed altre 3 cartucce per pistola calibro 357 Magnum.  


L'assassinio di Mario Lattuca con il tempo venne classificato ad opera di ignoti e inserito, senz'altra etichettatura, nel contesto della lotta fra bande lungo la fascia tirrenica cosentina. Smentendo quindi le prime supposizioni avanzate dai giornali locali, le autorità riconobbero nell'omicidio un errore di persona e che il destinatario dell’azione delittuosa poteva essere invece un altro occupante dell’autovettura (Domenico Molinaro) in quanto sospettato di appartenere alla banda di Nelso Basile contrapposto a quella dei Serpa. “''Di questa faida Mario Lattuca è inconsapevole vittima che non ha avuto la prontezza, che ha, invece, caratterizzato, nell'occorso, il comportamento del Mannarino e del Molinaro, di accovacciarsi subitamente, sul fondo della autovettura, fingendosi morti, per come dagli stessi dichiarato''”<ref>L’omicidio di Lattuca Mario, Sentenza n°1 del 1986 pronunciata dalla Corte d’Assise di Cosenza, p. 357</ref>, queste le parole riportate nella sentenza del 1986 sull'uccisione dell'operaio.  
L'assassinio di Mario Lattuca con il tempo venne classificato ad opera di ignoti e inserito, senz'altra etichettatura, nel contesto della lotta fra bande lungo la fascia tirrenica cosentina. Smentendo quindi le prime supposizioni avanzate dai giornali locali, le autorità riconobbero nell'omicidio un errore di persona e che il destinatario dell’azione delittuosa poteva essere invece un altro occupante dell’autovettura (Domenico Molinaro) in quanto sospettato di appartenere alla banda di '''Nelso Basile''' contrapposto a quella dei '''Serpa'''. Come fu riportato nella sentenza di condanna, “''Di questa faida Mario Lattuca è inconsapevole vittima che non ha avuto la prontezza, che ha, invece, caratterizzato, nell'occorso, il comportamento del Mannarino e del Molinaro, di accovacciarsi subitamente, sul fondo della autovettura, fingendosi morti, per come dagli stessi dichiarato''”<ref>L’omicidio di Lattuca Mario, Sentenza n°1 del 1986 pronunciata dalla Corte d’Assise di Cosenza, p. 357</ref>.  


Ancora, l’omicidio ritornò alla luce più volte come quando nel 1983, a seguito della perquisizione presso l’abitazione di un ricercato (Massimo Chianello - vicino al clan Serpa) indagato per racket e a seguito delle sue dichiarazioni vennero ritrovate le targhe originali ed i documenti della Fiat 131 rubata ed utilizzata per l’agguato oltre a 5 cartucce per pistola cal. 38 nascoste in un foro di un muretto di fronte l’abitazione di Osvaldo Serpa, nel rione Cancello di Paola<ref>“Racket a Paola, terzo arrestato”, Gazzetta del Sud, 15 aprile 1983</ref>.  
L'omicidio tornò alla ribalta delle cronache più volte, ad esempio nel [[1983]], quando, a seguito della perquisizione presso l’abitazione di un ricercato indagato per racket ('''Massimo Chianello''' - vicino alla [[Serpa ('ndrina)|'ndrina dei Serpa]]) e delle sue dichiarazioni, vennero ritrovate le targhe originali e i documenti della Fiat 131 rubata e utilizzata per l'agguato, oltre a 5 cartucce per pistola cal.38 nascoste in un foro di un muretto di fronte l’abitazione di Osvaldo Serpa, nel rione Cancello di Paola<ref>“Racket a Paola, terzo arrestato”, Gazzetta del Sud, 15 aprile 1983</ref>.  


Di questo omicidio, Mario Serpa rimase gravato per il sol fatto di essere il capo dell’organizzazione criminale in formula dubitativa per poi essere assolto insieme ad Osvaldo Serpa.
Di questo omicidio, [[Mario Serpa]] rimase gravato per il sol fatto di essere il capo dell’organizzazione criminale in formula dubitativa, per poi essere assolto insieme ad [[Osvaldo Serpa]].


==In memoria==
==In memoria==
A Paola il [[21 luglio]] si ricorda la morte di Tonino Maiorano e di tutte le vittime innocenti di mafia del territorio cosentino.
A Paola il [[21 luglio]] si ricorda la morte di [[Tonino Maiorano]] e di tutte le vittime innocenti di mafia del territorio cosentino.


