Modello dell'Industria di protezione privata: differenze tra le versioni

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La Mafia come '''industria della protezione privata''' è un modello interpretativo del fenomeno mafioso proposto da [[Diego Gambetta]] agli inizi degli anni '90.
 
Secondo questo modello, la mafia si sarebbe caratterizzata, sin dalle sue prime manifestazione, come un caso particolare di una specifica attività economica: essa sarebbe «''un'industria che produce, promuove e vende protezione privata''»<ref>Gambetta D., La mafia siciliana. Un'industria della protezione privata, Torino, Einaudi, 1992, p. VII</ref>, che si impone in situazioni di assenza di fiducia nelle transazioni commerciali e di assenza di un'autorità statale credibile che offra sicurezza ai traffici commerciali e sia capace di amministra la giustizia.
 
I mafiosi non sarebbero né imprenditori di beni illegali, né imprenditori violenti di beni legali, ma si occuperebbero esclusivamente di vendere un servizio, la protezione, operando principalmente nei settori caratterizzati da transazioni instabili e nei quali la fiducia appare fragile o assente.
 
L'acquisto di protezione, sia nei mercati legali che in quelli illegali, può rivelarsi frutto non di imposizioni ma di una scelta razionale utilitaristica, corrispondente agli interessi di determinati soggetti, come ad esempio dirimere dispute, proteggersi dalla concorrenza o punire alleati sleali, recuperare crediti o merce rubata. Tutto questo non andrebbe confuso con l'estorsione, che impone un pagamento «''per evitare danni minacciati da un preteso protettore senza poter chiedere nulla in cambio''»<ref>ivi, p.X</ref>.
 
Per Gambetta, «offrire protezione da pericoli e sfiducia che in realtà è essa stessa a creare» è un luogo comune, mentre l'organizzazione mafiosa si adopererebbe ad «''immettere nel mercato dosi limitate di sfiducia, in modo da aumentare la domanda della sua merce, ossia di protezione.''»<ref>ivi, p.18</ref>
 
In questa prospettiva, l'uso della violenza si connoterebbe come un mezzo piuttosto che un fine: la protezione farebbe affidamento sulla capacità di usare la forza, ma non coinciderebbe con questa.
 
Benché il sistema dell'industria mafiosa della protezione riesca a tutelare determinati interessi privati, presenterebbe effetti fortemente negativi sul benessere complessivo della cittadinanza e sullo sviluppo economico, in quanto, oltre a produrre un'alterazione delle dinamiche di mercato, privatizzerebbe beni come l'amministrazione della giustizia, la protezione dei diritti individuali, l'assegnazione delle cariche pubbliche, le elezioni politiche.
 
== Critiche ==
La tesi di Gambetta è stata critica perché ha fortemente sottovalutato altri aspetti del fenomeno mafioso, quali le pratiche estorsive dirette peraltro esse stesse a creare artificialmente il bisogno di protezione<ref>cfr Lupo Salvatore, Storia della Mafia, Roma, Donzelli, 2004, pp.24 e ss.</ref>, non cogliendo la dimensione di esercizio del potere e del controllo del territorio connesso alla pratica delle estorsioni, finendo per riproporre in forme nuove la vecchia tesi della mafia come prodotto di un vuoto dello Stato e del Mercato, che considera il fenomeno come residuale e legato all'arretratezza economica, e appare quindi inadeguata a spiegare la persistenza e l'espansione al di fuori degli originali contesti di insediamento delle organizzazioni mafiose.
 
== Bibliografia ==
* Gambetta D., La mafia siciliana. Un'industria della protezione privata, Torino, Einaudi, 1992
 
== Note ==
<references></references>
 
[[Categoria:Le associazioni criminali di stampo mafioso]]
[[Categoria:Le associazioni criminali di stampo mafioso]]

Versione delle 11:29, 30 ott 2015

La Mafia come industria della protezione privata è un modello interpretativo del fenomeno mafioso proposto da Diego Gambetta agli inizi degli anni '90.

Secondo questo modello, la mafia si sarebbe caratterizzata, sin dalle sue prime manifestazione, come un caso particolare di una specifica attività economica: essa sarebbe «un'industria che produce, promuove e vende protezione privata»[1], che si impone in situazioni di assenza di fiducia nelle transazioni commerciali e di assenza di un'autorità statale credibile che offra sicurezza ai traffici commerciali e sia capace di amministra la giustizia.

I mafiosi non sarebbero né imprenditori di beni illegali, né imprenditori violenti di beni legali, ma si occuperebbero esclusivamente di vendere un servizio, la protezione, operando principalmente nei settori caratterizzati da transazioni instabili e nei quali la fiducia appare fragile o assente.

L'acquisto di protezione, sia nei mercati legali che in quelli illegali, può rivelarsi frutto non di imposizioni ma di una scelta razionale utilitaristica, corrispondente agli interessi di determinati soggetti, come ad esempio dirimere dispute, proteggersi dalla concorrenza o punire alleati sleali, recuperare crediti o merce rubata. Tutto questo non andrebbe confuso con l'estorsione, che impone un pagamento «per evitare danni minacciati da un preteso protettore senza poter chiedere nulla in cambio»[2].

Per Gambetta, «offrire protezione da pericoli e sfiducia che in realtà è essa stessa a creare» è un luogo comune, mentre l'organizzazione mafiosa si adopererebbe ad «immettere nel mercato dosi limitate di sfiducia, in modo da aumentare la domanda della sua merce, ossia di protezione.»[3]

In questa prospettiva, l'uso della violenza si connoterebbe come un mezzo piuttosto che un fine: la protezione farebbe affidamento sulla capacità di usare la forza, ma non coinciderebbe con questa.

Benché il sistema dell'industria mafiosa della protezione riesca a tutelare determinati interessi privati, presenterebbe effetti fortemente negativi sul benessere complessivo della cittadinanza e sullo sviluppo economico, in quanto, oltre a produrre un'alterazione delle dinamiche di mercato, privatizzerebbe beni come l'amministrazione della giustizia, la protezione dei diritti individuali, l'assegnazione delle cariche pubbliche, le elezioni politiche.

Critiche

La tesi di Gambetta è stata critica perché ha fortemente sottovalutato altri aspetti del fenomeno mafioso, quali le pratiche estorsive dirette peraltro esse stesse a creare artificialmente il bisogno di protezione[4], non cogliendo la dimensione di esercizio del potere e del controllo del territorio connesso alla pratica delle estorsioni, finendo per riproporre in forme nuove la vecchia tesi della mafia come prodotto di un vuoto dello Stato e del Mercato, che considera il fenomeno come residuale e legato all'arretratezza economica, e appare quindi inadeguata a spiegare la persistenza e l'espansione al di fuori degli originali contesti di insediamento delle organizzazioni mafiose.

Bibliografia

  • Gambetta D., La mafia siciliana. Un'industria della protezione privata, Torino, Einaudi, 1992

Note

  1. Gambetta D., La mafia siciliana. Un'industria della protezione privata, Torino, Einaudi, 1992, p. VII
  2. ivi, p.X
  3. ivi, p.18
  4. cfr Lupo Salvatore, Storia della Mafia, Roma, Donzelli, 2004, pp.24 e ss.