Maxiprocesso di Palermo: differenze tra le versioni

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=== Imputati ===
=== Imputati ===
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=== La fase dibattimentale ===
=== La fase dibattimentale ===

Versione delle 09:01, 20 giu 2013


Così solo il diritto vince sul delitto, la democrazia e la civiltà sulla barbarie.
(Giuseppe Ayala)


Il Maxiprocesso di Palermo è il processo svoltosi nell'aula bunker del Carcere Ucciardone di Palermo tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987. Il processo coinvolse 468 imputati ritenuti essere membri dell'associazione Cosa Nostra.

Il processo fu considerato la prima vera reazione dello Stato Italiano nei confronti della mafia siciliana. I membri di Cosa Nostra furono per la prima volta condannati in quanto appartenti ad un'organizzazione mafiosa unitaria e di tipo verticistico. Il processo fu possibile grazie alla nascita del cosidetto Pool antimafia di Palermo. I giudici appartenti al Pool permisero di avere una visione completa del fenomeno della mafia siciliana, almeno al livello militare. Oltre all'accentramento delle indagini nelle mani di un gruppo di magistrati specializzati, l'altro elemento di forza del Maxiprocesso fu l'utilizzo dei pentiti: Tommaso Buscetta per primo, poi Salvatore Contorno ed altri collaboratori permisero di guardare dentro a Cosa Nostra come mai prima di allora.

Antefatti

Negli anni precedenti al Maxiprocesso va in scena il golpe militare che il Clan dei Corleonesi scatena per impossessarsi del comando di Cosa nostra. Dopo gli omicidi di Stefano Bontade, il 23 aprile 1981, e Salvatore Inzerillo, l'11 maggio 1981 , inizia la cosidetta mattanza. I Corleonesi uccidono centinaia di membri delle storiche famiglie della mafia palermitana dando origine alla Seconda Guerra di Mafia.

Parallelamente agli omicidi tra le cosche, i Corleonesi iniziano una politica di attacco frontale nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni. Vengono trucidati tra gli altri Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Piersanti Mattarella, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pio La Torre.

Il pool antimafia

L'intuizione per far fronte a questa tragica sequenza di morti viene da Rocco Chinnici, allora a capo dell'ufficio istruzione di Palermo. Chinnici decide di affidare le indagini sulla mafia ad un gruppo specializzato di magistrati, favorendo la circolazione e la condivisione delle informazioni. In tal modo si riuscì ad esaminare in maniera complessiva la mafia, non più analizzando soltanto ristrette porzioni del fenomeno, ma esaminandolo con uno sguardo d'insieme. Il Pool e il capo della Squadra Mobile, il vicequestore Ninni Cassarà, avviarono un'azione di contrasto a Cosa nostra come mai prima di allora. La risposta della mafia non si fece aspettare, e arrivò con l'omicidio di Rocco Chinnici, il 23 luglio 1983. A sostituirlo fu chiamato Antonino Caponetto, che portò ad un livello ancora di maggiore efficacia il funzionamento del Pool, ora composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. Fu data particolare importanza al metodo investigativo inaugurato da Giovanni Falcone e basato sull'analisi dei movimenti bancari per comprendere collegamenti che altrimenti non sarebbero mai emersi. Nel 1982 nasce la prima indagine, detta "Rapporto dei 122". Il principio della centralizzazione delle indagini ebbe come ovvia conseguenza la necessità di riunificare tutte le istruttorie in un unico processo. Aggiungendo altri filoni investigativi al nucleo di indagine originario, nacque l'embrione di quello che sarebbe poi divenuto il Maxiprocesso.

Una svolta fondamentale fu l'irrompere sulla scena di Tommaso Buscetta, nel 1984, che con le sue dichiarazioni permise uno sguardo inedito dentro a Cosa nostra.Il 29 settembre 1984, grazie alle dichiarazioni di Buscetta, scatta il blitz di San Michele durante il quale vengono eseguiti i mandati di cattura nei confronti di 366 presunti mafiosi.

I pentiti

Il ruolo dei pentiti fu fondamentale per l'avviamento delle indagini e per lo svolgersi del processo. Le loro dichiarazioni permisero una lettura innovativa dell'organizzazione Cosa nostra.

I pentiti furono 21, tra gli altri: Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno, Vincenzo Sinagra, Stefano Calzetta, Sebastiano Dattilo, Gennaro Totta, Koh Bah Kih, Rodolfo Azzoli.

