Operazione Isola

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L'Operazione Isola è stata un'inchiesta della DDA di Milano sulle presunte attività della 'ndrangheta crotonese in Lombardia, le cui indagini vennero condotte tra l'ottobre 2004 e il maggio 2007 dalla Compagnia dei Carabinieri di Sesto San Giovanni (MI).

L'operazione, scattata il 16 marzo 2009, portò all'iscrizione nel registro degli indagati di 31 persone e a 22 richieste di custodia cautelare per vari reati, tra cui associazione mafiosa, detenzione e porto illegale di armi da guerra e comuni da sparo, tentato omicidio, estorsione, violazione dei provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa, nonché concessione in subappalto, senza autorizzazione, di opere riguardanti la pubblica amministrazione. Gli arresti vennero eseguiti nelle province di Milano, Taranto, Crotone e Catanzaro.

Nel corso dell'operazione fu data esecuzione a 18 decreti di perquisizione a carico di altri indagati a vario titolo coinvolti nell'indagine, presso domicili e sedi di imprese in provincia di Milano, Como, La Spezia, Bergamo e Alessandria.

Antefatti

Nel corso della notte tra il 3 e il 4 ottobre 2004 vennero esplosi quattro colpi di arma da fuoco contro la facciata di una casa di via Eugenio Curiel 29, a Cologno Monzese, mentre uno colpì la fiancata della Mercedes ML 400 di proprietà di Marcello Paparo, figlio di Domenico Paparo detto Micu, parcheggiata lì di fronte. I Carabinieri sospettarono sin da subito si trattasse di una ritorsione nei confronti di Paparo, cosa che venne confermata dalle indagini successive. Era in corso infatti la faida tra gli Arena e i Nicoscia a Isola di Capo Rizzuto e lo stesso Paparo temeva per la sua vita, tanto da girare armato.

L'arresto di Marcello Paparo

Il 17 febbraio 2005 Marcello Paparo venne arrestato dai Carabinieri di Sesto San Giovanni durante un controllo stradale, in via San Maurizio Al Lambro di Cologno Monzese (MI), proprio perché in possesso di una pistola semiautomatica marca “Beretta” mod. 81 cal. 7.65, risultata rubata.

Le successive perquisizioni negli immobili di sua proprietà, in particolare quello di via Mazzini 1 a Carugate (Mi), portarono anche al sequestro di un revolver mod. 357 Magnum con matricola abrasa, 3 passamontagna, una rilevante somma di denaro e una chiave relativa ad una cassetta di sicurezza della Banca San Paolo IMI di Vimercate, all’interno della quale i Carabinieri trovarono circa 125mila euro in contanti e numerosa documentazione riguardante la società "Immobiliare Caterina"[1].

Le intercettazioni telefoniche e ambientali disposte dagli inquirenti dimostrarono che le armi sequestrate a Paparo il giorno dell'arresto non erano le uniche in suo possesso e che lo stesso era al centro di una fitta rete di rapporti personali ed economici leciti ed illeciti nei quali era sostenuto e aiutato da altri membri della famiglia, in particolare dalla figlia Luana, dal fratello Romualdo e da alcuni esponenti della 'ndrina Nicoscia.

Il pestaggio di Nicola Padulano

Il 15 settembre 2006 Nicola Padulano, dipendente della cooperativa Coop. Service Time di Brugherio, fu vittima di un pestaggio che gli procurò una frattura cranica e fratture multiple al volto e alla gamba destra, con ricovero in ospedale in prognosi riservata. Padulano svolgeva attività sindacale all'interno della cooperativa, che si occupava del facchinaggio per conto della SMA di Segrate, promuovendo azioni a tutela dei lavoratori che risultavano sgradite alla dirigenza che si era lamentata con Paparo.

Il pestaggio, come rivelarono le intercettazioni ambientali, venne ordinato da Marcello Paparo con la mediazione di Michele Ciulla, mentre l'esecutore materiale fu Mohamed Hassan Amhed Zeir.

