Seconda Guerra di Mafia: differenze tra le versioni

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Convenzionalmente, si usa la locuzione "seconda guerra di mafia" per distinguerla dalla [[Prima guerra di Mafia]] degli anni '60, altro grosso scontro interno all'organizzazione mafiosa. Nell'ambito della prima guerra di mafia si ricordano la [[Strage di Ciaculli]] (30 giugno 1962) e la [[Strage di viale Lazio]] (10 dicembre 1969).
Convenzionalmente, si usa la locuzione "seconda guerra di mafia" per distinguerla dalla [[Prima guerra di Mafia]] degli anni '60, altro grosso scontro interno all'organizzazione mafiosa. Nell'ambito della prima guerra di mafia si ricordano la [[Strage di Ciaculli]] (30 giugno 1962) e la [[Strage di viale Lazio]] (10 dicembre 1969).
IL CONTESTO
Il contesto è quello dei grandi cambiamenti. Anche la società siciliana, da essenzialmente agricola e latifondista, si apre alle dinamiche di mercato e alle nuove opportunità di controllo del territorio derivanti dalla democrazia di massa. Nascono nuovi e diversificati business e il legame con la politica si rinsalda tramite il voto di scambio e le tecniche clientelistiche.
La mafia ha le mani in pasta dovunque: mercato ortofrutticolo, abigeato (furto di bestiame) e macellerie clandestine, monopoli dei servizi pubblici (illuminazione, manutenzione, servizi idrici e fognari, etc), speculazioni edilizie in larga scala (es. il sacco di Palermo degli anni '60), traffico di armi e soprattutto narcotraffico.
Il margine di azione della mafia siciliana diventa sempre più internazionali. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, si saldano i legami della mafia siciliana con le organizzazioni mafiose nate nei decenni precedenti negli Stati Uniti. Da ricordare il
summit dell'Hotel delle Palme, tra boss siciliani e americani, tenutosi nell'ottobre 1957.
La droga è il grande affare del secolo, soprattutto l'eroina. Un processo che ha le sue basi in Africa e in Estremo Oriente (Afghanista, Pakistan) e che poi, passando dalla Turchia, ha bisogno di basi logistiche per le varie fasi: produzione, raffinazione, taglio e distribuzione dei stupefacenti.
Negli anni '60 e '70 la Sicilia - anche grazie alla sua posizione centrale nel Mediterraneo e alle larghissime coperture politiche della mafia - diventa una dei più importanti centri dello smistamento di eroina di tutto il mondo.
Decine di raffinerie nascono nelle campagne siciliane. Vengono chiamati chimici ed esperti nella raffinazione da tutto il mondo. In Sicilia arriva la materia grezza che sull'isola viene raffinata, confezionata e poi venduta sul mercato internazionale. Un fiume di denaro di entità mai vista prima. Per mille lire che si investono, centocinquanta milioni di lire si guadagnano.
L'organizzazione mafiosa è strutturata in famiglie e mandamenti che si gestiscono piuttosto autonomamente. Per le grosse decisioni, compresi omicidi e attentati, si ricorre alla commissione provinciale. La cosiddetta Cupola, che a sua volta – in questo periodo - è gestita dal cosiddetto trimvirato: i tre boss più rappresentativi di tutta la provincia.
LA SUPREMAZIA DI RIINA
Totò Riina entra nel triumvirato al posto di Luciano Liggio, subito dopo l'arresto del superboss corleonese, avvenuto il 5 maggio 1974.
Il triumvirato è composto, oltre che da Riina, da Stefano Bontade, boss di Villagrazia, e Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi.
È il periodo che la mafia si arricchisce a dismisura grazie al traffico di droga. I corleonesi, sia per scarsa esperienza manageriale, sia per scarsi contatti all'estero, vengono tagliati fuori dai grossi traffici e riescono a far soldi quasi esclusivamente con il contrabbando di sigarette e i sequestri di persona.
Riina, però, fin dall'arresto di Liggio, comincia a lavorare al suo personalissimo piano di supremazia interna a Cosa Nostra. Comincia a tessere le fila, in altre parole, creandosi una rete di fiancheggiatori dentro l'organizzazione, per riuscire un giorno a rovesciare l'egemonia dei boss delle vecchie famiglie palermitane.
Racconta il pentito Antonino Calderone che l'evento scatenante è l'omicidio – il 16 marzo 1978 - di Francesco Madonia, capo della cosca di Vallelunga Pratameno, in provincia di Caltanissetta.
Madonia viene fatto ammazzare da Badalamenti perchè sospettato di aver ordinato – su istigazione di Riina – un (fallito) attentato ai danni di un uomo d'onore a lui vicino:
Giuseppe Di Cristina, boss di Riesi.
Badalamenti inoltre è sospettato di aver gestito traffici di eroina senza informare la Cupola, con l'intermediazione del trafficante Salvatore Greco, che muore in Venezuela per cause naturale il 7 marzo 1978.
Totò Riina accusa Badalamenti e lo fa espellere dalla Cupola. Badalamenti è costretto a fuggire, prima in Spagna, poi in Brasile.
È Michele Greco, boss di Ciaculli, a prendere il posto di Badalementi nel triumvirato. Michele Greco viene nominato rappresentante della commissione provinciale. In pratica è il capo della Cupola, ma non ha nessuna autorità e presto diventerà il burattino dei corleonesi. Il vero conflitto è tra Riina e Bontade.
Riina – a suon di mitragliate – esplicita il suo progetto di supremazia. Fa ammazzare i boss Giuseppe Di Cristina (30 maggio 1978) e Giuseppe Calderone (8 settembre 1978), vicinissimi a Bontade e Badalamenti.
Di Cristina è stato il primo a dare l'allarme della pericolosità di Riina e Provenzano. "I viddani sono giunti alle porte di palermo, lo volete capire o no?" - disse ai boss palermitani - ma non gli diedero ascolto.
Di Cristina - dopo la fuga di Badalamenti – ha cominciato ad incontrare di nascosto il capitano dei carabinieri di Gela, Alfio Pettinato, con l'obiettivo di far arrestare Riina.
Riina e Bontade – tramite il capocupola Michele Greco – fanno nominare nuovi capomandamenti. Si cerca di riequilibrare la geografia mafiosa, ma il lavoro da tessitore di Riina dà i suoi frutti. Gli amici dei corleonesi – sul territorio - sono in maggioranza
Nel 1979 i corleonesi fanno approvare dalla commissione provinciale numerosi omicidi eccellenti.
L'11 gennaio viene ammazzato il sottoufficiale della Polizia Filadelfio Aparo, il 26 gennaio il giornalista Mario Francese, il 9 marzo il segretario provinciale Dc Michele Reina, il 21 luglio il vicequestore Boris Giuliano e il 25 settembre il giudice Cesare Terranova e il maresciallo Lenin Mancuso.
Il 6 gennaio 1980 il presidente della Regione Pier Santi Mattarella. Il 4 maggio è il turno del capitano dei carabinieri Emanuele Basile.
Cresce la disapprovazione da parte della fazione di Bontade, finchè Salvatore Inzerillo reagisce facendo ammazzare il giudice Gaetano Costa senza l'approvazione della commissione (6 agosto 1980).
Il 6 settembre 1980 viene ucciso Fra' Giacinto Castronovo, devotissimo a Stefano Bontade. Un frate che in monastero teneva la '38' nel cassetto.
LA MATTANZA
Ma è nel 1981 che la mattanza ha inizio. I boss Bontade, Inzerillo, Spatola, Panno e tutta la "vecchia guardia" mafiosa si incontrano ripetutamente per organizzare un piano per uccidere nientemeno che Totò Riina.
Ma il capo dei corleonesi lo viene a sapere, su soffiata di Michele Greco, e così l'11 marzo fa sparire il boss di Casteldaccia Giuseppe (detto "Piddu") Panno. Bontade reagisce facendo ammazzare due uomini vicini a Riina: Angelo Graziano e Stefano Giaconia.
La seconda guerra di mafia, convenzionalmente, inizia quando Riina ordina l'omicidio degli stesso Stefano Bontade e subito dopo di Salvatore Inzerillo, uccisi rispettivamente il 23 aprile e l'11 maggio 1981.
Dopo Inzerillo è il turno di Mimmo Teresi, vice di Bontade, che cade vittima di un'imboscata insieme a quattro suoi uomini, che vengono strangolati e fatti sparire.