Tommaso Buscetta

Tommaso Buscetta disegnò la struttura e il funzionamento di Cosa Nostra mostrando il fenomeno mafioso sotto una nuova luce. Il contributo più importante di Buscetta infatti "è consistito nell'aver offerto una chiave di lettura dei fatti di mafia, nell'aver consentito di guardare dall'interno le vicende dell'organizzazione"[1]

Le dichiarazioni principali di Buscetta possono essere sintetizzate come segue:

  • Cosa nostra: I mafiosi riferendosi all'organizzazione non parlano di mafia ma di Cosa nostra. La vita dell'organizzazione è disciplinata da un rigido regolamento di natura orale e non scritta. Queste norme regolano anche l'ingresso di uomini nella struttura mafiosa. Cosa nostra è ormai strutturata in ogni provincia siciliana, ma il centro del potere dell'organizzazione è Palermo.
  • Suddivisione territoriale: La città di Palermo è organizzata in mandamenti: le famiglie prendono il nome dal mandamento a cui appartengono. Per quanto riguarda la provincia di Palermo, le famiglie prendono il nome del paese in cui operano. Tre famiglie territorialmente limitrofe costituiscono un mandamento ed eleggono un solo rappresentante. I capi dei mandamenti palermitani e i rappresentanti dei mandamenti provinciali compongono la Commissione.
Dopo l'ascesa dei Corleonesi è nata la cosidetta Interprovinciale, che ha il compito di coordinare gli interessi di più province.
  • Commissione: La Commissione sovrintende, controlla e dispone il governo di Cosa Nostra. L'organismo ha il compito di assicurare il rispetto delle regole di Cosa Nostra e risolvere le eventuali frizioni tra famiglie. Ad esempio, per ordinare un omicidio, il rappresentante di una famiglia deve rivolgersi al capo mandamento, il quale tratterà la questione in Commissione. Nel caso dell'omicidio di un capofamiglia, l'assassinio deve avvenire con il consenso della famiglia (oltre che della Commissione). In caso contrario sono quasi inevitabili gravi conseguenze per chi trasgredisce.
Mentre in origine la figura che controllava la Commissione era quella del Commissario, successivamente fu chiamato Capo
  • Famiglia: Ogni famiglia è una struttura a base territoriale con una costituzione gerarchica. Gli uomini d'onore o soldati sono organizzati in gruppi da dieci, le decine, ciascuna delle quali è coordinata da un capodecina. La famiglia è governata da un rappresentante con nomina elettiva. Il rappresentante è poi assistito da un vicecapo e da uno o più consiglieri.

Buscetta illustrò inoltre le dinamiche che hanno portato allo scatenarsi della Seconda Guerra di Mafia, con il prevalere dello schieramento corleonese sull'ala moderata di Cosa Nostra, ovvero quella rappresentata da Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo, che avevano comandato su Palermo fino a quegli anni.

Le dichiarazioni di Tommaso Buscetta furono confermate dai riscontri, anche se la descrizione che diede il pentito di alcuni avvenimenti fu accettata con qualche riserva. La visione dell'ascesa dei Corleonesi si basava infatti su uno spinto dualismo che mostra il punto di vista unilaterale del pentito. La contrapposizione tra buoni (i membri della mafia perdente) e cattivi (i Corleonesi) è chiaramente dettata dall'appartenenza di Buscetta al primo schieramento. Nonostante i tentativi di Buscetta di ridimensionare la ferocia dei membri della fazione perdente spacciandola per "ala moderata", i boss sconfitti erano feroci assassini dall'alto spessore criminale.

Salvatore Contorno

Salvatore Contorno, detto "Coriolano della Floresta", era sopravvissuto ad un agguato dei killer dei corleonesi. Fu definito dalla Corte d'Assise "pietra miliare del processo per quanto riguarda la conoscenza dell'organizzazione mafiosa, i suoi riti, i suoi personaggi: per la comprensione del fenomeno sopratutto nei suoi aspetti pratici."[2] In particolare Contorno descrisse accuratamente il funzionamento dei gruppi di fuoco dell'ala militare di Cosa nostra, proponendo un modello di analisi che si rivelò utile nella ricostruzione di molti omicidi. Le sue dichiarazioni contribuirono all'arresto di circa 160 persone.