Il subappalto nei cantieri dell'Alta Velocità Milano-Venezia

Gli inquirenti accertarono anche che tra maggio e luglio 2006 erano stati subappaltati “in nero” lavori di movimento terra nei cantieri dell'Alta Velocità, in aperta violazione delle norme di legge, alla società “P. & P. srl” dei Paparo, da parte della società "Locatelli Geom.Gabriele S.p.a.", subappaltatrice della "De Lieto Costruzioni Generali S.p.a." per la realizzazione di lavori ed opere civili, armamento, riambientalizzazione e mitigazione ambientale della tratta Pioltello-Pozzuolo Martesana. La De Lieto era a sua volta titolare dell’appalto stipulato con le Ferrovie dello Stato per il quadruplicamento della linea ferroviaria Milano-Venezia per conto della concessionaria "Italferr S.p.a."[2]

A seguito di un'ispezione nel cantiere di Melzo, la Locatelli, attraverso il geometra Nicola Scipione, decise di mascherare il lavoro della P&P con un contratto di nolo a caldo retrodatato al 9 gennaio 2004, non registrato, compatibile con la normativa antimafia. Anche la De Lieto era a conoscenza di questo escamotage e, anzi, suggerì accorgimenti su come far proseguire i lavori ai Paparo.[3]

La normativa antimafia dell'epoca infatti prevedeva (e prevede tuttora) il divieto di subappalto di opere ricevute in subappalto (il cosiddetto «subappalto a cascata»), ad eccezione della posa in opera di alcuni impianti, strutture e opere speciali (impianti trasportatori, ascensori, scale mobili, di sollevamento e trasporto, impianti pneumatici e antintrusione, strutture ed elementi prefabbricati), che comunque sono soggetti alle medesime autorizzazioni previste per i subappalti diretti.

Il Consorzio Ytaka e il fallito ingresso in Esselunga

Tra le diverse attività della galassia dei Paparo, c'era anche il Consorzio di Imprese Ytaka di viale Europa 26 a Brugherio (MI), formalmente amministrato da Luana Paparo ma di fatto gestito dal padre. Proprio quest'ultimo aveva manifestato interesse nell'acquisire appalti dalla catena di supermercati Esselunga, che nel 2007 stava per aprire un nuovo magazzino a Biandrate, in provincia di Novara.[4]

L'appalto principale di Esselunga fu vinto da "RAD Logistica", di cui erano presidente Luigi Ravanelli e vicepresidente Giovanni Apollonio, mentre per il servizio di facchinaggio era stata chiamato il consorzio di cooperative S.A.F.R.A., presieduto da Onorio Longo.

Attraverso Ravanelli, Paparo cercò di far deliberare l'ingresso della RAD nel consorzio di cooperative Ytaka, per inserirsi nell'appalto Esselunga. L'affare era cospicuo, dato che la fornitura complessiva di logistica alla catena di supermercati rappresentava circa l'80% del fatturato complessivo della RAD ed era pari a circa 13 milioni di euro per l'ultimo anno sociale. Il progetto di Paparo e Ravanelli era stato però fortemente contrastato da Giovanni Apollonio, che aveva convinto gli altri amministratori a mantenere l'indipendenza della cooperativa. Nonostante questo, Ravanelli tentò comunque di far andare in porto l'affare, entrando temporaneamente nel CdA del consorzio Ytaka (allora concorrente della RAD), sfruttando il doppio ruolo per avviare, senza successo, le trattative con Esselunga.

Durante le trattative, Ravanelli e sua moglie, Graziella Marinaro, coinvolsero anche Alessandro Manno e Cosimo Maiolo, della 'ndrina Manno-Maiolo operante a Pioltello e originaria di Caulonia (RC). I due soggetti, appellati durante le conversazioni telefoniche con i termini "compare" e "comparello" dai coniugi, vennero coinvolti per risolvere le ostilità all'interno del consiglio d'amministrazione della RAD. In un'intercettazione in particolare, la moglie di Ravanelli rassicurava Paparo dicendogli di aver incaricato “dei personaggi che hanno le palle quadrate sotto![5].