È una strage continua. I corleonesi ammazzano boss e fiancheggiatori, ma anche familiari e amici di tutti gli uomini d'onore che si ritrovano nella fazione opposta alla loro. È caccia aperta anche agli "scappati" in America.
Nel 1982 i giornalisti del Giornale Di Sicilia e de L'Ora – ogni giorno – fanno la loro macabra "conta". Il 4 agosto sono 79 morti dall'inizio dell'anno. Il 7 agosto 86. L'11 agosto 93. Il 26 agosto si raggiunge quota 100.
A Palermo è guerra aperta. L'“arroganza mafiosa” - come la chiamerà Dalla Chiesa – è ai suoi massimi storici.. Dice al giornalista Giorgio Bocca, nella famosa intervista del 10 agosto 1982 che tale arroganza è quella con cui i mafiosi "uccidono in pieno giorno, trasportano i cadaveri, li mutilano, ce li posano fra questura e Regione, li bruciano alle tre del pomeriggio in una strada centrale di Palermo".
Torniamo al 1981. Salvatore Contorno – vicino a Bontade e Inzerillo – scappa ad un agguato a colpi di kalashnikov tesogli dal feroce killer Pino Greco U' Scarpuzzedda.
In sei mesi ammazzano quattordici tra amici e parenti di Totò Contorno, che nel frattempo è fuggito a Roma, dove verrà arrestato il 24 marzo 1982 e poi deciderà di diventare collaboratore di giustizia.
Contorno – dopo Tommaso Buscetta – sarà il pentito più importante del maxiprocesso.
Il boss di Partanna Mondello Rosario Riccobono, detto "ù terrorista", prima vicino a Bontade, passa con i corleonesi e fa uccidere Emanuele D'Agostino, uomo di Bontade, che sparisce nel nulla.
Il 12 giugno 1981 viene ammazzato anche il giovanissimo Giuseppe Inzerillo, 17 anni, figlio di Salvatore, che aveva detto: "Ammazzerò Riina con le mie mani".
Uccisi anche Santo Inzerillo, fratello di Salvatore, e suo zio Calogero Di Maggio, che
vengono rapiti e fatti sparire.
Il terremoto siciliano mette in allerta pure i boss americani, che prendono provvedimenti. Il boss di Broolin Paul Castellano, capo della famiglia Gambino, manda in Sicilia i killer Rosario Naimo e John Gambino (parente degli Inzerillo) per giungere a un accordo. Riina promette che i parenti superstiti avranno salva la vita, a patto però che non ritornino mai più in Sicilia.
Inoltre, la famiglia Gambino deve trovare e uccidere lo zio e il fratello del defunto boss: Antonino e Pietro Inzerillo.
Antonino Inzerillo rimane vittima della "lupara bianca" a Brooklin, mentre il cadavere di Pietro venne ritrovato nel bagagliaio di un'auto a Mount Laurel, nel New Jersey, il 14 gennaio 1982, con una mazzetta di dollari in bocca e tra i genitali.
Il 4 aprile del 1982 il segretario regionale comunista Pio La Torre organizza la "manifestazione dei centomila" contro l'installazione della base per i missili Cruise presso l'aeroporto di Comiso. Il 4 aprile palesa il suo indirizzo antimafioso con la relazione introduttiva al IX congresso regionale del Pci.
Pio La Torre viene ammazzato il 30 aprile, insieme al suo autista Rosario Di Salvo.
IL TRIANGOLO DELLA MORTE E L'OPERAZIONE CARLO ALBERTO
Decine di morti anche in provincia di Palermo, tra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia. Regolamenti di conti, scalate di potere, vendette trasversali. Una zona che verrà chiamata dalla stampa nazionale "il triangolo della morte". Una recrudiscenza della violenza mafiosa in provincia che coincide con la permanenza a Palermo del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei carabinieri in congedo, reduce dal successo contro le brigate rosse, che ha prestato servizio a Corleone tra il '66 e il '73.
Dalla Chiesa arriva in Sicilia due giorni dopo l'omicidio di Pio La Torre (2 aprile 1982), e viene ammazzato – insieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro – il 3 settembre dello stesso anno.
Appena insediatosi a Villa Whitaker, sede della prefettura, mette a segno una clamorosa perquisizione negli uffici delle esattorie siciliane, contro l'impero dei cugini Nino e Ignazio Salvo.
Antefatto degli omicidi del triangolo della morte è la cosiddetta "strage di Natale" del 25 dicembre 1981, un folle inseguimento e sparatoria per le vie della cittadina alle porte di Palermo, conclusasi con l'omicidio del boss di Villabate Giovanni De Peri e del suo braccio destro Biagio Pitarresi, e con il sequestro e la sparizione del figlio Antonino Pitarresi. Nella sparatoria viene colpito pure Onofrio Valvola, pensionato che si è affacciato alla finestra per vedere cosa sta succedendo. A bordo della macchina dei killer ci sono il superkiller Pino Greco U' Scarpuzzedda, il boss di Corso dei mille Filippo Marchese, suo nipote Pino Marchese (18 anni, si pentirà nel 1992) e altri uomini d'onore.
L'uccisione di Giovanni De Peri è una ricompensa dei corleonesi a Salvatore Montalto di Villabate, appena passato con la fazione di Totò Riina, che punta a diventare il reggente di Villabate. (Montalto verrà arrestato il 7 novembre 1982, una settimana dopo verrà ammazzato il poliziotto della sezione investigativa Calogero Zucchetto, che aveva contribuito all'arresto).
Il boss Filippo Marchese di Corso dei mille, all'interno della mattanza siciliana, è uno dei personaggi più sanguinari e importanti. È celebre per la sua "camera della morte" in piazza Sant'Erasmo, a Palermo, in cui tortura, strangola e scioglie nell'acido decine di vittime.
Non appena cominciano gli scontri interni alla Cupola, Filippo Marchese passa con i corleonesi, diventando uno dei loro killer più fidati. Partecipa all'omicidio di Pio La Torre e dei boss Bontade e Inzerillo.
Nel luglio 1982, Filippo Marchese suggella l'alleanza con i corleonesi con un altro omicidio, quello del proprio cognato Pietro Marchese – fratello della moglie, che di cognome fa pure Marchese – che viene ammazzato in carcere.
Intanto, da più lati, fioccano i morti. Il 16 giugno 1982 c'è la strage della circonvallazione, dove i killer dei corleonesi ammazzano il boss Alfio Ferlito mentre lo trasportano al carcere di Trapani. Con lui, cadono sotto i colpi di mitragliatice anche tre carabinieri e l'autista.
In provincia, l'omicidio di Gregorio Marchese, cognato di Filippo Marchese (3 agosto 1982) innesca un meccanismo sanguinario che porterà a decine di morti nell'arco di poche settimane.
Filippo Marchese si vendicherà cercando confusamente i responsabili e lasciandosi dietro una scia di sangue mai vista prima.
Qualcuno – probabilmente lo stesso Salvatore Montalto di Villabate – lo mette sulla strada della banda Parisi, una banda di briganti che opera nelle campagne tra Casteldaccia e Altavilla Milicia, capeggiati dal latitante Antonino Parisi, responsabile della morte del carabiniere Orazio Costantino del 1969.
Il 5 agosto 1982 viene assassinato Giusto Parisi, fratello del latitante. Lo stesso giorno, a Bagheria, vengono ammazzati Cesare Manzella, consigliere comunale ex democristiano e ora socialista, e Michelangelo Amato, suo portaborse.
Il 6 agosto, ad Altavilla, viene ucciso Pietro Martorana, figlioccio di Don Piddu Panno, fatto sparire l'anno prima a Casteldaccia.
Al tramonto, a Casteldaccia, vengono assassinati Michele Carollo, fedelissimo di Panno, e Santo Grassadonia, vicino alla famiglia di Villabate.
Il 7 agosto omicidio di Francesco Pinello, nella mattinata, ad Altavilla. Verso mezzanotte, davanti alla stazione dei carabinieri di Casteldaccia, viene ritrovata una Fiat 127 rossa con due cadaveri incaprettati all'interno. Sono Cesare Peppuccio
Manzella, ex operaio Fiat, e Ignazio Pedone, meccanico. Poco prima è arrivata una chiamata, effettuata da Salvatore Rotolo, braccio destro di Filippo Marchese: "Se vi volete divertire, andate a guardare nella macchina che è posteggiata proprio davanti alla vostra caserma".
Martedì 9 agosto c'è l'omicidio di Leonardo Rizzo, pregiudicato bagherese che viene trovato morto nel suo appezzamento di terreno a Capo Zafferano.
