Maxiprocesso di Palermo: differenze tra le versioni

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Con un apposito decreto, furono nominati:
Con un apposito decreto, furono nominati:
*due pubblici ministeri
*due pubblici ministeri: [[Giuseppe Ayala]] e [[Domenico Signorino]]
*due presidenti
*due presidenti: [[Alfonso Giordano]]
*due giudici a latere
*due giudici a latere: [[Pietro Grasso]]
=== La fase dibattimentale ===
=== La fase dibattimentale ===
=== L'esito ===
=== L'esito ===

Versione delle 11:31, 15 feb 2013

Il Maxiprocesso di Palermo è il processo svoltosi nell'aula bunker del Carcere Ucciardone di Palermo tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987. Il processo coinvolse 468 imputati ritenuti essere membri dell'associazione Cosa Nostra.

Il processo fu considerato la prima vera reazione dello Stato Italiano nei confronti della mafia siciliana. I membri di Cosa Nostra furono per la prima volta condannati in quanto appartenti ad un'organizzazione mafiosa unitaria e di tipo verticistico. Il processo fu possibile grazie alla nascita del cosidetto Pool antimafia di Palermo. I giudici appartenti al Pool permisero di avere una visione completa del fenomeno della mafia siciliana, almeno al livello militare. Oltre all'accentramento delle indagini nelle mani di un gruppo di magistrati specializzati, l'altro elemento di forza del Maxiprocesso fu l'utilizzo dei pentiti: Tommaso Buscetta per primo, poi Salvatore Contorno ed altri collaboratori permisero di guardare dentro a Cosa Nostra come mai prima di allora.

Antefatti

I pentiti

Il pool antimafia

Prima del processo

L'istruttoria e l'ordinanza di rinvio a giudizio

L'aula bunker

L'aula bunker fu costruita in Via Enrico Albanese, all'interno del complesso del carcere Ucciardone, per permettere uno spostamento agevole dei detenuti.

L'aula fu provvista di sofisticati sistemi di sicurezza, porte blindate e vetri antiproiettile per evitare il rischio di attentati e fughe, mentre il soffitto fu costruito in modo che potesse resistere ad attacchi aerei.

Il processo

Il processo si aprì in una situazione di enorme tensione. Cosa Nostra impose il silenzio militare fino alla sentenza, e il numero di omicidi si ridusse in modo considerevole.

Con un apposito decreto, furono nominati:

La fase dibattimentale

L'esito

I numeri del Maxiprocesso

Imputati

  • 474 imputati
  • 221 detenuti
  • 59 a piede libero
  • 194 latitanti

Esito

  • 360 condanne
  • 114 assoluzioni
  • 19 ergastoli
  • 2665 anni di carcere

Fase dibattimentale

  • 22 mesi di dibattimento
  • 349 udienze
  • 8000 pagine di verbale
  • 1314 interrogatori
  • 635 arringhe difensive

Protagonisti

  • 900 tra testimoni e parti lese
  • 200 avvocati difensori
  • 16 giudici popolari (tra effettivi e supplenti)
  • 3000 agenti delle forze dell'ordine
  • 600 giornalisti da tutto il mondo

Ulteriori gradi di giudizio

Appello

Il Maxiprocesso approdò alla Corte d'Appello il per concludersi il 12 dicembre 1990. Presidente della Corte di Assise di Appello è Vincenzo Palmegiano, mentre l'accusa è sostenuta dai pg Vittorio Aliquò e Luigi Croce.


Gli imputati del secondo grado erano così ripartiti:

  • 18 assassinati dopo la fine del processo in corte d' Assise
  • 10 deceduti per cause naturali
  • 27 ancora detenuti, in gran parte componenti della commissione di Cosa nostra
  • 52 agli arresti domiciliari

mentre tutti gli altri imputati erano stati scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare.

Durante i mesi del dibattimento la Corte ascoltò negli USA il boss Gaetano Badalamenti e Tommaso Buscetta, a Roma Francesco Marino Mannoia e ad Alessandria il pentito Giuseppe Pellegriti e il neofascista Angelo Izzo. Palmegiano fu costretto a riaprire la fase dibattimentale a causa dell'irrompere sulla scenza giudiziaria di Francesco Marino Mannoia in qualità di pentito: in tutto la fase dibattimentale durò 22 mesi. L'accusa si resse ancora sulle dichiarazioni di Salvatore Contorno, Antonino Calderone, il nuovo pentito Francesco Marino Mannoia, ma sopratutto sul "Teorema Buscetta", che affermava la struttura verticistica e unitaria di Cosa Nostra. Nonostante fossero state confermate da riscontri obiettivi le dichiarazioni dei pentiti, la sentenza ridimensionò l'importanza delle loro dichiarazioni. Risultò particolarmente indebolita la visione verticistica e unitaria di Cosa Nostra, nonostante non fosse stata completamente disarticolata. I boss della Commissione ricevettero pene variabili e ingiustificabili (Ad esempio, Salvatore Riina e Michele Greco furono condannati all'ergastolo ma Bernardo Provenzano solo a 10 anni e Salvatore Greco a 6 anni, mentre altri killer come Giuseppe Lucchese Miccichè non ricevettero il massimo della pena). Addirittura rimasero impuniti gli omicidi del commissario Boris Giuliano, del capitano dei carabinieri Emanuele Basile e del Generale Dalla Chiesa, dopo otto anni e ben due processi. Restò, pur fragilmente, il principio che gli omicidi fossero commissionati ad un livello più alto dell'organizzazione, dunque alcuni membri della Commissione furono condannati come mandanti.

Affermò a riguardo Giovanni Falcone:

Noi, a proposito del teorema Buscetta, non abbiamo mai parlato della cosiddetta "responsabilità oggettiva" della Cupola. Insomma, io in questa sentenza noto soltanto alcune contraddizioni. [1]

E aggiunse che comunque era stato fatto un passo avanti sul piano dell'impunità:

"E' la prima volta, anche in grado di Appello, che resistono in misura non indifferente gli ergastoli. E questo è un fatto. Il processo di Palermo non è certo finito con una raffica di assoluzioni come quello celebrato 20 anni fa per i 114 della nuova mafia, non è finito nel nulla ma con 11 condanne a vita per altrettanti boss e sicari. L' impianto complessisivo della istruttoria ha tenuto, ha resistito" [1]


L'accusa aveva chiesto di confermare le condanne di Primo Grado in toto. Dopo un mese di camera di consiglio però l'esito fu ben diverso.

  • 12 ergastoli su 19 del primo grado
  • 258 condanne su 360

La sentenza fu considerata disastrosa e inserita nel contesto di una "normalizzazione" dopo l'euforia del primo grado del Maxiprocesso.

Afferma Vincenzo Palmegiano:

Il giudice non può partecipare alla lotta, non può mai giudicare solo perché la folla chiede un certo tipo di sentenza.[1]

Cassazione

L'eredità

Note

  1. 1,0 1,1 1,2 "Io non lotto, faccio solo le sentenze, Intervista a Giovanni Falcone e Vincenzo Palmegiano, Repubblica, 12 dicembre 1990