Ciononostante, l'affare Esselunga sfumò lo stesso.

Il "sistema a chiamata diretta" per la spartizione degli appalti

Dalle indagini emerse anche come fosse possibile aggirare la normativa antimafia prevista per le "Grandi Opere" e come la 'ndrangheta avesse un vero e proprio monopolio nel settore del movimento terra. Difatti, questo settore non richiede competenze tecniche particolare e, di conseguenza, dai contratti fino ai progetti esecutivi dell'opera, passando per i cantieri e la filiera del cemento, pochissimo viene documentato e regolamentato, dato che le opere richieste sono relativamente semplici. Viene quindi a crearsi una zona d'ombra all'interno della quale si inserisce la criminalità organizzata, che regola anche la distribuzione dei subappalti, con conseguente alterazione delle regole del libero mercato e della concorrenza.[6]

Nel caso specifico, nel vero e proprio sistema imperniato sulla ’ndrangheta i lavori erano assegnati per “chiamata diretta”, nel più rigoroso rispetto delle logiche di potere della ’ndrangheta, prescindendo o anche contro la volontà dell’imprenditore appaltatore dei lavori. Le ragioni consistevano nella acquiescenza e nella soggezione al “sistema”, a seguito di forme di intimidazione “ambientale”. Da altre indagini emerse che “Il sistema per chiamata diretta” per l’esecuzione dei lavori di movimento terra nei cantieri dell'Alta Velocità nella zona di Cassano d’Adda, di Melzo e dell’hinterland milanese era egemonizzato dalle 'ndrine Nicoscia, Arena e Barbaro, sotto la regia di quest'ultima.

Nelle diverse intercettazioni disposte dagli inquirenti, emersero chiari riferimenti a Pasquale Barbaro come regista unico del sistema, un fatto che venne riportato anche nell'informativa dei Carabinieri di Sesto San Giovanni dell'11 marzo 2008:

"Chiamare i BARBARO famiglia mafiosa è riduttivo, sarebbe meglio chiamarlo “Gruppo Barbaro” , poiché sotto tale nome si racchiudono le famiglie della ‘ndragheta dei Barbaro, Nigru, Perre, Trimboli, Agresta, Catanzariti, Sergi, Papalia, Musitano e Molluso. Tale gruppo malavitoso è presente in numerose regioni italiane con ramificazioni anche all’estero. Attraverso le innumerevoli operazioni di polizia giudiziaria che lo hanno visto coinvolto, si è appurato che in Lombardia tale gruppo mafioso è fortemente radicato nei comuni di Milano, Buccinasco, Corsico, Cornaredo, Assago, Alagna, Lomellina e Pavia."[7]

L’egemonia dei "Barbaro-Castano” nel contesto economico e territoriale nell’hinterland milanese e il ruolo di Pasquale Barbaro emersero anche dalle indagini svolte dal GICO della Guardia di Finanza di Milano, come riportate nell’informativa del 5 ottobre 2006 contenuta nell'Operazione Cerberus.

Il sistema venne rispettato anche per i lavori di movimento terra per la realizzazione della quarta corsia dell’autostrada A4 Milano-Bergamo: nella logica di spartizione degli affari, entrò anche la già citata "P&P Srl" dei Paparo, che, sebbene non convinta di entrare nell'affare, fu costretta dalle regole del "sistema".

Il processo

Il 19 febbraio 2010 il gup Giuseppe Vanore rinviò a giudizio Marcello Paparo e altri 13 tra gli indagati per i reati contestati nell'ordinanza di custodia cautelare, mentre prosciolse dall'accusa di detenzione di armi Pasquale Manfredi. Nei confronti degli altri indagati giudicati con rito abbreviato, il gup emise due sentenze di condanna a 4 anni e 8 mesi per associazione mafiosa nei confronti di Sergio Paparo e Francesco Tallarico (i pm ne avevano chiesti solo 4), mentre assolse Salvatore e Antonio Nicoscia, Antonio Gualtieri, Raffaele e Antonio Bubbo. Nel corso dell'udienza preliminare si costituì parte civile l'azienda di grande distribuzione Sma di Segrate.

