Pentitismo

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«La tistimunianza è bona, ‘nsina chi nun noci a lu prossimu»
Proverbio Siciliano


Il pentitismo come fenomeno rilevante ai fini della lotta alla mafia ha cominciato a svilupparsi a partire dalla prima metà degli anni Ottanta, in particolare con l'avvio del primo Maxiprocesso di Palermo contro Cosa Nostra.

La stagione dei grandi «pentiti», come vennero impropriamente definiti i collaboratori di giustizia, fu inaugurata da Tommaso Buscetta, che il 18 luglio 1984, tre giorni dopo la sua estradizione in Italia, decise di collaborare con Giovanni Falcone, già impegnato nella mastodontica istruttoria del Maxiprocesso. Per 45 giorni il "boss dei due mondi", come lo aveva soprannominato la stampa, mise nero su bianco tutto quello che sapeva su Cosa Nostra. Fu talmente importante la testimonianza di Buscetta, che Falcone ebbe a dire, anni dopo:


Prima di lui, non avevo - non avevamo - che un'idea superficiale del fenomeno mafioso. Con lui abbiamo cominciato a guardarvi dentro. Ci ha fornito numerosissime conferme sulla struttura, sulle tecniche di reclutamento, sulle funzioni di Cosa Nostra. Ma soprattutto ci ha dato una visione globale, ampia, a largo raggio del fenomeno. Ci ha dato una chiave di lettura essenziale, un linguaggio, un codice. È stato per noi come un professore di lingue che ti permette di andare dai turchi senza parlare coi gesti.[1]


Il primo pentito

Leonardo Vitale

Ben prima di Tommaso Buscetta, la magistratura palermitana si fece sfuggire la storica occasione di squarciare il velo dell'omertà su Cosa Nostra ben 11 anni prima, quando il 30 marzo 1973 Leonardo Vitale, giovane uomo d'onore della borgata di Altarello di Baida (retta dallo zio Giovanbattista Vitale detto "Titta"), si presentò alla Questura di Palermo sostenendo di essere in preda ad una "crisi religiosa" e di voler "confessare i propri peccati": davanti all'allora capo della squadra mobile di Palermo, Bruno Contrada, si accusò di vari reati (tra cui due omicidi, un tentato omicidio, varie estorsioni e altri crimini di piccola entità) e delineò in maniera precisa la mappa delle principali famiglie mafiose, rivelando l'esistenza di una "Commissione", descrivendo il rito di iniziazione a Cosa Nostra e l'organizzazione di una cosca, facendo anche i nomi di Salvatore Riina, Giuseppe Calò, Vito Ciancimino e altri mafiosi. Nonostante le sue dichiarazioni avessero portato inizialmente all'arresto di quaranta membri della cosca di Altarello di Baida, alla fine gli unici ad essere condannati furono Vitale e suo zio Titta nel 1977. In particolare, Vitale fu dichiarato semi-infermo di mente e affetto da schizofrenia da varie perizie psichiatriche ordinate dalla Procura e rinchiuso nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. In ragione di ciò, le sue dichiarazioni su Cosa Nostra vennero considerate inattendibili.



Note

  1. Falcone G., Cose di Cosa Nostra, Milano, BUR, 1991, pag.41