Maxiprocesso di Palermo: differenze tra le versioni

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=== I pentiti ===
=== I pentiti ===
==== Tommaso Buscetta ====
==== Tommaso Buscetta ====
[[Tommaso Buscetta]] disegnò la struttura e il funzionamento di Cosa Nostra mostrando il fenomeno mafioso sotto una nuova luce. Il contributo più importante di Buscetta infatti "è consistito nell'aver offerto una chiave di lettura dei fatti di mafia, nell'aver consentito di guardare dall'interno le vicende dell'organizzazione"<ref name="Ordinanza-sentenza">Tribunale di Palermo, Ufficio istruzione, ''Ordinanza-sentenza contro Abbate Giovanni + 706''</ref>
[[Tommaso Buscetta]] disegnò la struttura e il funzionamento di Cosa Nostra mostrando il fenomeno mafioso sotto una nuova luce. Il contributo più importante di Buscetta infatti "''è consistito nell'aver offerto una chiave di lettura dei fatti di mafia, nell'aver consentito di guardare dall'interno le vicende dell'organizzazione''"<ref name="Ordinanza-sentenza">Tribunale di Palermo, Ufficio istruzione, ''Ordinanza-sentenza contro Abbate Giovanni + 706''</ref>


La città di Palermo è suddivisa in mandamenti: le famiglie prendono il nome dal mandamento a cui appartengono. Per quanto riguarda la provincia di Palermo, le famiglie prendono il nome del paese in cui operano. Tre famiglie territorialmente limitrofe costituiscono un mandamento ed eleggono un solo rappresentante. I capi dei mandamenti palermitani e i rappresentanti dei mandamenti provinciali compongono la Commissione.  
La città di Palermo è suddivisa in mandamenti: le famiglie prendono il nome dal mandamento a cui appartengono. Per quanto riguarda la provincia di Palermo, le famiglie prendono il nome del paese in cui operano. Tre famiglie territorialmente limitrofe costituiscono un mandamento ed eleggono un solo rappresentante. I capi dei mandamenti palermitani e i rappresentanti dei mandamenti provinciali compongono la Commissione.  

Versione delle 15:38, 29 mag 2013

Il Maxiprocesso di Palermo è il processo svoltosi nell'aula bunker del Carcere Ucciardone di Palermo tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987. Il processo coinvolse 468 imputati ritenuti essere membri dell'associazione Cosa Nostra.

Il processo fu considerato la prima vera reazione dello Stato Italiano nei confronti della mafia siciliana. I membri di Cosa Nostra furono per la prima volta condannati in quanto appartenti ad un'organizzazione mafiosa unitaria e di tipo verticistico. Il processo fu possibile grazie alla nascita del cosidetto Pool antimafia di Palermo. I giudici appartenti al Pool permisero di avere una visione completa del fenomeno della mafia siciliana, almeno al livello militare. Oltre all'accentramento delle indagini nelle mani di un gruppo di magistrati specializzati, l'altro elemento di forza del Maxiprocesso fu l'utilizzo dei pentiti: Tommaso Buscetta per primo, poi Salvatore Contorno ed altri collaboratori permisero di guardare dentro a Cosa Nostra come mai prima di allora.

Antefatti

Nel 1982 nasce la prima indagine, detta "Rapporto dei 122". Le varie istruttorie saranno poi riunificate nel Maxiprocesso, grazie al progetto di centralizzazione delle indagini di Rocco Chinnici e alla successiva attuazione grazie ad Antonino Caponnetto, che plasmò il Pool antimafia.

Il 29 settembre 1984 scatta il blitz di San Michele, grazie alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, durante il quale finiscono in manette decine di mafiosi.

I pentiti

Tommaso Buscetta

Tommaso Buscetta disegnò la struttura e il funzionamento di Cosa Nostra mostrando il fenomeno mafioso sotto una nuova luce. Il contributo più importante di Buscetta infatti "è consistito nell'aver offerto una chiave di lettura dei fatti di mafia, nell'aver consentito di guardare dall'interno le vicende dell'organizzazione"[1]

La città di Palermo è suddivisa in mandamenti: le famiglie prendono il nome dal mandamento a cui appartengono. Per quanto riguarda la provincia di Palermo, le famiglie prendono il nome del paese in cui operano. Tre famiglie territorialmente limitrofe costituiscono un mandamento ed eleggono un solo rappresentante. I capi dei mandamenti palermitani e i rappresentanti dei mandamenti provinciali compongono la Commissione.