Mercoledì 10 agosto gli uomini di Filippo Marchese continuano a fare piazza pulita dei vecchi mafiosi di Villabate, per togliere ogni ostacolo all'ascesa di Salvatore Montalto.
Quasi in contemporanea - alle ore 8.20 e 8.25 – vengono ammazzati due parenti del boss Giovanni Di Peri, ucciso nella strage di Natale di Bagheria.
Salvatore Di Peri viene ucciso a Palermo, in via dei Tornieri, presso il mercato della Vucciria. Pietro Di Peri a Villabate, in via Alcide De Gasperi.
Come scimmiottando le brigate rosse, contro cui Dalla Chiesa è stato avversario e vincitore, i mafiosi per la prima volta rivendicano un omicidio, con una telefonata al quotidiano L'Ora: “Pronto, siamo l'equipe dei killer del triangolo della morte: con i fatti di stamattina l'operazione che chiamiamo "Carlo Alberto", in onore del prefetto, è quasi conclusa. Dico quasi conclusa”.
Dalla Chiesa verrà ammazzato una ventina di giorni dopo: il 3 settembre.
Il giorno dopo, alla redazione palermitana del quotidiano «La Sicilia» di Catania, arriva la seguente telefonata: «L'operazione Carlo Alberto si è conclusa».
Al funerale di Dalla Chiesa, i palermitani lanciano monetine sulle automobili che trasportano le Autorità.
In Cattedrale il cardinale Salvatore Pappalardo pronuncia il celebre discorso che va sotto il titolo di una espressione latina di Tito Livio: "Dum Romae consulitur... Saguntum expugnatur" e cioè mentre a Roma si discute il da farsi, Sagunto viene espugnata dai nemici".
Giorno 13 settembre 1982 il Parlamento nazionale approva la legge Rognoni-La Torre, che introduce il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis del codice penale) e permette inoltre allo Stato di confiscare i beni dei mafiosi che abbiano provenienza illecita.
Giovedì 11 agosto 1982, nella mattinata, gli ultimi due omicidi degli uomini di Filippo Marchese, a Palermo. Viene ucciso Paolo Giaccone, medico legale che si rifiuta di falsificare la perizia sulla strage di Natale del 1981.
Dopo l'omicidio – intorno alle dieci di mattina - i killer Salvatore Rotolo, Angelo Baiamonte, i fratelli Vincenzo e Antonino Sinagra e il loro cugino Vincenzo Sinagra (detto U' Ndli) si incontrano in via Messina Marine e si recano in via 4 aprile, tra via Alloro e piazza Marina, per ammazzare Diego Di Fatta, colpevole di uno scippo ad un'anziana signora protetta dalla mafia di Corso dei Mille.
Dopo aver sparato a Di Fatta, la macchina con a bordo i 5 killer si infila in un vicolo
cieco. Riesce a fuggire soltanto Salvatore Rotolo, mentre gli altri quattro vengono arrestati dai carabinieri che avevano assistito all'omicidio.
Uno dei killer, Vincenzo Sinagra U' Ndli, diventerà un importante collaboratore di giustizia, protagonista al maxi processo del 1986, e svelerà numerosi particolari di questo periodo.
Di Filippo Marchese si perderanno le tracce. Alcuni pentiti raccontano che Totò Riina lo fa ammazzare e sciogliere nell'acido da Pino Greco Scarpuzzedda, tra il 1983 e il 1984, perchè considerato troppo pericoloso e instabile.
LA STRAGE CONTINUA
I corleonesi ammazzano gli nemici – interni ed esterni – ma ammazzano pure gli amici di cui non si fidano. Quelli che possono diventare, in futuro, un problema.
È il caso della strage del 30 novembre 1982, quando all'interno di Cosa Nostra avviene qualcosa di assimilabile alla “notte dei lunghi coltelli” della storia nazista.
L'alleato tradito è Rosario Riccobono, boss di Partanna Mondello che – allo scoppiare dello scontro - è passato con i corleonesi dopo essere stato fedelissimo di Bontade.
Il capocupola Michele Greco invita Riccobono per una grigliata all'aperto, presso la sua tenuta a Ciaculli. Con lui, tutti i suoi uomini migliori: Salvatore Scaglione, Giuseppe Lauricella, il figlio Salvatore, Francesco Cosenza, Carlo Savoca, Vincenzo Cannella, Francesco Gambino e Salvatore Micalizzi.
Ma gli invitati cadono vittima di un agguato tesogli da Totò Riina e Bernardo Brusca, che – dopo il pranzo – li uccidono a colpi di pistola e li strangolano con l'aiuta di Pino Greco Scarpuzzedda, Giovanni Brusca e Baldassarre Di Maggio.
Nella stessa giornata a Palermo vengono uccisi numerosi associati di Riccobono e pochi giorni dopo suo fratello, Vito Riccobono, viene trovato decapitato nella sua auto.
Vengono ammazzati il padre, lo zio, il suocero, il cognato di Giovannello Greco, boss di Ciaculli, il quale si vendica il giorno di Natale del 1982, cercando di sparare al cugino Pino Greco U' Scarpuzzedda ma senza riuscire ad ucciderlo.
Questo provoca un accanimento contro i parenti di Badalamenti e Buscetta, sospettati dai corleonesi di sostenere Giovannello Greco: già nel settembre 1982 due figli di Buscetta vengono inghiottiti dalla "lupara bianca" e un cognato viene ucciso mentre il 29 dicembre tocca al fratello Vincenzo e al nipote Benedetto.
I corleonesi fanno pulizia interna ma continuano, ovviamente, la pulizia esterna.
Il 14 novembre 1982, il 27enne poliziotto della sezione investigativo Calogero Zucchetto viene assassinato davanti al bar Collica, un elegante bar del centro. Stava
svolgendo delicate operazioni investigative per conto del suo superiore Ninni Cassarà, che stilerà – con la collaborazione dello stesso Zucchetto e di Beppe Montana – l'importantissimo rapporto "Michele Greco+161".
Nella notte tra il 25 e il 26 gennario 1983, a Trapani, viene assassinato il giudice Gian Giacomo Ciaccio Montalto.
Il 26 febbraio del 1983 è il giorno della marcia contro la mafia e contro la droga, in cui cinquemila persone giunte da tutte le parti della Sicilia percorrono la via dei "valloni" – residenza di latitanti e teatro di fatti di sangue – tra Bagheria e Casteldaccia. È la prima volta che si verifica un evento del genere, e avviene su iniziativa della Chiesa e dei partiti d'opposizione.
Ma le violenze continuano. Il 28 febbraio, nel quartiere palermitano di Brancaccio, una Alfasud della Polizia viene fatta saltare in aria col tritolo provocando il ferimento di tre agenti. Sono dati alle fiamme la cereria dei fratelli Gance e i depositi dei panifici Spinnato perché i titolari non vogliono pagare il pizzo.
Sempre a Brancaccio, il 29 marzo, 29, Paolo Agnilleri, 32enne, consigliere comunale comunista , viene pestato a sangue da un gruppo di "picciotti" mascherati.
Il 9 maggio il cardinale Salvatore Pappalardo trascorre diverse ore nel quartiere senza scorta e accompagnato soltanto da qualche sacerdote, dove sprona il popolo a non arrendersi.
Il 13 giugno vengono uccisi il capitano dei carabinieri Mario D'Aleo, comandante della compagnia dei carabinieri di Monreale, l'appuntato Giuseppe Bommarito e il carabiniere Pietro Morici.
Il 23 luglio 1983, con una macchina imbottita al tritolo in via Pipitone Federico, viene ucciso il capo ufficio istruzione di Palermo, il magistrato Rocco Chinnici.
Chinnici è diventato capo dell'ufficio istruzione nel 1982, dopo la morte per cause naturali del procuratore Pizzillo.
Il 14 febbraio, dopo la perquisizione disposta da Giovanni Falcone a Milano in Via Larga 13 (una delle basi operative del traffico di eroina), Chinnici si è reso protagonista del blitz di San Valentino.
Il 1 luglio, Chinnici ha relazionato a Milano sulla criminalità organizzata di fronte ai componenti della commissione incaricata dal comune del capoluogo lombardo di studiare il fenomeno mafioso nell'hinterland.
Il 9 luglio il giudice Giovanni Falcone, in pieno accordo con Rocco Chinnici, emette 14 mandati di cattura contro pericolosissimi mafiosi, accusati di essere fra i mandanti e i killer dell'uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Salvatore Greco, Pietro Vernengo, Benedetto Santapaola. Si parla inoltre di un'altra ventina di mandati di cattura, pronti alla firma, che dovrebbero portare in carcere, tra altri nomi eccellenti, addirittura i cugini esattori Nino e Ignazio Salvo.