Nelle dichiarazioni di Contorno sono però riscontrabili alcune differenze con quello che aveva affermato Tommaso Buscetta. In particolare per quanto riguarda la composizione della Cupola, Contorno incluse tra i membri anche personaggi come Benedetto Santapaola, Mariano Agate e Leonardo Greco. La ricostruzione di Contorno fu ritenuta però meno attendibile di quella di Buscetta, dal momento che quest'ultimo, essendo di un prestigio ben maggiore, aveva una conoscenza approfondita e in prima persona dei piani più alti dell'organizzazione.

Vincenzo Sinagra

Questo individuo grigio, rozzo, indotto, disarmante nella sua ingenuità elementare, carente in modo assoluto di doti particolari e di sagacia e di furbizia, assurge tuttavia ad esempio di elevatezza morale e di civismo concreto, cedendo d'improvviso, in una sublime catarsi autopunitiva, all'impulso irrefrenabile di rigurgitare tutti i tremendi delitti di cui è stato spettatore e partecipe[2]

Vincenzo Sinagra fu un collaboratore fondamentale per la sua conoscenza di crimini e omicidi efferati. Le sue dichiarazioni, confermate da numerosi riscontri oggettivi, portarono al chiarimento delle dinamiche legate a numerosi fatti di mafi. Grazie alla sua testimonianza, ad esempio, fu scoperta la "camera della morte" di Piazza Sant'Erasmo: il luogo dove gli uomini del clan Marchese, egemone a Corso dei Mille, torturavano e uccidevano le loro vittime.

Stefano Calzetta

Stefano Calzetta fu un utile collaboratore, nonostante alcune riserve di cui si volle tener conto nel valutare le sue dichiarazioni. Furono considerate attendibili infatti solo le narrazioni di fatti di cui era stato testimone. Inoltre, i continui ripensamenti sul suo pentimento (si finse pazzo e disse di aver avuto un'amnesia) e sulle dichiarazioni, furono un altro elemento che indusse la Corte ad agire con prudenza. Calzetta inoltre non era affiliato ufficialmente a Cosa nostra, infatti al Maxiprocesso fu assolto per insufficienza di prove in merito all'accusa di 416bis.

Le origini della sua collaborazione con la giustizia sono probabilmente da ricercare nel timore di essere ucciso, dal momento che Calzetta aveva parlato del ruolo di Mario Prestifilippo nella Strage di Via Isidoro Carini.

Prima del processo

Il processo prese le mosse con molte difficoltà. Gli avvocati degli imputati speravano di riuscire a farlo trasferire altrove, in modo che i giudici fossero meno esperti in fatto di mafia. Inoltre, temendo ritorsioni, inizialmente soltanto 4 giudici popolari accettarono l'incarico. Alla fine ne furono scelti 16: più del neccessario per paura di rinunce o attentati. Per quanto riguarda il presidente fu scelto Alfonso Giordano che proveniva dalla magistratura civile e non penale.

Parte dei media si rivelò ostile al processo, sostenendo che fosse impossibile processare un'intera organizzazione e che ciò comportasse un enorme spreco di denaro e risorse, oltre ad essere dannoso per l'immagine della città. Per gli stessi motivi, la cittadinanza si trovò spaccata tra i sostenitori e i critici del processo.

Il comune di Palermo, per volere del sindaco Leoluca Orlando, si costituì parte civile.

L'istruttoria e l'ordinanza di rinvio a giudizio

L'aula bunker

L'aula bunker fu costruita in Via Enrico Albanese, all'interno del complesso del carcere Ucciardone, per permettere uno spostamento agevole dei detenuti.

L'aula fu provvista di sofisticati sistemi di sicurezza, porte blindate e vetri antiproiettile per evitare il rischio di attentati e fughe, mentre il soffitto fu costruito in modo che potesse resistere ad attacchi aerei.

Il processo

Il processo si aprì in una situazione di enorme tensione e di grande attenzione mediatica. Cosa Nostra impose il silenzio militare fino alla sentenza, e il numero di omicidi si ridusse in modo considerevole.

Con un apposito decreto del 6 febbraio 1986, furono nominati:

Il 10 febbraio 1986, tre mesi dopo l'ordinanza di rinvio a giudizio, il processo cominciò ufficialmente.