==Note==
==Note==
<references/>
<references/>
==Fonti==
Archivio storico Gazzetta del Sud


==Bibliografia==
==Bibliografia==
*Archivio storico Gazzetta del Sud
*Memoria, Nomi e storie delle vittime innocenti delle mafie, Edizioni Gruppo Abele 2015
*Memoria, Nomi e storie delle vittime innocenti delle mafie, Edizioni Gruppo Abele 2015
*Badolati A., Mamma ‘ndrangheta, Cosenza, Pellegrini Editore, 2014
*Badolati A., Mamma ‘ndrangheta, Cosenza, Pellegrini Editore, 2014
*"L'omicidio di Mario Lattuca", Sentenza n°1 del 1986 pronunciata dalla Corte di Assise di Cosenza
[[Categoria:Lavoratori]] [[Categoria:Vittime innocenti delle mafie]] [[Categoria:Vittime di 'ndrangheta]] [[Categoria:Nati il 1° marzo]] [[Categoria:Nati nel 1932]]  [[Categoria:Morti il 21 settembre]] [[Categoria:Morti nel 1982]] [[Categoria:Vittime senza giustizia]]

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"Onesto e stimato lavoratore, nei cui confronti nessuno nutriva motivi di astio o di rancore tali da giustificare l’assassinio[1]"
Mario Lattuca


Mario Lattuca (Paola, 1° marzo 1932 – Paola, 21 settembre 1982), è stato un operaio calabrese, vittima innocente della 'ndrangheta.

Biografia

Nato a Paola, in provincia di Cosenza, Mario Lattuca iniziò presto a lavorare come operaio. Dopo il matrimonio con Antonietta Giacometti, Mario decise di emigrare in Svizzera per garantire un futuro migliore ai propri figli, come fecero molti altri suoi conterranei. Per dodici anni tornò a casa poche volte all'anno, durante i giorni di festa, per riabbracciare i suoi cari e la moglie Antonietta che decise di non seguirlo per non abbandonare la madre.

Dopo la morte prematura di Santo, il loro quinto figlio, Mario decise di ritornare definitivamente a Paola in modo da placare anche il dolore della moglie per la tragica perdita; fu così che trovò lavoro presso una ditta edile per la quale collaborò prima alla costruzione della statale 107 e poi alla realizzazione delle gallerie che avrebbero permesso il collegamento ferroviario tra la costa tirrenica e l'entroterra cosentino.

L'omicidio

La sera del 21 settembre 1982, dopo aver concluso il suo turno di lavoro delle 13 – 22 presso la società Condotte d'Acqua, Mario Lattuca si avviò verso casa. Il tragitto che lo conduceva alla sua abitazione era solito farlo in auto con un collega; quel 21 settembre invece accettò un passaggio da un altro lavoratore della ditta perché il suo abituale conoscente era assente per problemi di salute. Nell'auto, una Giulia super, si trovarono in tre: alla guida c’era Domenico Molinaro (32 anni) proprietario dell’auto, vicino il conducente vi era Santo Mannarino (41 anni) e Mario, seduto sul sedile posteriore.

Percorsi pochi metri, in località Pantani, una zona buia e a ridosso di una curva che collegava la zona del cantiere alla strada statale, il conducente dell'auto fu costretto a rallentare in quanto il passaggio era ostruito da una 131 posteggiata sulla destra; qualcuno stava aspettando la Giulia e vista arrivare iniziò a sparare: Mario venne investito da una pioggia di proiettili. Il conducente dell'auto che era il vero obiettivo del killer insieme all'altro collega ebbero la prontezza di abbassarsi riuscendo a schivare i colpi e dopo aver aperto lo sportello abbandonarono il veicolo, fuggendo via. Mario, che era seduto nel sedile posteriore, divenne un parafulmine naturale: venne raggiunto da molti colpi che lo ferirono mortalmente[2].

Quella sera ad aspettare Mario per la cena c'erano sua figlia Anna con i suoi due fratelli più piccoli: “Mia madre era ricoverata in ospedale perché aveva avuto problemi di pressione e io aspettavo mio padre mentre guardavo in televisione il Festivalbar ma lui tardava ad arrivare […] Si presentò a casa nostra un mio zio, avvisato dell’accaduto, e disse che papà era in ospedale e che era grave. Pare si fosse sentito male in galleria. Io volevo subito raggiungerlo ma lui mi consigliò di restare per prendermi cura dei miei fratelli più piccoli, Romeo e Sandro. Aggiunse che avrei potuto andare da lui anche il giorno dopo[3]. Mario fu raggiunto da un'ambulanza con a bordo anche un suo familiare che prestava servizio come infermiere anche se ormai non vi era più nulla da fare.

Mario Lattuca morì quel 21 settembre 1982 lasciando la moglie Antonietta Giacometti (51 anni) e i suoi sei figli Maria (24 anni), Francesco (23 anni), Anna (21 anni), Rita (20 anni), Romeo (14 anni) e Sandro (10 anni).

Il suo corpo fu preso in custodia dalle forze dell'ordine e a nessuno fu permesso di vederlo, neanche alla moglie: “Mamma mi chiedeva piangendo dove fosse mio padre. Dopo molte insistenze fui costretta a dirle che era al cimitero. Prese per la mano Sandro, il mio fratello più piccolo, e uscì di casa per andare da lui. In molti provarono a fermarla ma lei con passo spedito arrivò prima di tutti. Davanti al cancello c’erano i carabinieri che le chiesero chi fosse e chi stava cercando. Lei urlando rispose che voleva vedere suo marito. Le fu chiaramente impedito di entrare e intanto un fratello la portò via con la forza[4].