A sostituire Rocco Chinnici è chiamato il 63enne Antonino Caponnetto, che arriva a Palermo l'11 novembre.
Con Caponnetto si perfeziona la formula del pool antimafia di cui Chinnici ha gettato le basi. Ad affiancare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengono chiamati Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello.
Il 5 gennaio 1984, davanti al Teatro Stabile di Catania, viene ucciso il giornalista Beppe Fava.
1984-1985 IL TERREMOTO BUSCETTA
Nel 1984 Tommaso Buscetta – arrestato a San Paolo del Brasile il 23 ottobre 1983 - inizia a collaborare con la giustizia.
Dalle sue dichiarazioni scatterà – in data 29 settembre – una delle operazioni antimafia più importanti di sempre: il blitz di San Michele. I magistrati del pool antimafia spiccano 366 mandati di cattura. Solo una piccola percentuale di mafiosi riuscirà a rendersi irreperibile e a scampare all'arresto. Il blitz di San Michele porterà al Maxi Processo del 1986.
La risposta di Riina arriva subito. Il 18 ottobre 1984 c'è la strage di Piazza Scaffa, a Palermo. Otto persone sono rinchiuse in una stalla – cortile macello, dentro Piazza Scaffa - messe al muro e fucilate da una decina di killer.
L'obiettivo sono i fratelli Cosimo e Francesco Quattrocchi, commercianti di carne equina, proprietari di alcune macellerie in città. Con loro muoiono il cugino Cosimo Quattrocchi, il cognato Marcello Angelini, il socio Salvatore Schimmenti e poi Paolo Canale, Giovanni Catalanotti e Antonino Federico che stavano semplicemente dando una mano a sistemare alcuni arrivati appena arrivati dalla Puglia.
La strage è un duplice segnale di Totò Riina. Ai magistrati del pool antimafia, e all'affronto del blitz di San Michele, ma anche – rivelano i pentiti - per dare un segnale interno all'organizzazione mafiosa e ad alcuni personaggi che stanno prendendo troppo piede, come ad esempio Pino Greco Scarpuzzedda, che infatti verrà fatto ammazzare un anno dopo.
Nel marzo 1984, a Madrid viene arrestato il bosso e il figlio Leonardo. Badalamenti era proveniente da Rio, e viene poi trasferito negli Usa.
Il 18 settembre 1984, a Bagheria, viene ammazzato il senatore Ignazio Mineo, alto funzionario del Ministero delle Finanze. L'8 ottobre verrà assassinato, sempre a Bagheria, il suo segretario Salvatore Prezentano.
Il 3 novembre viene arrestato Vito Ciancimino, corleonese, ex sindaco di Palermo ed ex assessore ai lavori pubblici ai tempi del sacco di Palermo. Il 12 novembre vengono arrestati i ricchissimi cugini Nino e Ignazio Salvo, di Salemi, che gestiscono in regime di monopolio le esattorie siciliane. Il 18 novembre si suicida Rosario Nicoletti, ex segretario Dc, sospettato di collusioni con la mafia.
Il 2 dicembre 1984, all'uscita della messa, viene ucciso Leonardo Vitale, insieme alla madre e alla sorella. Leonardo Vitale, condannato nel 1977, è stato il primo pentito di mafia. Dopo una crisi mistica, cominciò a raccontare cos'era la mafia, ma non viene creduto e viene preso per pazzo. Era uscito di prigione nel giugno 1984.
Il 7 dicembre viene ucciso – davanti la gelateria New Hall Garden - Pietro Busetta, 62enne, incensurato, marito di Serafina Buscetta, sorella del boss che non vede da vent'anni.
Nel dicembre 1984, negli Usa, c'è la colossale operazione Pizza Connection, ai danni della famiglia Bonanno, diretta dal boss italoamericano Salvatore Catalano. L'operazione deriva dalle rivelazioni di Buscetta e dalle indagini che hanno portato all'arresto di Badalamenti. Risulta così che l'eroina introdotta negli Stati Uniti dal 1979, per 1,650 Mdi di dollari (2.700 Mdi di lire), proviene dalla Sicilia, dalla Spagna e dal Sud America; centro di produzione alla fonte l'Afghanistan, massimo fornitore, Gaetano Badalamenti.. I centri di distribuzione più importanti della droga sono una serie di pizzerie di Cosa Nostra italo-americana, controllata da mafiosi di origine siciliana a New York e nelle altre città degli Stati Uniti.
Il 23 febbraio 1985 viene assassinato l'imprenditore Roberto Parisi, insieme col suo autista. Presidente della squadra locale di calcio, vicepresidente dell'Associazione degli industriali palermitani, aveva costruito la sua fortuna sugli appalti del comune di Palermo.
Il 28 febbraio viene ammazzato Pietro Patti. industriale palermitano, si rifiuta di pagare mezzo miliardo di lire "per la sua protezione"; viene assassinato; sua figlia, la piccola Gaia, di nove anni, che si trovava insieme a lui al momento dell'attentato è ferita gravemente.
Il 30 marzo viene arrestato Pippo Calò, mafioso di Porta Nuova, insieme con Nino Rotolo. Calò, che fa la spola tra la Sicilia e Roma, diventerà uno degli imputati-chiave del maxi-processo.
Il 2 aprile, a Trapani, fallito attentato ai danni del sostituto procuratore Carlo Palermo. Nell'esplosione dell'auto-bomba (50 kg di plastico) perdono la vita i passeggeri di un'automobile che passava di lì: la signora Barbara Asta e i suoi figli gemelli Salvatore e Giovanni. Il giudice Carlo Palermo lascerà la toga il 17 ottobre 1984, dopo essere stato sanzionato dal Csm a causa di alcune indagini su Bettino Craxi e l'On. Paolo Pellitteri, senza l'autorizzazione del Parlamento.
Nell'estate 1985 la sezione investigativa di Palermo è scossa dagli omicidi, in rapida successione, del commissario Beppe Montana, il 28 luglio 1985, e del vicequestore Ninni Cassarà, il 6 agosto 1985.
L'azione investigativa dei due ricopre importanza fondamentale per aver ricostruito
le dinamiche politiche-affaristico-mafiose nel celebre rapporto “Michele Greco+161”.
Nel settembre 1985 Totò Riina fa eliminare il suo killer migliore e più feroce, Pino Greco Scarpuzzedda, sia per ridurre la forza della cosca di Ciaculli, sia perché ormai Greco è ritenuto troppo ambizioso, vedendolo gli altri killer come un potenziale futuro capo.
La motivazione espressa da Riina, per spiegare l'uccisione di Greco, sarebbe stata la stessa che usò per la scomparsa di Filippo Marchese: "È pazzo”.
Secondo il pentito Francesco Marino Mannoia, Greco viene ucciso a colpi di pistola da Giuseppe Lucchese Miccichè e Vincenzo Puccio in una villa tra Bagheria e Ficarazzi dove Greco viveva in latitanza.
Con i due killer, c'era pure una terza persona Agostino Marino Mannoia, fratello di Francesco.
Il 23 novembre del 1988, a Bagheria, le armi da fuoco tornano a tuonare per uccidere la madre, la sorella e la zia del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia. Le vittime sono Leonarda Cosentino, Vincenza Marino Mannoia e Lucia Cosentino. L’agguato scatta di sera, in via Vallone De Spuches.
Francesco Marino Mannoia, detto "Il chimico", esperto di raffinazione, uomo di fiducia di Stefano Bontade, è già stato condannato nel 1980 a 5 anni di carcere. Evade di prigione nel dicembre 1983 e per due anni presta i suoi servizi ai corloenesi, ma verrà riarrestato nel dicembre 1985. Comincia a collaborare con la giustizia dopo l'uccisione del fratello Agostino.
GLI ARRESTI E IL MAXI PROCESSO
La seconda guerra di mafia non ha una data di "armistizio" o di "fine delle ostilità". Dopo il 1984, il numero delle vittime scende di molto, sia per l'ottenuta supremazia dei corleonesi sia per i colpi inferti a Cosa Nostra dal pool antimafia di Antonino Caponnetto, di cui Falcone è la mente e lo stratega.
Prima i 366 mandati di cattura del blitz di San Michele del settembre 1984, poi il maxiprocesso di Palermo, che inizia il 10 febbraio 1986 e si conclude 16 dicembre 1987. Durante tutta la durata del maxiprocesso la mafia resta come in apnea. Non si spara più e non si uccide più.
Finito il maxi processo, la violenza mafiosa si rivolgerà soprattutto verso l'esterno – limitando al massimo le rese dei conti interne. E ci saranno le stragi di Capaci, Via D'Amelio e le bombe di Roma, Firenze e Milano.