Imputati

La fase dibattimentale

Nella fase dibattimentale, furono numerosi gli episodi di tensione. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinagra ebbe numerose crisi nervose che portarono all'intervento delle forze dell'ordine. Anche gli imputati nelle celle mostrarono spesso segni di nervosismo. Alfredo Bono partecipò alle udienze su una lettiga, a causa della malattia.

Il 20 febbraio 1986 fu arrestato a Ciaculli Michele Greco detto "il Papa", capo della Cupola di Cosa nostra.

L'unico confronto fu quello tra Tommaso Buscetta e Pippo Calò.

Il 9 aprile 1986 Luciano Leggio chiese il confronto con Tommaso Buscetta. Chiesero il confronto anche Giuseppe Bona e Tommaso Spadaro che dichiarò di essere in possesso di documenti che dimostravano la falsità delle dichiarazioni del pentito. I confronti non furono poi eseguiti. Leggio dichiarò di essersi avvalso della facoltà di non rispondere, in fase istruttoria, perchè temeva che le sue dichiarazioni sarebbero divenute pubbliche. Leggio affermò infatti di non credere nell'efficacia del segreto istruttorio e che, essendo in carcere dal 1974, e per di più detenuto in regime carcerario di isolamento, era di fatto impossibile che comunicasse con i membri dell'organizzazione ancora liberi e dunque che ordinasse quei reati di cui era imputato.

A processo avviato, dentro a un casolare di montagna con un mulo fu arrestato Michele Greco detto "Il Papa", capo della Cupola, dopo due anni di latitanza.

Il 20 giugno 1986 fu convocato Ignazio Salvo.

Conclusione

La requisitoria fu tenuta il 22 aprile 1987 dai Pubblici Ministeri Giuseppe Ayala e Domenico Signorino. Dopo 12 giorni, l'accusa chiese 28 ergastoli (compresi tutti i membri della cupola), quasi 5000 anni di carcere (esattamente 46 secoli, 75 anni e 11 mesi), quasi 24 miliardi di lire di multa (esattamente 23 miliardi 734 milioni 700 mila lire), 45 assoluzioni.

Il 30 marzo 1987 iniziarono le 32 arringhe della parte civile, 635 dei legali degli imputati. La difesa si articolò principalmente sulla tesi che i pentiti mentissero per vendicarsi, o comunque sull'inattendibilità delle loro dichiarazioni.

Il "Papa", capo della Commissione di Cosa nostra, Michele Greco dichiarò: "Io desidero fare un augurio: io vi auguro la pace, signor presidente. A tutti voi io auguro la pace. Perchè la pace è la tranquillità e la serenità dello spirito e della coscienza. Per il compito che vi aspetta [...] la tranquillità è la base fondamentale per giudicare. Non sono parole mie, sono parole di nostro Signore che lo raccomandò a Mosè: Quando deve giudicare, che ci sia la massima serenità, che è la base fondamentale. E vi auguro ancora, signor presidente, che questa pace vi accompagnerà nel resto della vostra vita, oltre a questa occasione"

L'11 novembre 1987 alle 11.15 la Corte entrò in camera di consiglio dopo 21 mesi dall'inizio del processo.

L'esito

Il 16 dicembre 1987 alle 18,07, conclusasi la camera di consiglio, il Presidente Alfonso Giordano iniziò la lettura delle 54 pagine della sentenza terminando alle ore 19,35. La lettura del dispositivo fu effettuata per capi d'imputazione.

Per conoscere tutte le condanne vedi Imputati del Maxiprocesso di Palermo

I numeri del Maxiprocesso

  • Documentazione: 500.000 pagine

Durata

  • Processo: 21 mesi, 638 giorni
  • Camera di consiglio: 35 giorni (387 ore)
  • Lettura della sentenza: 1 ora e mezza

Imputati

  • 474 imputati
  • 207 detenuti
  • 102 a piede libero o in libertà provvisoria
  • 44 agli arresti domiciliari
  • 121 latitanti

Fase dibattimentale

  • 22 mesi di dibattimento
  • 349 udienze
  • 8000 pagine di verbale (40 volumi)
  • 1314 interrogatori
  • 635 arringhe difensive

Esito

  • 360 condanne (74 in contumacia)
  • 114 assoluzioni
  • 19 ergastoli
  • 2665 anni di carcere
  • 11.5 miliardi di multe

Protagonisti

  • 900 tra testimoni e parti lese
  • 200 avvocati difensori
  • 16 giudici popolari (tra effettivi e supplenti)
  • 3000 agenti delle forze dell'ordine
  • 600 giornalisti da tutto il mondo
  • 21 pentiti

Ulteriori gradi di giudizio

Appello

Il Maxiprocesso approdò alla Corte d'Appello il per concludersi il 12 dicembre 1990. Presidente della Corte di Assise di Appello era Vincenzo Palmegiano, mentre l'accusa era sostenuta dai pg Vittorio Aliquò e Luigi Croce.