La Commissione sovrintende, controlla e dispone il governo di Cosa Nostra. Ad esempio, per ordinare un omicidio, il rappresentante di una famiglia deve rivolgersi al capo mandamento, il quale tratterà la questione in Commissione. Nel caso dell'omicidio di un capofamiglia, l'assassinio deve avvenire con il consenso della famiglia (oltre che della Commissione). In caso contrario sono quasi inevitabili gravi conseguenze per chi trasgredisce.

Ogni famiglia ha una costituzione gerarchica così strutturata: rappresentante, sottocapo, consiglieri, capidecina.

Buscetta illustra inoltre le dinamiche che hanno portato allo scatenarsi della Seconda Guerra di Mafia, con il prevalere dello schieramento corleonese sull'ala moderata di Cosa Nostra, ovvero quella rappresentata da Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo, che avevano comandato su Palermo fino a quegli anni.

Salvatore Contorno

Salvatore Contorno, detto "Coriolano della Floresta", era sopravvissuto ad un agguato dei killer dei corleonesi. Le sue dichiarazioni fecero arrestare 160 persone.

Vincenzo Sinagra

Stefano Calzetta

Il pool antimafia

Prima del processo

L'istruttoria e l'ordinanza di rinvio a giudizio

L'aula bunker

L'aula bunker fu costruita in Via Enrico Albanese, all'interno del complesso del carcere Ucciardone, per permettere uno spostamento agevole dei detenuti.

L'aula fu provvista di sofisticati sistemi di sicurezza, porte blindate e vetri antiproiettile per evitare il rischio di attentati e fughe, mentre il soffitto fu costruito in modo che potesse resistere ad attacchi aerei.

Per approfondire vedi Aula Bunker del carcere Ucciardone

Il processo

Il processo si aprì in una situazione di enorme tensione. Cosa Nostra impose il silenzio militare fino alla sentenza, e il numero di omicidi si ridusse in modo considerevole.

Con un apposito decreto del 6 febbraio 1986, furono nominati:

Imputati

Vedi l'elenco degli Imputati del Maxiprocesso di Palermo

La fase dibattimentale

L'unico confronto fu quello tra Tommaso Buscetta e Pippo Calò.

Il 9 aprile 1986 Luciano Leggio chiese il confronto con Tommaso Buscetta. Chiesero il confronto anche Giuseppe Bona e Tommaso Spadaro che dichiarò di essere in possesso di documenti che dimostravano la falsità delle dichiarazioni del pentito. I confronti non furono poi eseguiti. Leggio dichiarò di essersi avvalso della facoltà di non rispondere, in fase istruttoria, perchè temeva che le sue dichiarazioni sarebbero divenute pubbliche. Leggio affermò infatti di non credere nell'efficacia del segreto istruttorio e che, essendo in carcere dal 1974, e per di più detenuto in regime carcerario di isolamento, era di fatto impossibile che comunicasse con i membri dell'organizzazione ancora liberi e dunque che ordinasse quei reati di cui era imputato.

A processo avviato, dentro a un casolare di montagna con un mulo fu arrestato Michele Greco detto "Il Papa", capo della Cupola, dopo due anni di latitanza.

Il 20 giugno 1986 fu convocato Ignazio Salvo.

Conclusione

La requisitoria fu tenuta il 22 aprile 1987 dai Pubblici Ministeri Giuseppe Ayala e Domenico Signorino. Dopo 12 giorni, l'accusa chiese 28 ergastoli (compresi tutti i membri della cupola), quasi 5000 anni di carcere, 24 miliardi di lire di multa, 45 assoluzioni.

Il 30 marzo 1987 iniziarono le 32 arringhe della parte civile, 635 dei legali degli imputati. La difesa si articolò principalmente sulla tesi che i pentiti mentissero per vendicarsi.

Michele Greco dichiarò: "Io desidero fare un augurio: io vi auguro la pace, signor presidente. A tutti voi io auguro la pace. Perchè la pace è la tranquillità e la serenità dello spirito e della coscienza. Per il compito che vi aspetta [...] la tranquillità è la base fondamentale per giudicare. Non sono parole mie, sono parole di nostro Signore che lo raccomandò a Mosè: Quando deve giudicare, che ci sia la massima serenità, che è la base fondamentale. E vi auguro ancora, signor presidente, che questa pace vi accompagnerà nel resto della vostra vita, oltre a questa occasione"

L'11 novembre 1987 la Corte entrò in camera di consiglio dopo 21 mesi dall'inizio del processo.