Versione delle 16:09, 29 dic 2013


Io questa seconda guerra di mafia non l'ho capita. Quando c'è una guerra, due famiglie si armano e sanno che devono andare l'una contro l'altra.

A palermo questa guerra di mafia non c'è mai stata.

C'è stato un massacro. C'è stata solo la strategia della tensione di Totò Riina
(Gaspare Mutolo)


La Seconda guerra di Mafia è stato un conflitto interno alla mafia siciliana che ha causato un numero imprecisato di vittime – le cifre oscillano tra i 400 e i 1000 morti – tra il 1978 e il 1984.

Le vittime sono state ammazzate per strada, in agguati e imboscate ben organizzate militarmente, oppure sono sparite nel nulla ("lupara bianca"), probabilmente strangolate e sciolte nell'acido.

Il conflitto è scaturito da una forte instabilità interna all'organizzazione mafiosa, scossa dai nuovi grossissimi interessi del traffico internazionale di eroina e delle nuove ambizioni della sanguinaria fazione dei corleonesi capeggiata da Riina, Provenzano e Bagarella. Alle vittime interne interne (membri dell'organizzazione mafiosa, oppure parenti, fiancheggiatori e complici) si aggiunsero anche vittime esterne: magistrati, giornalisti, politici etc.

Convenzionalmente, si usa la locuzione "seconda guerra di mafia" per distinguerla dalla Prima guerra di Mafia degli anni '60, altro grosso scontro interno all'organizzazione mafiosa. Nell'ambito della prima guerra di mafia si ricordano la Strage di Ciaculli (30 giugno 1962) e la Strage di viale Lazio (10 dicembre 1969).


IL CONTESTO

Il contesto è quello dei grandi cambiamenti. Anche la società siciliana, da essenzialmente agricola e latifondista, si apre alle dinamiche di mercato e alle nuove opportunità di controllo del territorio derivanti dalla democrazia di massa. Nascono nuovi e diversificati business e il legame con la politica si rinsalda tramite il voto di scambio e le tecniche clientelistiche.

La mafia ha le mani in pasta dovunque: mercato ortofrutticolo, abigeato (furto di bestiame) e macellerie clandestine, monopoli dei servizi pubblici (illuminazione, manutenzione, servizi idrici e fognari, etc), speculazioni edilizie in larga scala (es. il sacco di Palermo degli anni '60), traffico di armi e soprattutto narcotraffico.

Il margine di azione della mafia siciliana diventa sempre più internazionali. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, si saldano i legami della mafia siciliana con le organizzazioni mafiose nate nei decenni precedenti negli Stati Uniti. Da ricordare il

summit dell'Hotel delle Palme, tra boss siciliani e americani, tenutosi nell'ottobre 1957.

La droga è il grande affare del secolo, soprattutto l'eroina. Un processo che ha le sue basi in Africa e in Estremo Oriente (Afghanista, Pakistan) e che poi, passando dalla Turchia, ha bisogno di basi logistiche per le varie fasi: produzione, raffinazione, taglio e distribuzione dei stupefacenti.

Negli anni '60 e '70 la Sicilia - anche grazie alla sua posizione centrale nel Mediterraneo e alle larghissime coperture politiche della mafia - diventa una dei più importanti centri dello smistamento di eroina di tutto il mondo.

Decine di raffinerie nascono nelle campagne siciliane. Vengono chiamati chimici ed esperti nella raffinazione da tutto il mondo. In Sicilia arriva la materia grezza che sull'isola viene raffinata, confezionata e poi venduta sul mercato internazionale. Un fiume di denaro di entità mai vista prima. Per mille lire che si investono, centocinquanta milioni di lire si guadagnano.

L'organizzazione mafiosa è strutturata in famiglie e mandamenti che si gestiscono piuttosto autonomamente. Per le grosse decisioni, compresi omicidi e attentati, si ricorre alla commissione provinciale. La cosiddetta Cupola, che a sua volta – in questo periodo - è gestita dal cosiddetto trimvirato: i tre boss più rappresentativi di tutta la provincia.

LA SUPREMAZIA DI RIINA

Totò Riina entra nel triumvirato al posto di Luciano Liggio, subito dopo l'arresto del superboss corleonese, avvenuto il 5 maggio 1974.

Il triumvirato è composto, oltre che da Riina, da Stefano Bontade, boss di Villagrazia, e Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi.

È il periodo che la mafia si arricchisce a dismisura grazie al traffico di droga. I corleonesi, sia per scarsa esperienza manageriale, sia per scarsi contatti all'estero, vengono tagliati fuori dai grossi traffici e riescono a far soldi quasi esclusivamente con il contrabbando di sigarette e i sequestri di persona.

Riina, però, fin dall'arresto di Liggio, comincia a lavorare al suo personalissimo piano di supremazia interna a Cosa Nostra. Comincia a tessere le fila, in altre parole, creandosi una rete di fiancheggiatori dentro l'organizzazione, per riuscire un giorno a rovesciare l'egemonia dei boss delle vecchie famiglie palermitane.

Racconta il pentito Antonino Calderone che l'evento scatenante è l'omicidio – il 16 marzo 1978 - di Francesco Madonia, capo della cosca di Vallelunga Pratameno, in provincia di Caltanissetta.

Madonia viene fatto ammazzare da Badalamenti perchè sospettato di aver ordinato – su istigazione di Riina – un (fallito) attentato ai danni di un uomo d'onore a lui vicino:

Giuseppe Di Cristina, boss di Riesi.

Badalamenti inoltre è sospettato di aver gestito traffici di eroina senza informare la Cupola, con l'intermediazione del trafficante Salvatore Greco, che muore in Venezuela per cause naturale il 7 marzo 1978.

Totò Riina accusa Badalamenti e lo fa espellere dalla Cupola. Badalamenti è costretto a fuggire, prima in Spagna, poi in Brasile.

È Michele Greco, boss di Ciaculli, a prendere il posto di Badalementi nel triumvirato. Michele Greco viene nominato rappresentante della commissione provinciale. In pratica è il capo della Cupola, ma non ha nessuna autorità e presto diventerà il burattino dei corleonesi. Il vero conflitto è tra Riina e Bontade.

Riina – a suon di mitragliate – esplicita il suo progetto di supremazia. Fa ammazzare i boss Giuseppe Di Cristina (30 maggio 1978) e Giuseppe Calderone (8 settembre 1978), vicinissimi a Bontade e Badalamenti.

Di Cristina è stato il primo a dare l'allarme della pericolosità di Riina e Provenzano. "I viddani sono giunti alle porte di palermo, lo volete capire o no?" - disse ai boss palermitani - ma non gli diedero ascolto.

Di Cristina - dopo la fuga di Badalamenti – ha cominciato ad incontrare di nascosto il capitano dei carabinieri di Gela, Alfio Pettinato, con l'obiettivo di far arrestare Riina.

Riina e Bontade – tramite il capocupola Michele Greco – fanno nominare nuovi capomandamenti. Si cerca di riequilibrare la geografia mafiosa, ma il lavoro da tessitore di Riina dà i suoi frutti. Gli amici dei corleonesi – sul territorio - sono in maggioranza

Nel 1979 i corleonesi fanno approvare dalla commissione provinciale numerosi omicidi eccellenti.

L'11 gennaio viene ammazzato il sottoufficiale della Polizia Filadelfio Aparo, il 26 gennaio il giornalista Mario Francese, il 9 marzo il segretario provinciale Dc Michele Reina, il 21 luglio il vicequestore Boris Giuliano e il 25 settembre il giudice Cesare Terranova e il maresciallo Lenin Mancuso.

Il 6 gennaio 1980 il presidente della Regione Pier Santi Mattarella. Il 4 maggio è il turno del capitano dei carabinieri Emanuele Basile.

Cresce la disapprovazione da parte della fazione di Bontade, finchè Salvatore Inzerillo reagisce facendo ammazzare il giudice Gaetano Costa senza l'approvazione della commissione (6 agosto 1980).

Il 6 settembre 1980 viene ucciso Fra' Giacinto Castronovo, devotissimo a Stefano Bontade. Un frate che in monastero teneva la '38' nel cassetto.

LA MATTANZA

Ma è nel 1981 che la mattanza ha inizio. I boss Bontade, Inzerillo, Spatola, Panno e tutta la "vecchia guardia" mafiosa si incontrano ripetutamente per organizzare un piano per uccidere nientemeno che Totò Riina.

Ma il capo dei corleonesi lo viene a sapere, su soffiata di Michele Greco, e così l'11 marzo fa sparire il boss di Casteldaccia Giuseppe (detto "Piddu") Panno. Bontade reagisce facendo ammazzare due uomini vicini a Riina: Angelo Graziano e Stefano Giaconia.

La seconda guerra di mafia, convenzionalmente, inizia quando Riina ordina l'omicidio degli stesso Stefano Bontade e subito dopo di Salvatore Inzerillo, uccisi rispettivamente il 23 aprile e l'11 maggio 1981.

Dopo Inzerillo è il turno di Mimmo Teresi, vice di Bontade, che cade vittima di un'imboscata insieme a quattro suoi uomini, che vengono strangolati e fatti sparire.

