Massomafia

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Massomafia è un neologismo coniato da Giuseppe d'Urso agli inizi degli anni '80 per indicare il ruolo centrale della massoneria quale collante della serie di rapporti di dipendenza personali all'interno della società e nelle istituzioni, soprattutto nella magistratura, delle organizzazioni mafiose, in particolare di Cosa Nostra.

Alle origini del termine: le denunce e l'attività di ricerca di Giuseppe d'Urso

D'Urso, che poteva valersi della sua carica di Presidente dell'Istituto Nazionale di Urbanistica per la Sicilia e del suo ruolo di docente di pianificazione urbanistica e territoriale all'Università di Catania, condusse sin dagli anni '60 una serie di analisi territoriali[1] in tutta la Sicilia sui capitali investiti in grandi operazioni immobiliari, soprattutto acquisti di terreni e costruzioni di opere pubbliche. Durante la sua attività di ricerca notò una certa ritrosia se non un'aperta ostilità da parte di settori della stampa, della politica e della magistratura.

Nel 1982[2] coniò quindi il termine massomafia, rendendosi conto «dell’esistenza di una serie di interconnessioni tra i vari poteri, le istituzioni, l’imprenditoria, la stampa, la cultura e così via. E il collante era proprio la massoneria, alla quale aderiscono molti dei personaggi eccellenti della società siciliana»[3]. Le logge massoniche "deviate" costituivano (come del resto ha dimostrato il caso della "Santa'Ndrangheta#La_nascita_della_.22Santa.22_e_il_rapporto_con_la_massoneria" per la 'ndrangheta) il tramite più frequente e più sicuro nei rapporti tra organizzazioni mafiose, esponenti della società civile e istituzioni. Attraverso le logge, in particolare, le organizzazioni tentavano di "aggiustare" i processi che le riguardavano.

A proposito delle ricerche di D'Urso, Claudio Fava ha scritto che: «per ogni abuso il professor D’Urso aveva compilato un dossier completo di cifre, nomi, indicazioni di legge, estratti del Piano regolatore, copie di delibere comunali. Quegli esposti, con incrollabile perseveranza, forse perfino con un filo di dolente ironia, erano stati puntualmente spediti all’autorità giudiziaria. Che per molti anni aveva continuato ad inghiottirli in silenzio. L’ultimo fascicolo Giuseppe D’Urso aveva preferito invece farlo trovare sui banchi del Csm. Dentro, in bell’ordine, i promemoria del professore su tutte le inchieste insabbiate dalla Procura di Catania: le protezioni accordate, le illegalità compiute, le indagini depistate. Ma soprattutto c’era il testo del telegramma che D’Urso aveva spedito “per conoscenza” a ministri e presidenti di mezza Repubblica. La vertenza Catania di fatto era nata su quelle poche righe di denuncia civile, sull’intransigente ribellione di un “cittadino qualsiasi.”»

Bibliografia

  • "Massomafia. Il teorema. Mi dicevano di lasciar perdere", I Siciliani, 19 marzo 1986;
  • Claudio Fava, "La mafia comanda a Catania", Roma-Bari, Laterza editori, 1991;
  • Riccardo Orioles, "Allonsanfan - la mafia, la politica e altre storie", Milano, Melampo Editore, 2009
  • Riccardo Orioles, "Mafia e P2", I Siciliani, 2005

Note

  1. Citato in "I Siciliani", 19 marzo 1986
  2. Citato in Orioles, 2009
  3. Citato in "I Siciliani", 19 marzo 1986