Pietro Lo Iacono

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Pietro Lo Iacono

Pietro Lo Iacono, classe 1948, è ritenuto uno dei reggenti della famiglia mafiosa di Bagheria, una delle prime famiglie ad aver appoggiato i corleonesi di Totò Riina.

Biografia

Vicende processuali

Condannato a 4 anni di reclusione al Maxi Processo di Palermo, Lo Iacono, dopo la scarcerazione, sarà uno dei boss più fidati di Bernardo Provenzano. Il suo nome viene citato centinaia di volte nelle carte processuali del Processo Talpe alla Dda, che coinvolge l'imprenditore bagherese Michele Aiello.

Arrestato e condannato di nuovo (13 anni in appello per associazione mafiosa), Lo Iacono viene scarcerato nel maggio 2007 per un cavillo tecnico che annulla la sentenza e costringe i Pm a ricominciare il processo da capo.

Gli avvocati Sergio Monaco e Michele De Stefani riscontrano infatti un “vizio insanabile di forma” nell'udienza del 10 marzo 2005, in cui l'imputato ha richiesto di essere presente ma il Tribunale non ne ha ordinato il trasporto dal carcere all'aula e lo ha dato per “rinunziante” all'udienza.

Il 4 luglio 2008 quattro persone vengono fermate dalle forze dell'ordine con l'accusa di aver preparato un piano dettagliato per uccidere il boss Lo Iacono. Sono Michele Modica, 53 anni, e Andrea Fortunato Carbone, 43 anni, entrambi di Casteldaccia; Emanuele Cecala, 31 anni, di Caccamo; Gaetano Fiorista, 32 anni, di Palermo. Secondo il piano, i killer avrebbero dovuto ucciderlo in piena mattina di un sabato all'uscita del lido balneare La Navicella di Santa Flavia, che Lo Iacono frequenta quotidianamente.

Per Fiorista, il Tribunale non convalida il fermo. Modica, Carbone e Cecala verranno processati e condannati, ma non per associazione mafiosa.

Il nome di Lo Iacono è spuntato sui giornali nel novembre 2007 dopo che a Casteldaccia ignoti hanno devastato un autoparco della Onlus “San Giuseppe”, che si occupa di assistenza e trasporto malati. Il custode viene sequestrato e poi rilasciato, mentre viene appiccato fuoco a diciotto auto, un´ambulanza e tre furgoni. In un inchiesta di Emanuele Lauria sull'inserto palermitano di Repubblica viene fatto il nome di Pietro Lo Iacono, riconducibile alla Onlus “Fratellanza” che fino al 2006 occupava lo stesso settore di mercato della “San Giuseppe” e godeva di forti finanziamenti regionali, poi ritirati per la mancanza della certificazione antimafia.

Nel processo contro gli esecutori del fallito attentato, il pm Nino Di Matteo indica nell'appena scarcerato Pino Scaduto – che verrà arrestato nell'Operazione Perseo del dicembre 2008 – come la mente del progetto di morte contro Lo Iacono.

Il 29 ottobre 2008 Pietro Lo Iacono viene condannato a 14 anni di reclusione e nuovamente arrestato.