È una strage continua. I corleonesi ammazzano boss e fiancheggiatori, ma anche familiari e amici di tutti gli uomini d'onore che si ritrovano nella fazione opposta alla loro. È caccia aperta anche agli "scappati" in America.

Nel 1982 i giornalisti del Giornale Di Sicilia e de L'Ora – ogni giorno – fanno la loro macabra "conta". Il 4 agosto sono 79 morti dall'inizio dell'anno. Il 7 agosto 86. L'11 agosto 93. Il 26 agosto si raggiunge quota 100.

A Palermo è guerra aperta. L'“arroganza mafiosa” - come la chiamerà Dalla Chiesa – è ai suoi massimi storici.. Dice al giornalista Giorgio Bocca, nella famosa intervista del 10 agosto 1982 che tale arroganza è quella con cui i mafiosi "uccidono in pieno giorno, trasportano i cadaveri, li mutilano, ce li posano fra questura e Regione, li bruciano alle tre del pomeriggio in una strada centrale di Palermo".

Torniamo al 1981. Salvatore Contorno – vicino a Bontade e Inzerillo – scappa ad un agguato a colpi di kalashnikov tesogli dal feroce killer Pino Greco U' Scarpuzzedda.

In sei mesi ammazzano quattordici tra amici e parenti di Totò Contorno, che nel frattempo è fuggito a Roma, dove verrà arrestato il 24 marzo 1982 e poi deciderà di diventare collaboratore di giustizia.

Contorno – dopo Tommaso Buscetta – sarà il pentito più importante del maxiprocesso.

Il boss di Partanna Mondello Rosario Riccobono, detto "ù terrorista", prima vicino a Bontade, passa con i corleonesi e fa uccidere Emanuele D'Agostino, uomo di Bontade, che sparisce nel nulla.

Il 12 giugno 1981 viene ammazzato anche il giovanissimo Giuseppe Inzerillo, 17 anni, figlio di Salvatore, che aveva detto: "Ammazzerò Riina con le mie mani".

Uccisi anche Santo Inzerillo, fratello di Salvatore, e suo zio Calogero Di Maggio, che

vengono rapiti e fatti sparire.

Il terremoto siciliano mette in allerta pure i boss americani, che prendono provvedimenti. Il boss di Broolin Paul Castellano, capo della famiglia Gambino, manda in Sicilia i killer Rosario Naimo e John Gambino (parente degli Inzerillo) per giungere a un accordo. Riina promette che i parenti superstiti avranno salva la vita, a patto però che non ritornino mai più in Sicilia.

Inoltre, la famiglia Gambino deve trovare e uccidere lo zio e il fratello del defunto boss: Antonino e Pietro Inzerillo.

Antonino Inzerillo rimane vittima della "lupara bianca" a Brooklin, mentre il cadavere di Pietro venne ritrovato nel bagagliaio di un'auto a Mount Laurel, nel New Jersey, il 14 gennaio 1982, con una mazzetta di dollari in bocca e tra i genitali.

Il 4 aprile del 1982 il segretario regionale comunista Pio La Torre organizza la "manifestazione dei centomila" contro l'installazione della base per i missili Cruise presso l'aeroporto di Comiso. Il 4 aprile palesa il suo indirizzo antimafioso con la relazione introduttiva al IX congresso regionale del Pci.

Pio La Torre viene ammazzato il 30 aprile, insieme al suo autista Rosario Di Salvo.

IL TRIANGOLO DELLA MORTE E L'OPERAZIONE CARLO ALBERTO

Decine di morti anche in provincia di Palermo, tra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia. Regolamenti di conti, scalate di potere, vendette trasversali. Una zona che verrà chiamata dalla stampa nazionale "il triangolo della morte". Una recrudiscenza della violenza mafiosa in provincia che coincide con la permanenza a Palermo del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei carabinieri in congedo, reduce dal successo contro le brigate rosse, che ha prestato servizio a Corleone tra il '66 e il '73.

Dalla Chiesa arriva in Sicilia due giorni dopo l'omicidio di Pio La Torre (2 aprile 1982), e viene ammazzato – insieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro – il 3 settembre dello stesso anno.

Appena insediatosi a Villa Whitaker, sede della prefettura, mette a segno una clamorosa perquisizione negli uffici delle esattorie siciliane, contro l'impero dei cugini Nino e Ignazio Salvo.

Antefatto degli omicidi del triangolo della morte è la cosiddetta "strage di Natale" del 25 dicembre 1981, un folle inseguimento e sparatoria per le vie della cittadina alle porte di Palermo, conclusasi con l'omicidio del boss di Villabate Giovanni De Peri e del suo braccio destro Biagio Pitarresi, e con il sequestro e la sparizione del figlio Antonino Pitarresi. Nella sparatoria viene colpito pure Onofrio Valvola, pensionato che si è affacciato alla finestra per vedere cosa sta succedendo. A bordo della macchina dei killer ci sono il superkiller Pino Greco U' Scarpuzzedda, il boss di Corso dei mille Filippo Marchese, suo nipote Pino Marchese (18 anni, si pentirà nel 1992) e altri uomini d'onore.

L'uccisione di Giovanni De Peri è una ricompensa dei corleonesi a Salvatore Montalto di Villabate, appena passato con la fazione di Totò Riina, che punta a diventare il reggente di Villabate. (Montalto verrà arrestato il 7 novembre 1982, una settimana dopo verrà ammazzato il poliziotto della sezione investigativa Calogero Zucchetto, che aveva contribuito all'arresto).

Il boss Filippo Marchese di Corso dei mille, all'interno della mattanza siciliana, è uno dei personaggi più sanguinari e importanti. È celebre per la sua "camera della morte" in piazza Sant'Erasmo, a Palermo, in cui tortura, strangola e scioglie nell'acido decine di vittime.

Non appena cominciano gli scontri interni alla Cupola, Filippo Marchese passa con i corleonesi, diventando uno dei loro killer più fidati. Partecipa all'omicidio di Pio La Torre e dei boss Bontade e Inzerillo.

Nel luglio 1982, Filippo Marchese suggella l'alleanza con i corleonesi con un altro omicidio, quello del proprio cognato Pietro Marchese – fratello della moglie, che di cognome fa pure Marchese – che viene ammazzato in carcere.

Intanto, da più lati, fioccano i morti. Il 16 giugno 1982 c'è la strage della circonvallazione, dove i killer dei corleonesi ammazzano il boss Alfio Ferlito mentre lo trasportano al carcere di Trapani. Con lui, cadono sotto i colpi di mitragliatice anche tre carabinieri e l'autista.

In provincia, l'omicidio di Gregorio Marchese, cognato di Filippo Marchese (3 agosto 1982) innesca un meccanismo sanguinario che porterà a decine di morti nell'arco di poche settimane.

Filippo Marchese si vendicherà cercando confusamente i responsabili e lasciandosi dietro una scia di sangue mai vista prima.

Qualcuno – probabilmente lo stesso Salvatore Montalto di Villabate – lo mette sulla strada della banda Parisi, una banda di briganti che opera nelle campagne tra Casteldaccia e Altavilla Milicia, capeggiati dal latitante Antonino Parisi, responsabile della morte del carabiniere Orazio Costantino del 1969.

Il 5 agosto 1982 viene assassinato Giusto Parisi, fratello del latitante. Lo stesso giorno, a Bagheria, vengono ammazzati Cesare Manzella, consigliere comunale ex democristiano e ora socialista, e Michelangelo Amato, suo portaborse.

Il 6 agosto, ad Altavilla, viene ucciso Pietro Martorana, figlioccio di Don Piddu Panno, fatto sparire l'anno prima a Casteldaccia.

Al tramonto, a Casteldaccia, vengono assassinati Michele Carollo, fedelissimo di Panno, e Santo Grassadonia, vicino alla famiglia di Villabate.

Il 7 agosto omicidio di Francesco Pinello, nella mattinata, ad Altavilla. Verso mezzanotte, davanti alla stazione dei carabinieri di Casteldaccia, viene ritrovata una Fiat 127 rossa con due cadaveri incaprettati all'interno. Sono Cesare Peppuccio

Manzella, ex operaio Fiat, e Ignazio Pedone, meccanico. Poco prima è arrivata una chiamata, effettuata da Salvatore Rotolo, braccio destro di Filippo Marchese: "Se vi volete divertire, andate a guardare nella macchina che è posteggiata proprio davanti alla vostra caserma".

Martedì 9 agosto c'è l'omicidio di Leonardo Rizzo, pregiudicato bagherese che viene trovato morto nel suo appezzamento di terreno a Capo Zafferano.

