Silvia Ruotolo

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Silvia Ruotolo (Napoli, 18 gennaio 1958 – Napoli, 11 giugno 1997), è stata una giovane mamma, vittima innocente in un agguato di Camorra. Era cugina dei giornalisti Sandro e Guido Ruotolo, il primo storico collaboratore di Michele Santoro, l'altro giornalista de La Stampa.

Silvia Ruotolo

Biografia

Infanzia e adolescenza

Nata a Napoli in una famiglia benestante del Vomero, era figlia di Michele Ruotolo e Maria Teresa della Guda. Trascorse serenamente la sua infanzia, circondata dall'affetto della sorella maggiore Michela e del fratello più piccolo Giovanni. All'età di 14 anni venne colpita da un grave lutto, la morte prematura del padre, che segnò profondamente la sua adolescenza.

Finiti gli studi magistrali, nel 1982 incontrò Lorenzo Clemente, con cui si sposò nel 1984 e dal quale ebbe due figli: Alessandra e, cinque anni più tardi, Francesco.

L'omicidio

L'11 giugno 1997, Silvia percorreva a piedi la salita Arenella, una strada stretta e molto trafficata, utilizzata da centinaia di persone al giorno come scorciatoia per raggiungere la collina del Vomero. Per mano teneva suo figlio, di soli 5 anni, mentre dal balcone di casa, la figlia Alessandra, aspettava il ritorno della madre e del fratellino. Improvvisamente il traffico si bloccò: due uomini scesero dalla loro auto e iniziarono a sparare all'impazzata.

Silvia fu colpita a morte alla testa da uno dei 40 proiettili che avevano come obiettivo due affiliati del Clan Cimmino, Salvatore Raimondi, ucciso anche lui, e Luigi Filippini, ferito insieme ad uno studente universitario, Riccardo Valle.

Indagini e processi

Decisivo per le indagini fu l’interrogatorio di Filippini, che dopo ore e ore di domande da parte degli inquirenti, iniziò a collaborare, confermando che si trattava di un agguato di Camorra, compiuto da un commando di sette uomini, due su una “Y10”, tre su una “Opel” e due su una moto. Filippini accusò Rosario Privato, che venne arrestato il 24 luglio dello stesso anno mentre si trovava in vacanza in Calabria. Privato si pentì immediatamente, iniziando a collaborare. Per le sue rivelazioni, Privato pagò un prezzo altissimo: l’uccisione dello zio Giovanni Arpa, pensionato sessantanovenne rapito, sgozzato e poi impiccato in un casolare abbandonato alla periferia della città[1].

L'11 febbraio 2001 la quarta sezione della Corte d’Appello di Napoli, presieduta da Giustino Gatti, condannò all'ergastolo il boss Giovanni Alfano, Vincenzo Cacace e Mario Cerbone, mentre Privato venne condannato a 26 (contro i 16 chiesti dalla Procura) e Raffaele Rescigno, l'autista del commando, a 20 anni di reclusione[2].

Nel 2011, la terza sezione della Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Omero Ambrogi, condannò all'ergastolo Mario Cerbone, l’ultimo degli imputati per il quale il procedimento era ancora in corso, confermando le altre quattro condanne, compreso l'ergastolo al boss del Vomero Giovanni Alfano, il mandante della spedizione di morte sfociata nel tragico omicidio di Silvia Ruotolo. Per due volte, infatti, la Cassazione aveva annullato le sentenze emesse dai giudici di appello (una di condanna all'ergastolo, una di assoluzione) disponendo un nuovo processo.

La fondazione Ruotolo

L'11 luglio 2007 la dodicesima sezione del Tribunale Civile di Napoli riconobbe alla famiglia Ruotolo un risarcimento di 500 milioni che venne utilizzato dal Comitato Silvia Ruotolo e da Libera per costituire una fondazione a nome di Silvia per aiutare i ragazzi più in difficoltà. L’11 giugno 2011 nacque così la Fondazione Silvia Ruotolo onlus, motto "Tutto ciò che libera e tutto ciò che unisce in memoria di Silvia Ruotolo", con lo scopo principale di diffondere fra le nuove generazioni una cultura antimafia.

Note

Bibliografia

  • Antonella Mascali, Lotta Civile, Chiarelettere, 2009
  • Sito della Fondazione Silvia Ruotolo Onlus
  • Archivio Storico de la Repubblica e del Corriere della Sera