Torquato Ciriaco

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Torquato Ciriaco (Girifalco, 4 settembre 1947 – Maida, 1° marzo 2002) è stato un avvocato e imprenditore calabrese, vittima innocente di 'ndrangheta .

Torquato Ciriaco
Torquato Ciriaco

Biografia

Nato a Girifalco, un paese collinare ai piedi del monte Covello in provincia di Catanzaro Catanzaro, Torquato viveva con la moglie e le sue figlie a Maida, paese di poco meno di 5mila abitanti non distante da Lamezia Terme. Molto appassionato di diritto, divenne avvocato, pur continuando a gestire l'azienda agricola di famiglia. Molto noto a Lamezia per le sue attività, si occupava di cause civili e amministrative, svolgendo attività di consulenza a diverse aziende del territorio.

L'omicidio

La sera del 1° marzo 2002, Ciriaco stava tornando a casa da Lamezia, quando intorno alle 23:00 un'auto affiancò il suo fuoristrada, esplodendo diversi colpi di fucile caricato a pallettoni. L'avvocato, ferito al fianco sinistro, si schiantò contro un muro sul lato opposto della strada. I killer lo finirono con due colpi di pistola alla testa.

Ai funerali, celebrati due giorni dopo dal vescovo, parteciparono oltre mille persone, tra cittadini e rappresentanti locali delle istituzioni[1].

Indagini

Poche ore dopo l'agguato venne rinvenuta nelle vicinanze una Fiat Punto bruciata, risultata poi rubata un mese prima a Reggio Calabria. Il ritrovamento della probabile auto usata dagli assassini e le modalità dell'omicidio facevano da subito intendere che fosse un agguato maturato in ambienti mafiosi reggini.

Dopo aver perquisito lo studio dell'avvocato ed ascoltato molti imprenditori con i quali aveva rapporti di lavoro, gli inquirenti si concentrarono su due piste: la prima guardava al possibile ruolo che il professionista aveva avuto nell'apertura di una sala Bingo, la seconda invece gli appalti dei lavori di ammodernamento dell'Autostrada A3 (la Salerno-Reggio Calabria).

La prima venne quasi subito scartata, mentre gli inquirenti accesero i riflettori sull'attività di consulenza legale dell'Avvocato per una società appaltatrice di Lamezia Terme, coinvolta in un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro[2].

Lo scioglimento di Lamezia Terme

Durante la seduta della Commissione Parlamentare Antimafia dell'8 ottobre 2002, il senatore Massimo Brutti, dei Democratici di Sinistra (DS), affermò senza mezze misure che «Lamezia Terme è governata da una cupola affaristico-mafiosa che decide sulla gestione pubblica» e che «ad ordinare l'eliminazione fisica dell'avvocato lametino sia stata appunto una cupola», aggiungendo, davanti al Ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu, che «l'omicidio getta un fascio di luce su una serie di intrighi e di traffici che riguardano la criminalità organizzata, ma anche famiglie dell'establishment lametino nonché la sfera politica».

Il 5 novembre 2002 dopo il Consiglio dei ministri, sulla base della relazione presentata alla Commissione dal Prefetto di Catanzaro Corrado Catenacci e su richiesta dello stesso, decise lo scioglimento del Consiglio comunale di Lamezia Terme per infiltrazioni mafiose. Si trattava della seconda volta, in poco più di dieci anni.

L'omicidio dell'avvocato Ciriaco sembrò essere una delle cause che determinarono lo scioglimento. Nella sentenza che respinse il ricorso dell'ex-Sindaco il TAR fece infatti riferimento a «un noto professionista rimasto tragicamente vittima di un agguato di chiaro stampo mafioso»; il tribunale amministrativo richiamava anche l'attenzione sull'«impressionante catena omicidiaria, profilando una possibile interferenza, almeno in taluno di quegli episodi di matrice mafiosa, con le attività economiche connesse all'azione amministrativa dell'ente. In tale quadro sembra potersi leggere l'episodio delittuoso ricordato»[3].