Mercoledì 10 agosto gli uomini di Filippo Marchese continuano a fare piazza pulita dei vecchi mafiosi di Villabate, per togliere ogni ostacolo all'ascesa di Salvatore Montalto.

Quasi in contemporanea - alle ore 8.20 e 8.25 – vengono ammazzati due parenti del boss Giovanni Di Peri, ucciso nella strage di Natale di Bagheria.

Salvatore Di Peri viene ucciso a Palermo, in via dei Tornieri, presso il mercato della Vucciria. Pietro Di Peri a Villabate, in via Alcide De Gasperi.

Come scimmiottando le brigate rosse, contro cui Dalla Chiesa è stato avversario e vincitore, i mafiosi per la prima volta rivendicano un omicidio, con una telefonata al quotidiano L'Ora: “Pronto, siamo l'equipe dei killer del triangolo della morte: con i fatti di stamattina l'operazione che chiamiamo "Carlo Alberto", in onore del prefetto, è quasi conclusa. Dico quasi conclusa”.

Dalla Chiesa verrà ammazzato una ventina di giorni dopo: il 3 settembre.

Il giorno dopo, alla redazione palermitana del quotidiano «La Sicilia» di Catania, arriva la seguente telefonata: «L'operazione Carlo Alberto si è conclusa».

Al funerale di Dalla Chiesa, i palermitani lanciano monetine sulle automobili che trasportano le Autorità.

In Cattedrale il cardinale Salvatore Pappalardo pronuncia il celebre discorso che va sotto il titolo di una espressione latina di Tito Livio: "Dum Romae consulitur... Saguntum expugnatur" e cioè mentre a Roma si discute il da farsi, Sagunto viene espugnata dai nemici".

Giorno 13 settembre 1982 il Parlamento nazionale approva la legge Rognoni-La Torre, che introduce il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis del codice penale) e permette inoltre allo Stato di confiscare i beni dei mafiosi che abbiano provenienza illecita.

Giovedì 11 agosto 1982, nella mattinata, gli ultimi due omicidi degli uomini di Filippo Marchese, a Palermo. Viene ucciso Paolo Giaccone, medico legale che si rifiuta di falsificare la perizia sulla strage di Natale del 1981.

Dopo l'omicidio – intorno alle dieci di mattina - i killer Salvatore Rotolo, Angelo Baiamonte, i fratelli Vincenzo e Antonino Sinagra e il loro cugino Vincenzo Sinagra (detto U' Ndli) si incontrano in via Messina Marine e si recano in via 4 aprile, tra via Alloro e piazza Marina, per ammazzare Diego Di Fatta, colpevole di uno scippo ad un'anziana signora protetta dalla mafia di Corso dei Mille.

Dopo aver sparato a Di Fatta, la macchina con a bordo i 5 killer si infila in un vicolo

cieco. Riesce a fuggire soltanto Salvatore Rotolo, mentre gli altri quattro vengono arrestati dai carabinieri che avevano assistito all'omicidio.

Uno dei killer, Vincenzo Sinagra U' Ndli, diventerà un importante collaboratore di giustizia, protagonista al maxi processo del 1986, e svelerà numerosi particolari di questo periodo.

Di Filippo Marchese si perderanno le tracce. Alcuni pentiti raccontano che Totò Riina lo fa ammazzare e sciogliere nell'acido da Pino Greco Scarpuzzedda, tra il 1983 e il 1984, perchè considerato troppo pericoloso e instabile.

LA STRAGE CONTINUA

I corleonesi ammazzano gli nemici – interni ed esterni – ma ammazzano pure gli amici di cui non si fidano. Quelli che possono diventare, in futuro, un problema.

È il caso della strage del 30 novembre 1982, quando all'interno di Cosa Nostra avviene qualcosa di assimilabile alla “notte dei lunghi coltelli” della storia nazista.

L'alleato tradito è Rosario Riccobono, boss di Partanna Mondello che – allo scoppiare dello scontro - è passato con i corleonesi dopo essere stato fedelissimo di Bontade.

Il capocupola Michele Greco invita Riccobono per una grigliata all'aperto, presso la sua tenuta a Ciaculli. Con lui, tutti i suoi uomini migliori: Salvatore Scaglione, Giuseppe Lauricella, il figlio Salvatore, Francesco Cosenza, Carlo Savoca, Vincenzo Cannella, Francesco Gambino e Salvatore Micalizzi.

Ma gli invitati cadono vittima di un agguato tesogli da Totò Riina e Bernardo Brusca, che – dopo il pranzo – li uccidono a colpi di pistola e li strangolano con l'aiuta di Pino Greco Scarpuzzedda, Giovanni Brusca e Baldassarre Di Maggio.

Nella stessa giornata a Palermo vengono uccisi numerosi associati di Riccobono e pochi giorni dopo suo fratello, Vito Riccobono, viene trovato decapitato nella sua auto.

Vengono ammazzati il padre, lo zio, il suocero, il cognato di Giovannello Greco, boss di Ciaculli, il quale si vendica il giorno di Natale del 1982, cercando di sparare al cugino Pino Greco U' Scarpuzzedda ma senza riuscire ad ucciderlo.

Questo provoca un accanimento contro i parenti di Badalamenti e Buscetta, sospettati dai corleonesi di sostenere Giovannello Greco: già nel settembre 1982 due figli di Buscetta vengono inghiottiti dalla "lupara bianca" e un cognato viene ucciso mentre il 29 dicembre tocca al fratello Vincenzo e al nipote Benedetto.

I corleonesi fanno pulizia interna ma continuano, ovviamente, la pulizia esterna.

Il 14 novembre 1982, il 27enne poliziotto della sezione investigativo Calogero Zucchetto viene assassinato davanti al bar Collica, un elegante bar del centro. Stava

svolgendo delicate operazioni investigative per conto del suo superiore Ninni Cassarà, che stilerà – con la collaborazione dello stesso Zucchetto e di Beppe Montana – l'importantissimo rapporto "Michele Greco+161".

Nella notte tra il 25 e il 26 gennario 1983, a Trapani, viene assassinato il giudice Gian Giacomo Ciaccio Montalto.

Il 26 febbraio del 1983 è il giorno della marcia contro la mafia e contro la droga, in cui cinquemila persone giunte da tutte le parti della Sicilia percorrono la via dei "valloni" – residenza di latitanti e teatro di fatti di sangue – tra Bagheria e Casteldaccia. È la prima volta che si verifica un evento del genere, e avviene su iniziativa della Chiesa e dei partiti d'opposizione.

Ma le violenze continuano. Il 28 febbraio, nel quartiere palermitano di Brancaccio, una Alfasud della Polizia viene fatta saltare in aria col tritolo provocando il ferimento di tre agenti. Sono dati alle fiamme la cereria dei fratelli Gance e i depositi dei panifici Spinnato perché i titolari non vogliono pagare il pizzo.

Sempre a Brancaccio, il 29 marzo, 29, Paolo Agnilleri, 32enne, consigliere comunale comunista , viene pestato a sangue da un gruppo di "picciotti" mascherati.

Il 9 maggio il cardinale Salvatore Pappalardo trascorre diverse ore nel quartiere senza scorta e accompagnato soltanto da qualche sacerdote, dove sprona il popolo a non arrendersi.

Il 13 giugno vengono uccisi il capitano dei carabinieri Mario D'Aleo, comandante della compagnia dei carabinieri di Monreale, l'appuntato Giuseppe Bommarito e il carabiniere Pietro Morici.

Il 23 luglio 1983, con una macchina imbottita al tritolo in via Pipitone Federico, viene ucciso il capo ufficio istruzione di Palermo, il magistrato Rocco Chinnici.

Chinnici è diventato capo dell'ufficio istruzione nel 1982, dopo la morte per cause naturali del procuratore Pizzillo.

Il 14 febbraio, dopo la perquisizione disposta da Giovanni Falcone a Milano in Via Larga 13 (una delle basi operative del traffico di eroina), Chinnici si è reso protagonista del blitz di San Valentino.

Il 1 luglio, Chinnici ha relazionato a Milano sulla criminalità organizzata di fronte ai componenti della commissione incaricata dal comune del capoluogo lombardo di studiare il fenomeno mafioso nell'hinterland.

Il 9 luglio il giudice Giovanni Falcone, in pieno accordo con Rocco Chinnici, emette 14 mandati di cattura contro pericolosissimi mafiosi, accusati di essere fra i mandanti e i killer dell'uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Salvatore Greco, Pietro Vernengo, Benedetto Santapaola. Si parla inoltre di un'altra ventina di mandati di cattura, pronti alla firma, che dovrebbero portare in carcere, tra altri nomi eccellenti, addirittura i cugini esattori Nino e Ignazio Salvo.

