Strage di Pizzolungo: differenze tra le versioni

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Con '''Strage di Pizzolungo''' si intende generalmente l'attentato dinamitardo compiuto il [[2 aprile]] [[1985]] a Pizzolungo, nel trapanese, da [[Cosa Nostra]] per uccidere il magistrato [[Carlo Palermo]], rimasto illeso, dove persero la vita [[Barbara Rizzo]] e i suoi due figli Giuseppe e Salvatore Asta.
Con '''Strage di Pizzolungo''' si intende generalmente l'attentato dinamitardo compiuto il [[2 aprile]] [[1985]] a Pizzolungo, nel trapanese, da [[Cosa Nostra]] per uccidere il magistrato [[Carlo Palermo]], rimasto illeso, dove persero la vita [[Barbara Rizzo]] e i suoi due figli [[Giuseppe Asta|Giuseppe]] e [[Salvatore Asta]].


== La strage ==
== La strage ==

Versione delle 00:50, 21 mar 2020


L'auto dilaniata dopo l'esplosione

Con Strage di Pizzolungo si intende generalmente l'attentato dinamitardo compiuto il 2 aprile 1985 a Pizzolungo, nel trapanese, da Cosa Nostra per uccidere il magistrato Carlo Palermo, rimasto illeso, dove persero la vita Barbara Rizzo e i suoi due figli Giuseppe e Salvatore Asta.

La strage

La mattina del 2 aprile 1985 il magistrato Carlo Palermo si stava recando dalla sua casa di Bonagia, frazione del comune di Valderice, al Palazzo di Giustizia di Trapani, a bordo di una Fiat 132 blindata, seguito da una Fiat Ritmo di scorta, anch'essa blindata. Lungo la strada provinciale che attraversava Pizzolungo era stata posizionata un'autobomba, pronta ad esplodere al passaggio dell'auto del giudice. Poco dopo le 8:35 la Fiat 132 sorpassò una Volkswagen Scirocco guidata da Barbara Rizzo, 30 anni, la quale stava accompagnando i suoi due figli di 6 anni Giuseppe e Salvatore Asta, gemelli; benché l'auto guidata dalla donna si trovasse quindi tra la macchina del giudice e l'autobomba, quest'ultima venne fatta esplodere ugualmente, nella convinzione che avrebbe ucciso il giudice.

Barbara Rizzo coi suoi due figli

La Volkswagen Scirocco invece fece da scudo all'auto di Palermo, che rimase solo ferito. Il corpo di Barbara Rizzo venne squarciato dall'esplosione e catapultato fuori dall'abitacolo, mentre i brandelli dei due bambini vennero recuperati a centinaia di metri di distanza. In particolare, uno dei corpi dei due gemelli fu ritrovato nei pressi di una palazzina a duecento metri di distanza dall'esplosione, dove sul muro rimase una grossa macchia di sangue.

Accorsi sul luogo dell'esplosione, il marito della donna, Nunzio Asta, con il cognato, non pensarono inizialmente che nell'esplosione fossero coinvolti i propri parenti, dato che sul luogo dell'attentato erano stati ritrovati solo la Fiat 132 e la Ritmo del giudice e della sua scorta. Solo una volta giunto al lavoro nella sua officina ricevette una telefonata della polizia che chiedeva il numero di targa della sua auto, senza aggiungere nient'altro, mentre un'impiegata gli riferì la notizia che i suoi figli non erano mai giunti a scuola.

Le indagini

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La prima pagina de l'Unità dopo l'attentato

Le indagini sulla strage vengono condotte dal procuratore della Repubblica di Caltanissetta Sebastiano Patané. Inizialmente furono sospettati come esecutori materiali della strage alcuni mafiosi delle cosche di Alcamo e Castellammare del Golfo (Vincenzo Milazzo, Filippo Melodia, Vincenzo Cusumano, Pietro Montalbano, Gioacchino Calabrò, Mariano Asaro, Gaspare Crociata, Antonino Palmeri), mentre il movente fu individuato nel tentativo di bloccare le inchieste del giudice su una raffineria di eroina nei pressi di Alcamo, dove 22 giorni dopo la strage venne rinvenuto un giornale con l'orecchia sulla pagina in cui si parlava proprio delle sue indagini[1][2].

Per queste ragioni Gioacchino Calabrò, Vincenzo Milazzo e Filippo Melodia vennero condannati all'ergastolo in primo grado ma assolti nel 1990 dalla Corte d'Appello di Caltanissetta e l'anno successivo dalla Cassazione presieduta dal giudice Corrado Carnevale, detto l'Ammazza-sentenze[3].

A seguito delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Francesco Di Carlo, Pietro Scavuzzo, Giovan Battista Ferrante e Giovanni Brusca), furono rinviati a giudizio come mandanti della strage i boss Salvatore Riina, Vincenzo Virga (condannati nel 2002 all'ergastolo), Baldassare Di Maggio (condannato alla stessa pena nel 2004) e Antonino Madonia (assolto). Ad oggi gli esecutori materiali restano sconosciuti[4].

Memoria

Su luogo della strage vi è una stele che recita:

«Rassegnati alla morte non all'ingiustizia le vittime del 2-4-1985 attendono il riscatto dei siciliani dal servaggio della mafia. Barbara, Giuseppe e Salvatore Asta»

La morte di Giuseppe e Salvatore è ricordata nella canzone "Beppe e Tore" dei Modena City Ramblers, contenuta nell'album "Niente di nuovo sul fronte occidentale".

L'unico esponente della famiglia Asta ancora in vita è la figlia maggiore Margherita, all'epoca della strage undicenne, attualmente attiva nell'associazione Libera contro le mafie in provincia di Trapani; suo padre Nunzio morì lo stesso anno della strage a soli 46 anni per problemi cardiaci (aveva già subito un intervento di by-pass al cuore).


Note

  1. Attilio Bolzoni, Gli 8 uomini che volevano la morte del giudice, la Repubblica, 4 ottobre 1987
  2. Attilio Bolzoni, I killer dell'auto al tritolo, la Repubblica, 16 luglio 1985
  3. Francesco Viviano, L'attentato a Carlo Palermo, strage di mafia senza colpevoli, la Repubblica, 13 marzo 1990
  4. Antimafia Duemila, i processi (sofferti) per la strage di Pizzolungo, 31 marzo 2015

Bibliografia

  • Margherita Asta, Michela Gargiulo, Sola con te in un futuro aprile, Fandango, 2015
  • Carlo Palermo, L'attentato, Publiprint, 1993
  • Pif, La Strage di Pizzolungo, Puntata di Caro Marziano, Rai 3, 3 maggio 2017