Gli imputati del secondo grado erano così ripartiti:

  • 18 assassinati dopo la fine del processo in corte d' Assise
  • 10 deceduti per cause naturali
  • 27 ancora detenuti, in gran parte componenti della commissione di Cosa nostra
  • 52 agli arresti domiciliari

mentre tutti gli altri imputati erano stati scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare.

Durante i mesi del dibattimento la Corte ascoltò negli USA il boss Gaetano Badalamenti e Tommaso Buscetta, a Roma Francesco Marino Mannoia e ad Alessandria il pentito Giuseppe Pellegriti e il neofascista Angelo Izzo. Palmegiano fu costretto a riaprire la fase dibattimentale a causa dell'irrompere sulla scenza giudiziaria di Francesco Marino Mannoia in qualità di pentito: in tutto la fase dibattimentale durò 22 mesi. L'accusa si resse ancora sulle dichiarazioni di Salvatore Contorno, Antonino Calderone, il nuovo pentito Francesco Marino Mannoia, ma sopratutto sul "Teorema Buscetta", che affermava la struttura verticistica e unitaria di Cosa Nostra. Nonostante fossero state confermate da riscontri obiettivi le dichiarazioni dei pentiti, la sentenza ridimensionò l'importanza delle loro dichiarazioni. Risultò particolarmente indebolita la visione verticistica e unitaria di Cosa Nostra, nonostante non fosse stata completamente disarticolata. I boss della Commissione ricevettero pene variabili e ingiustificabili (Ad esempio, Salvatore Riina e Michele Greco furono condannati all'ergastolo ma Bernardo Provenzano solo a 10 anni e Salvatore Greco a 6 anni, mentre altri killer come Giuseppe Lucchese Miccichè non ricevettero il massimo della pena). Addirittura rimasero impuniti gli omicidi del commissario Boris Giuliano, del capitano dei carabinieri Emanuele Basile e del Generale Dalla Chiesa, dopo otto anni e ben due processi. Restò, pur fragilmente, il principio che gli omicidi fossero commissionati ad un livello più alto dell'organizzazione, dunque alcuni membri della Commissione furono condannati come mandanti.

Affermò a riguardo Giovanni Falcone:

Noi, a proposito del teorema Buscetta, non abbiamo mai parlato della cosiddetta "responsabilità oggettiva" della Cupola. Insomma, io in questa sentenza noto soltanto alcune contraddizioni. [3]

E aggiunse che comunque era stato fatto un passo avanti sul piano dell'impunità:

"E' la prima volta, anche in grado di Appello, che resistono in misura non indifferente gli ergastoli. E questo è un fatto. Il processo di Palermo non è certo finito con una raffica di assoluzioni come quello celebrato 20 anni fa per i 114 della nuova mafia, non è finito nel nulla ma con 11 condanne a vita per altrettanti boss e sicari. L' impianto complessisivo della istruttoria ha tenuto, ha resistito" [3]


L'accusa aveva chiesto di confermare le condanne di Primo Grado in toto. Dopo un mese di camera di consiglio però l'esito fu ben diverso.

  • 12 ergastoli su 19 del primo grado
  • 258 condanne su 360

La sentenza fu considerata da alcuni disastrosa e inserita nel contesto di una "normalizzazione" dopo l'euforia del primo grado del Maxiprocesso.

Afferma Vincenzo Palmegiano:

Il giudice non può partecipare alla lotta, non può mai giudicare solo perché la folla chiede un certo tipo di sentenza.[3]

Cassazione

L'eredità

Note

  1. Tribunale di Palermo, Ufficio istruzione, Ordinanza-sentenza contro Abbate Giovanni + 706
  2. 2,0 2,1 Tribunale di Palermo, Corte di Assise, Sentenza contro Abbate Giovanni + 459
  3. 3,0 3,1 3,2 "Io non lotto, faccio solo le sentenze, Intervista a Giovanni Falcone e Vincenzo Palmegiano, Repubblica, 12 dicembre 1990