A sostituire Rocco Chinnici è chiamato il 63enne Antonino Caponnetto, che arriva a Palermo l'11 novembre.

Con Caponnetto si perfeziona la formula del pool antimafia di cui Chinnici ha gettato le basi. Ad affiancare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengono chiamati Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello.

Il 5 gennaio 1984, davanti al Teatro Stabile di Catania, viene ucciso il giornalista Beppe Fava.

1984-1985 IL TERREMOTO BUSCETTA

Nel 1984 Tommaso Buscetta – arrestato a San Paolo del Brasile il 23 ottobre 1983 - inizia a collaborare con la giustizia.

Dalle sue dichiarazioni scatterà – in data 29 settembre – una delle operazioni antimafia più importanti di sempre: il blitz di San Michele. I magistrati del pool antimafia spiccano 366 mandati di cattura. Solo una piccola percentuale di mafiosi riuscirà a rendersi irreperibile e a scampare all'arresto. Il blitz di San Michele porterà al Maxi Processo del 1986.

La risposta di Riina arriva subito. Il 18 ottobre 1984 c'è la strage di Piazza Scaffa, a Palermo. Otto persone sono rinchiuse in una stalla – cortile macello, dentro Piazza Scaffa - messe al muro e fucilate da una decina di killer.

L'obiettivo sono i fratelli Cosimo e Francesco Quattrocchi, commercianti di carne equina, proprietari di alcune macellerie in città. Con loro muoiono il cugino Cosimo Quattrocchi, il cognato Marcello Angelini, il socio Salvatore Schimmenti e poi Paolo Canale, Giovanni Catalanotti e Antonino Federico che stavano semplicemente dando una mano a sistemare alcuni arrivati appena arrivati dalla Puglia.

La strage è un duplice segnale di Totò Riina. Ai magistrati del pool antimafia, e all'affronto del blitz di San Michele, ma anche – rivelano i pentiti - per dare un segnale interno all'organizzazione mafiosa e ad alcuni personaggi che stanno prendendo troppo piede, come ad esempio Pino Greco Scarpuzzedda, che infatti verrà fatto ammazzare un anno dopo.

Nel marzo 1984, a Madrid viene arrestato il bosso e il figlio Leonardo. Badalamenti era proveniente da Rio, e viene poi trasferito negli Usa.

Il 18 settembre 1984, a Bagheria, viene ammazzato il senatore Ignazio Mineo, alto funzionario del Ministero delle Finanze. L'8 ottobre verrà assassinato, sempre a Bagheria, il suo segretario Salvatore Prezentano.

Il 3 novembre viene arrestato Vito Ciancimino, corleonese, ex sindaco di Palermo ed ex assessore ai lavori pubblici ai tempi del sacco di Palermo. Il 12 novembre vengono arrestati i ricchissimi cugini Nino e Ignazio Salvo, di Salemi, che gestiscono in regime di monopolio le esattorie siciliane. Il 18 novembre si suicida Rosario Nicoletti, ex segretario Dc, sospettato di collusioni con la mafia.

Il 2 dicembre 1984, all'uscita della messa, viene ucciso Leonardo Vitale, insieme alla madre e alla sorella. Leonardo Vitale, condannato nel 1977, è stato il primo pentito di mafia. Dopo una crisi mistica, cominciò a raccontare cos'era la mafia, ma non viene creduto e viene preso per pazzo. Era uscito di prigione nel giugno 1984.

Il 7 dicembre viene ucciso – davanti la gelateria New Hall Garden - Pietro Busetta, 62enne, incensurato, marito di Serafina Buscetta, sorella del boss che non vede da vent'anni.

Nel dicembre 1984, negli Usa, c'è la colossale operazione Pizza Connection, ai danni della famiglia Bonanno, diretta dal boss italoamericano Salvatore Catalano. L'operazione deriva dalle rivelazioni di Buscetta e dalle indagini che hanno portato all'arresto di Badalamenti. Risulta così che l'eroina introdotta negli Stati Uniti dal 1979, per 1,650 Mdi di dollari (2.700 Mdi di lire), proviene dalla Sicilia, dalla Spagna e dal Sud America; centro di produzione alla fonte l'Afghanistan, massimo fornitore, Gaetano Badalamenti.. I centri di distribuzione più importanti della droga sono una serie di pizzerie di Cosa Nostra italo-americana, controllata da mafiosi di origine siciliana a New York e nelle altre città degli Stati Uniti.

Il 23 febbraio 1985 viene assassinato l'imprenditore Roberto Parisi, insieme col suo autista. Presidente della squadra locale di calcio, vicepresidente dell'Associazione degli industriali palermitani, aveva costruito la sua fortuna sugli appalti del comune di Palermo.

Il 28 febbraio viene ammazzato Pietro Patti. industriale palermitano, si rifiuta di pagare mezzo miliardo di lire "per la sua protezione"; viene assassinato; sua figlia, la piccola Gaia, di nove anni, che si trovava insieme a lui al momento dell'attentato è ferita gravemente.

Il 30 marzo viene arrestato Pippo Calò, mafioso di Porta Nuova, insieme con Nino Rotolo. Calò, che fa la spola tra la Sicilia e Roma, diventerà uno degli imputati-chiave del maxi-processo.

Il 2 aprile, a Trapani, fallito attentato ai danni del sostituto procuratore Carlo Palermo. Nell'esplosione dell'auto-bomba (50 kg di plastico) perdono la vita i passeggeri di un'automobile che passava di lì: la signora Barbara Asta e i suoi figli gemelli Salvatore e Giovanni. Il giudice Carlo Palermo lascerà la toga il 17 ottobre 1984, dopo essere stato sanzionato dal Csm a causa di alcune indagini su Bettino Craxi e l'On. Paolo Pellitteri, senza l'autorizzazione del Parlamento.

Nell'estate 1985 la sezione investigativa di Palermo è scossa dagli omicidi, in rapida successione, del commissario Beppe Montana, il 28 luglio 1985, e del vicequestore Ninni Cassarà, il 6 agosto 1985.

L'azione investigativa dei due ricopre importanza fondamentale per aver ricostruito

le dinamiche politiche-affaristico-mafiose nel celebre rapporto “Michele Greco+161”.

Nel settembre 1985 Totò Riina fa eliminare il suo killer migliore e più feroce, Pino Greco Scarpuzzedda, sia per ridurre la forza della cosca di Ciaculli, sia perché ormai Greco è ritenuto troppo ambizioso, vedendolo gli altri killer come un potenziale futuro capo.

La motivazione espressa da Riina, per spiegare l'uccisione di Greco, sarebbe stata la stessa che usò per la scomparsa di Filippo Marchese: "È pazzo”.

Secondo il pentito Francesco Marino Mannoia, Greco viene ucciso a colpi di pistola da Giuseppe Lucchese Miccichè e Vincenzo Puccio in una villa tra Bagheria e Ficarazzi dove Greco viveva in latitanza.

Con i due killer, c'era pure una terza persona Agostino Marino Mannoia, fratello di Francesco.

Il 23 novembre del 1988, a Bagheria, le armi da fuoco tornano a tuonare per uccidere la madre, la sorella e la zia del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia. Le vittime sono Leonarda Cosentino, Vincenza Marino Mannoia e Lucia Cosentino. L’agguato scatta di sera, in via Vallone De Spuches.

Francesco Marino Mannoia, detto "Il chimico", esperto di raffinazione, uomo di fiducia di Stefano Bontade, è già stato condannato nel 1980 a 5 anni di carcere. Evade di prigione nel dicembre 1983 e per due anni presta i suoi servizi ai corloenesi, ma verrà riarrestato nel dicembre 1985. Comincia a collaborare con la giustizia dopo l'uccisione del fratello Agostino.

GLI ARRESTI E IL MAXI PROCESSO

La seconda guerra di mafia non ha una data di "armistizio" o di "fine delle ostilità". Dopo il 1984, il numero delle vittime scende di molto, sia per l'ottenuta supremazia dei corleonesi sia per i colpi inferti a Cosa Nostra dal pool antimafia di Antonino Caponnetto, di cui Falcone è la mente e lo stratega.

Prima i 366 mandati di cattura del blitz di San Michele del settembre 1984, poi il maxiprocesso di Palermo, che inizia il 10 febbraio 1986 e si conclude 16 dicembre 1987. Durante tutta la durata del maxiprocesso la mafia resta come in apnea. Non si spara più e non si uccide più.

Finito il maxi processo, la violenza mafiosa si rivolgerà soprattutto verso l'esterno – limitando al massimo le rese dei conti interne. E ci saranno le stragi di Capaci, Via D'Amelio e le bombe di Roma, Firenze e Milano.