Le indagini ferme e la richiesta di verità della famiglia

Nonostante vi fossero stati solleciti anche da parte di parlamentari membri della Commissione Antimafia, le indagini sull'omicidio di Torquato Ciriaco si impantanarono, tanto da costringere nel 2009 la vedova a scrivere una lettera aperta all'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano[4]. L'anno successivo, quando l'Avvocata decise di candidarsi per il Consiglio Regionale con la lista "Autonomia e diritti", a sostegno del candidato del centrosinistra Loiero, fu vittima di un'intimidazione: una busta con dieci proiettili venne lasciata davanti casa sua, dopo aver rotto il vetro di una finestra[5].

La svolta: la collaborazione di Francesco Michienzi

Il 22 gennaio 2014, dopo ben 12 anni, la DDA di Catanzaro comunicò finalmente la conclusione delle indagini. La vicenda dell'omicidio venne ricostruita grazie alla decisione di collaborare con la giustizia di Francesco Michienzi, incaricato di pedinare l'avvocato per studiarne le abitudini.

Le dichiarazioni di Michienzi rivelarono che l’omicidio sarebbe stato deciso dai vertici degli Anello di Filadelfia, provincia di Vibo Valentia, 'ndrina legata alla potente famiglia dei Mancuso di Limbadi e anello di congiunzione tra la 'ndrangheta vibonese e quella lametina. Il movente era da ricondurre all’interessamento dell’avvocato, per conto di un suo cliente, l'imprenditore lametino Salvatore Mazzei, per un complesso aziendale riconducibile a una società edile dichiarata fallita. Su quei beni però, che si trovavano nel territorio degli Anello, avevano già messo gli occhi gli uomini della 'ndrina, che volevano acquisirli per il tramite di un altro imprenditore. Ecco perché, secondo l'accusa, l'avvocato era stato ucciso[6].

Gli indagati risultarono tre: Tommaso Anello, fratello del boss Rocco Anello (in carcere dal 2002), e i fratelli Giuseppe e Vincenzino Fruci. All'omicidio avrebbero partecipato anche Santo Panzarella, scomparso nel luglio 2002, e Francesco Michienzi, sulle cui dichiarazioni poi si basò la svolta nelle indagini.

Il processo

Nel gennaio 2015, il Giudice delle Indagini Preliminari di Catanzaro Giuseppe Commodaro, su richiesta del Pubblico Ministero Elio Romano, dispose il rinvio a giudizio per Tommaso Anello, presunto mandante, e Giuseppe e Vincenzo Fruci, presunti esecutori materiali. I tre imputati optarono tutti per il rito abbreviato, che iniziò il successivo 20 aprile[7].

La famiglia si costituì parte civile al processo, che però si concluse nel settembre 2017 con un'assoluzione per tutti gli imputati per non aver commesso il fatto. La Procura fece ricorso in appello e, nel giugno 2021, i fratelli Fruci vennero condannati a 30 anni, mentre il collaboratore di giustizia Michienzi a sei. Assolto Tommaso Anello dall'accusa di essere il mandante.

A seguito del ricorso in Cassazione, la Suprema Corte annullò il 9 dicembre 2022 la sentenza, con rinvio a diversa sezione della corte d'Appello. La famiglia è ancora in attesa di verità e giustizia[8].

Note

  1. Adnkronos, "Criminalità, Vescovo Lamezia Terme: isolare le cosche mafiose", 3 marzo 2002
  2. Concetta Guido, Avvocato ucciso a colpi di lupara si indaga su appalti e sala Bingo, La Repubblica, 3 marzo 2002.
  3. Adnkronos, "Lamezia Terme governata da una cupola affaristico-mafiosa", 27 novembre 2003
  4. Lamezia.net, "Lettera aperta della vedova Giulia Serrao Eliminare le ombre che offuscano la memoria dell´avvocato Ciriaco", 14 gennaio 2009.
  5. Gazzetta del Mezzogiorno, "Calabria, intimidazione a candidata", 19 marzo 2010.
  6. Lametino.it, "Processo Perseo: Michienzi, bombe carta ad attività che pagavano i Torcasio", 24 aprile 2015.
  7. Lacnews24.it, "Delitto Ciriaco, imputati in abbreviato", 20 gennaio 2015.
  8. Gazzetta del Sud, "Omicidio Ciriaco a Lamezia, la Cassazione annulla (con rinvio) la sentenza della Corte d'appello", 9 dicembre 2022.

Bibliografia

  • Archivio Adnkronos
  • Archivio La Repubblica
  • Archivio LaCNews24