Il processo si aprì il 29 aprile presso il Tribunale di Monza, con imputati:

  • Marcello Paparo
  • Luana Paparo
  • Romualdo Paparo
  • Salvatore Paparo
  • Domenico Paparo
  • Vincenzo Paparo
  • Michele Ciulla
  • Mirko Sala
  • Carmelo Verterame
  • Carmelo La Porta
  • Nicola Scipione
  • Roberto Tadolti
  • Giovanni Pizzigoni
  • Raffaele Papale

Contro i Paparo testimoniò durante il processo Domenico Nista, divenuto collaboratore di giustizia. Il 10 maggio 2012 il fratello Giuseppe venne ucciso a colpi di pistola in pieno centro storico a Vimodrone.

La sentenza di primo grado

Il 23 febbraio 2011 il tribunale di Monza condannò gli imputati per gli altri reati contestati, ma non per associazione mafiosa. In particolare, Marcello Paparo venne condannato a sei anni di reclusione per possesso di armi, per aver ordinato il pestaggio di Nicola Padulano, mentre le due accuse di tentato omicidio caddero durante il dibattimento.[8]

Ulteriori gradi di giudizio

Primo Appello

Il 18 maggio 2012 la Corte d'Appello di Milano confermò invece la sussistenza del reato di associazione mafiosa per sei degli imputati, condannando a 12 anni e 7 mesi Marcello Paparo, a 4 anni e 8 mesi sua figlia Luana, a 10 anni 2 mesi suo fratello Romualdo, a 7 anni Carmelo La Porta, a 7 anni e 9 mesi Salvatore Paparo e a 6 anni e 4 mesi Michele Ciulla.[9]

La Corte d’appello ritenne provata l’esistenza della ’ndrina dei Paparo, strutturata su legami familiari e al centro di una serie di cooperative e attività apparentemente legali, che si traducevano in condotte finalizzate, per un verso, a sfruttare le sinergie criminali e i rapporti di cointeressenza conseguenti alla presenza di cosche «amiche» nel settore del movimento terra, e, per altro verso, a sottomettere al proprio interesse gli interlocutori dell’attività imprenditoriale svolta nell’ambito della logistica, mediante i metodi dell’intimidazione e del controllo illegale delle attività economiche.

Secondo la Corte, la forza dell’associazione era tale da imporre i Paparo agli operatori economici del settore delle opere pubbliche, in particolare di quelle relative alla realizzazione del raddoppio della linea ferroviaria Milano-Venezia dell'Alta velocità e della quarta corsia dell’Autostrada A4, nelle tratte dell’hinterland milanese e in Lombardia. L’inserimento in queste opere avvenne mediante l’assegnazione di subappalti per il movimento e il trasporto terra, eseguiti secondo il sistema e le regole di spartizione della ’ndrangheta.

Il sodalizio era altresì finalizzato all’acquisizione di appalti privati nel settore della logistica – facchinaggio, trasporto e pulizie – e anche in tali appalti i Paparo si avvalevano della forza intimidatrice del vincolo associativo, della condizione di assoggettamento e di omertà delle vittime, realizzate, oltre che mediante le modalità suddette, anche con il sistematico ricorso all’uso di violenza e minaccia, che erano culminate in gravissimi delitti contro le persone, le cose e le aziende concorrenti.