L'esito

I numeri del Maxiprocesso

  • Durata: 21 mesi, 638 giorni
  • Camera di consiglio: 35 giorni
  • Lettura della sentenza: 1 ora e mezza

Imputati

  • 474 imputati
  • 207 detenuti
  • 102 a piede libero o in libertà provvisoria
  • 44 agli arresti domiciliari
  • 121 latitanti

Fase dibattimentale

  • 22 mesi di dibattimento
  • 349 udienze
  • 8000 pagine di verbale
  • 1314 interrogatori
  • 635 arringhe difensive

Esito

  • 360 condanne
  • 114 assoluzioni
  • 19 ergastoli
  • 2665 anni di carcere

Protagonisti

  • 900 tra testimoni e parti lese
  • 200 avvocati difensori
  • 16 giudici popolari (tra effettivi e supplenti)
  • 3000 agenti delle forze dell'ordine
  • 600 giornalisti da tutto il mondo
  • 21 pentiti

Ulteriori gradi di giudizio

Appello

Il Maxiprocesso approdò alla Corte d'Appello il per concludersi il 12 dicembre 1990. Presidente della Corte di Assise di Appello era Vincenzo Palmegiano, mentre l'accusa era sostenuta dai pg Vittorio Aliquò e Luigi Croce.


Gli imputati del secondo grado erano così ripartiti:

  • 18 assassinati dopo la fine del processo in corte d' Assise
  • 10 deceduti per cause naturali
  • 27 ancora detenuti, in gran parte componenti della commissione di Cosa nostra
  • 52 agli arresti domiciliari

mentre tutti gli altri imputati erano stati scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare.

Durante i mesi del dibattimento la Corte ascoltò negli USA il boss Gaetano Badalamenti e Tommaso Buscetta, a Roma Francesco Marino Mannoia e ad Alessandria il pentito Giuseppe Pellegriti e il neofascista Angelo Izzo. Palmegiano fu costretto a riaprire la fase dibattimentale a causa dell'irrompere sulla scenza giudiziaria di Francesco Marino Mannoia in qualità di pentito: in tutto la fase dibattimentale durò 22 mesi. L'accusa si resse ancora sulle dichiarazioni di Salvatore Contorno, Antonino Calderone, il nuovo pentito Francesco Marino Mannoia, ma sopratutto sul "Teorema Buscetta", che affermava la struttura verticistica e unitaria di Cosa Nostra. Nonostante fossero state confermate da riscontri obiettivi le dichiarazioni dei pentiti, la sentenza ridimensionò l'importanza delle loro dichiarazioni. Risultò particolarmente indebolita la visione verticistica e unitaria di Cosa Nostra, nonostante non fosse stata completamente disarticolata. I boss della Commissione ricevettero pene variabili e ingiustificabili (Ad esempio, Salvatore Riina e Michele Greco furono condannati all'ergastolo ma Bernardo Provenzano solo a 10 anni e Salvatore Greco a 6 anni, mentre altri killer come Giuseppe Lucchese Miccichè non ricevettero il massimo della pena). Addirittura rimasero impuniti gli omicidi del commissario Boris Giuliano, del capitano dei carabinieri Emanuele Basile e del Generale Dalla Chiesa, dopo otto anni e ben due processi. Restò, pur fragilmente, il principio che gli omicidi fossero commissionati ad un livello più alto dell'organizzazione, dunque alcuni membri della Commissione furono condannati come mandanti.

Affermò a riguardo Giovanni Falcone:

Noi, a proposito del teorema Buscetta, non abbiamo mai parlato della cosiddetta "responsabilità oggettiva" della Cupola. Insomma, io in questa sentenza noto soltanto alcune contraddizioni. [2]

E aggiunse che comunque era stato fatto un passo avanti sul piano dell'impunità:

"E' la prima volta, anche in grado di Appello, che resistono in misura non indifferente gli ergastoli. E questo è un fatto. Il processo di Palermo non è certo finito con una raffica di assoluzioni come quello celebrato 20 anni fa per i 114 della nuova mafia, non è finito nel nulla ma con 11 condanne a vita per altrettanti boss e sicari. L' impianto complessisivo della istruttoria ha tenuto, ha resistito" [2]


L'accusa aveva chiesto di confermare le condanne di Primo Grado in toto. Dopo un mese di camera di consiglio però l'esito fu ben diverso.

  • 12 ergastoli su 19 del primo grado
  • 258 condanne su 360

La sentenza fu considerata da alcuni disastrosa e inserita nel contesto di una "normalizzazione" dopo l'euforia del primo grado del Maxiprocesso.

Afferma Vincenzo Palmegiano:

Il giudice non può partecipare alla lotta, non può mai giudicare solo perché la folla chiede un certo tipo di sentenza.[2]

Cassazione

L'eredità

Note

  1. Tribunale di Palermo, Ufficio istruzione, Ordinanza-sentenza contro Abbate Giovanni + 706
  2. 2,0 2,1 2,2 "Io non lotto, faccio solo le sentenze, Intervista a Giovanni Falcone e Vincenzo Palmegiano, Repubblica, 12 dicembre 1990