Le indagini e il processo

Subito dopo l'accaduto, iniziarono le indagini. Sul posto dell'omicidio arrivarono il sostituto procuratore della repubblica di Paola, la squadra della polizia giudiziaria dei carabinieri e gli uomini del locale Commissariato della polizia di Stato. Furono attivate battute a largo raggio per trovare i killer ma senza esiti positivi.

Dalle prime supposizioni e dagli interrogatori rivolti ai due uomini sopravvissuti all'accaduto, si capì subito che si trattava di un agguato.

La Giulia, guidata dall'operaio, collega di Mario Lattuca, a ridosso dell’incrocio che collegava la zona cantiere alla strada statale, in località Pantani, fu costretta a rallentare perché la carreggiata di destra era occupata da una Fiat 131 Racing, posteggiata volontariamente per intralciare il cammino degli operai. E’ stato in quel momento, infatti, che i killer, presumibilmente due, nascosti nell'oscurità e nella vegetazione, iniziarono a sparare verso gli occupanti dell’auto a distanza ravvicinata. Il destinatario di quella mattanza sembrava essere il passeggero che sedeva nel sedile posteriore dell’auto perché i colpi d’arma raggiunsero principalmente lui: Mario Lattuca, secondo il medico legale, morì dopo che due proiettili gli trapassarono la testa[5].

Da ulteriori indagini si scoprì poi che sulla Fiat 131 Racing, utilizzata per rallentare il percorso degli operai, era stata apposta una targa falsa e asportata ad un'altra Fiat 126 a San Pietro di Amantea (CS) qualche tempo prima; inoltre, la Fiat 131 Racing risultò anch'essa rubata a Nocera Terinese (CZ) e dentro l’auto furono ritrovati una custodia per binocolo, due paia di scarpe da tennis e una busta in plastica con 24 cartucce per pistola calibro 9 lungo ed altre 3 cartucce per pistola calibro 357 Magnum.

L'assassinio di Mario Lattuca con il tempo venne classificato ad opera di ignoti e inserito, senz'altra etichettatura, nel contesto della lotta fra bande lungo la fascia tirrenica cosentina. Smentendo quindi le prime supposizioni avanzate dai giornali locali, le autorità riconobbero nell'omicidio un errore di persona e che il destinatario dell’azione delittuosa poteva essere invece un altro occupante dell’autovettura (Domenico Molinaro) in quanto sospettato di appartenere alla banda di Nelso Basile contrapposto a quella dei Serpa. Come fu riportato nella sentenza di condanna, “Di questa faida Mario Lattuca è inconsapevole vittima che non ha avuto la prontezza, che ha, invece, caratterizzato, nell'occorso, il comportamento del Mannarino e del Molinaro, di accovacciarsi subitamente, sul fondo della autovettura, fingendosi morti, per come dagli stessi dichiarato[6].

L'omicidio tornò alla ribalta delle cronache più volte, ad esempio nel 1983, quando, a seguito della perquisizione presso l’abitazione di un ricercato indagato per racket (Massimo Chianello - vicino alla 'ndrina dei Serpa) e delle sue dichiarazioni, vennero ritrovate le targhe originali e i documenti della Fiat 131 rubata e utilizzata per l'agguato, oltre a 5 cartucce per pistola cal.38 nascoste in un foro di un muretto di fronte l’abitazione di Osvaldo Serpa, nel rione Cancello di Paola[7].

Di questo omicidio, Mario Serpa rimase gravato per il sol fatto di essere il capo dell’organizzazione criminale in formula dubitativa, per poi essere assolto insieme ad Osvaldo Serpa.

In memoria

A Paola il 21 luglio si ricorda la morte di Tonino Maiorano e di tutte le vittime innocenti di mafia del territorio cosentino.

Note

  1. L'omicidio di Lattuca Mario, Sentenza n°1 del 1986 pronunciata dalla Corte di Assise di Cosenza, p. 353
  2. “Mio padre era la mia certezza”, diario della memoria, Quotidiano del sud, 27 luglio 2016
  3. Ibidem
  4. Ibidem
  5. “Agguato notturno, Ucciso in auto un operaio a Paola”, Gazzetta del Sud, 23 settembre 1982
  6. L’omicidio di Lattuca Mario, Sentenza n°1 del 1986 pronunciata dalla Corte d’Assise di Cosenza, p. 357
  7. “Racket a Paola, terzo arrestato”, Gazzetta del Sud, 15 aprile 1983

Bibliografia

  • Archivio storico Gazzetta del Sud
  • Memoria, Nomi e storie delle vittime innocenti delle mafie, Edizioni Gruppo Abele 2015
  • Badolati A., Mamma ‘ndrangheta, Cosenza, Pellegrini Editore, 2014
  • "L'omicidio di Mario Lattuca", Sentenza n°1 del 1986 pronunciata dalla Corte di Assise di Cosenza