La Corte d'Appello sostenne inoltre che «si tratta, all’evidenza, di nuove e più evolute forme comportamentali di adattamento e di «mimetizzazione» rispetto alla storica iconografia di mafia, sì che a nulla rileva il fatto, semmai ricercato dall’attuale «mafia imprenditrice», che nessuno, tra le forze dell’ordine o i collaboratori di giustizia che hanno ricostruito le vicende delle cosche storiche, conoscesse la ’ndrina dei Paparo o che nulla risulti in merito a una formale affiliazione di Marcello Paparo alla ’ndrangheta, tanto più che le indagini a suo carico iniziavano solo nel mese di ottobre 2004, a seguito dell’attentato subito»[10].

Cassazione

Il 22 ottobre 2013 la Cassazione annullò con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Milano, ordinando un nuovo processo d'appello per quanto riguarda il reato di associazione mafiosa, confermando invece le condanne per i “reati fine“, tra i quali detenzione illegale di armi, lesioni aggravate e violenza privata[11].

In questo modo saltò un'altra condanna per associazione mafiosa in Lombardia, la terza volta in un anno dopo quanto accaduto nei processi “Cerberus” e “Parco Sud”.

La Suprema Corte accolse il ricorso proposto dalla difesa (rappresentata dall’Avv. Amedeo Rizza), rilevando la mancanza totale di una specifica disamina fondata sulla esposizione di circostanze di fatto o considerazioni logiche utili a superare “ogni ragionevole dubbio” in merito alla presenza della fattispecie del reato associativo.

La Cassazione ha posto l’attenzione sulla mancanza dell’onere probatorio in tema associativo, circa alcuni aspetti come: la reale esistenza di una “‘ndrina dei Paparo” operante nell’hinterland milanese e, come diretta conseguenza, la totale mancanza di “fama”, intesa come valore necessario per acquisire la forza di intimidazione per poter dar vita alle condizioni di assoggettamento ed omertà, caratterizzanti la fattispecie del 416 bis, contestando la totale superficialità delle indagini, ritenute non supportate da adeguati e corretti procedimenti logico-valutativi.

Tuttavia, la Cassazione confermò i reati fine legati alla detenzione illegale di armi, lesioni e concorrenza illecita mediante violenza e minaccia; in particolare, i casi confermati furono la detenzione di una Beretta 7,65 con matricola abrasa rintracciata dai carabinieri nel cruscotto del suv di Marcello Paparo e il pestaggio di Nicola Padulano, lasciato a terra con il cranio fratturato a Segrate, nel 2006.

Appello bis

Il 4 febbraio 2016 la Corte d'Appello di Milano stabilì che i Paparo non potevano essere considerati “espressione delle potenti cosche della 'ndrangheta di Isola Capo Rizzuto”, ma solamente “imprenditori spregiudicati[12].


Note

  1. Caterina Interlandi, Ordinanza di custodia cautelare in carcere - Procedimento Penale n. 10354/05 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 3 marzo 2009, p. 22
  2. ibidem, p.79 e ss.
  3. ibidem, p.93 e ss.
  4. ibidem, p.97 e ss.
  5. ibidem, p.109
  6. ibidem, p.297 e ss.
  7. ibidem, p.310
  8. Mario Portanova, La ‘ndrangheta investe nella tav al Nord? Il giudice dice no e toglie l’associazione mafiosa, Il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2011
  9. Mario Portanova, Tav e logistica, la mafia c’era. A Milano condanne per 416 bis al clan Paparo, Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2012
  10. citato in Commissione Parlamentare Antimafia, Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella Regione Lombardia, Roma, 12 dicembre 2012, p.75
  11. Mario Portanova, ‘Ndrangheta in Lombardia, cade in Cassazione un altro processo per mafia, Il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2013
  12. Federico Berni, Brugherio: per la Corte d’Appello i Paparo non sono mafiosi ma “imprenditori spregiudicati”, Il Cittadino di Monza e Brianza, 6 febbraio 2016

Bibliografia

  • Commissione Parlamentare Antimafia, Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella Regione Lombardia, Roma, 12 dicembre 2012
  • Caterina Interlandi, Ordinanza di custodia cautelare in carcere - Procedimento Penale n. 10354/05 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 3 marzo 2009