Cosa Nostra: differenze tra le versioni

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La collaborazione tra le due organizzazioni era presente anche in Sicilia, in particolare nella [[Mafie a Messina|provincia di Messina]], tanto che mafiosi come il messinese Rosario Saporito divenne elemento di spicco dei [[Mazzaferro ('ndrina)|Mazzaferro]], mentre [[Calogero Marcenò]], originario di San Cataldo in provincia di Caltanissetta, divenne capo-locale della [[Locale di Varese]], controllata dagli [[Zagari ('ndrina)|Zagari]]<ref>La circostanza è emersa durante il [[Processo Leopardo|processo Leopardo]] e a riferire la circostanza, nell'udienza del 24 marzo 1995, fu lo stesso Marcenò, divenuto collaboratore di giustizia</ref>.
La collaborazione tra le due organizzazioni era presente anche in Sicilia, in particolare nella [[Mafie a Messina|provincia di Messina]], tanto che mafiosi come il messinese Rosario Saporito divenne elemento di spicco dei [[Mazzaferro ('ndrina)|Mazzaferro]], mentre [[Calogero Marcenò]], originario di San Cataldo in provincia di Caltanissetta, divenne capo-locale della [[Locale di Varese]], controllata dagli [[Zagari ('ndrina)|Zagari]]<ref>La circostanza è emersa durante il [[Processo Leopardo|processo Leopardo]] e a riferire la circostanza, nell'udienza del 24 marzo 1995, fu lo stesso Marcenò, divenuto collaboratore di giustizia</ref>.


Tuttavia, la considerazione dei mafiosi siciliani nei confronti degli 'ndranghetisti non è mai stata molto alta. Il collaboratore di giustizia Antonino Calderone riferì ad esempio che:
Tuttavia, la considerazione dei mafiosi siciliani nei confronti degli 'ndranghetisti non è mai stata molto alta. Il collaboratore di giustizia Antonino Calderone riferì ad esempio che:<blockquote>''«I calabresi parlavano, parlavano, parlavano. Parlavano tutto il tempo. Non agli altri intendiamoci, ma tra di loro. Facevano infinite conversazioni circa le loro regole, specialmente in presenza di noi uomini d'onore siciliani. Si sentivano a disagio perché in realtà sapevano di essere inferiori a [[Cosa Nostra]] [...] Abbiamo sempre considerato i calabresi inferiori, come spazzatura. Per non parlare dei campani, di cui non ci siamo mai fidati''»<ref>Citato in Pino Arlacchi, ''Gli uomini del Disonore'', p. 140.</ref>.</blockquote>Al riguardo anche [[Tommaso Buscetta]] usò parole sprezzanti nei confronti dei calabresi, accusati di "''scarsa serietà nel reclutamento''" e di "''segretezza molto bassa, quasi inesistente''":<blockquote>''Noi di Cosa Nostra avevamo avevamo sempre mantenuto le distanze, cercando di non avere a che fare con quelli della 'ndrangheta: non li consideravamo uomini d'onore, anche se loro si autodefinivano in questi termini, oppure "uomini di rispetto" o in altri modi simili. Li ritenevamo poco seri. Gente che era capace, dopo due bicchieri di vino, di attribuire la qualifica di 'ndranghetista al capo delle guardie del carcere, mentre noi prima di ammettere qualcuno in famiglia, svolgevamo indagini fino a due generazioni indietro su tutti i componenti, maschi e femmine, della parentela più stretta del candidato. E poi parlavano troppo. Gli 'ndranghetisti non erano capaci di mantenere il segreto su nulla. Anche se al loro interno non c'erano dei delatori che andavano a riferire i fatti loro alla polizia, questi diventano pubblici rapidamente, andavano sulla bocca di tutti. Per questo li snobbavamo, reputandoli pari ai napoletani sul piano della affidabilità e della "omertosità"''<ref>Citato in Pino Arlacchi, ''Addio Cosa Nostra'', p. 53.</ref>.</blockquote>Nonostante i giudizi sprezzanti, la collaborazione tra mafiosi siciliani e 'ndranghetisti avveniva anche nel Nord Italia, come dimostrano le vicende piemontesi e lombarde. Negli anni '80 a Torino, i Miano e i Finocchiaro di Catania si rifornivano di eroina da [[Angelo Epaminonda]], il Tebano, per poi rivenderla alle 'ndrine attive in città (i Belfiore, gli Ursino e i Macrì)<ref>Giuseppe Legato, ''Narcotraffico, quella storica alleanza tra ’ndrangheta e Cosa Nostra'', La Stampa, 11 febbraio 2014</ref>. In Lombardia, invece, in provincia di Milano i Carollo avevano stretti rapporti con le 'ndrine di Corsico e Buccinasco, come rivelò l'indagine [[Operazione Duomo Connection|Duomo Connection]].
 
''«I calabresi parlavano, parlavano, parlavano. Parlavano tutto il tempo. Non agli altri intendiamoci, ma tra di loro. Facevano infinite conversazioni circa le loro regole, specialmente in presenza di noi uomini d'onore siciliani. Si sentivano a disagio perché in realtà sapevano di essere inferiori a [[Cosa Nostra]] [...] Abbiamo sempre considerato i calabresi inferiori, come spazzatura. Per non parlare dei campani, di cui non ci siamo mai fidati''»<ref>Citato in Pino Arlacchi, ''Gli uomini del Disonore'', p. 140.</ref>.
 
Al riguardo anche [[Tommaso Buscetta]] usò parole sprezzanti nei confronti dei calabresi, accusati di "''scarsa serietà nel reclutamento''" e di "''segretezza molto bassa, quasi inesistente''":
 
''Noi di Cosa Nostra avevamo avevamo sempre mantenuto le distanze, cercando di non avere a che fare con quelli della 'ndrangheta: non li consideravamo uomini d'onore, anche se loro si autodefinivano in questi termini, oppure "uomini di rispetto" o in altri modi simili. Li ritenevamo poco seri. Gente che era capace, dopo due bicchieri di vino, di attribuire la qualifica di 'ndranghetista al capo delle guardie del carcere, mentre noi prima di ammettere qualcuno in famiglia, svolgevamo indagini fino a due generazioni indietro su tutti i componenti, maschi e femmine, della parentela più stretta del candidato. E poi parlavano troppo. Gli 'ndranghetisti non erano capaci di mantenere il segreto su nulla. Anche se al loro interno non c'erano dei delatori che andavano a riferire i fatti loro alla polizia, questi diventano pubblici rapidamente, andavano sulla bocca di tutti. Per questo li snobbavamo, reputandoli pari ai napoletani sul piano della affidabilità e della "omertosità"''<ref>Citato in Pino Arlacchi, ''Addio Cosa Nostra'', p. 53.</ref>.
 
Nonostante i giudizi sprezzanti, la collaborazione tra mafiosi siciliani e 'ndranghetisti avveniva anche nel Nord Italia, come dimostrano le vicende piemontesi e lombarde. Negli anni '80 a Torino, i Miano e i Finocchiaro di Catania si rifornivano di eroina da [[Angelo Epaminonda]], il Tebano, per poi rivenderla alle 'ndrine attive in città (i Belfiore, gli Ursino e i Macrì)<ref>Giuseppe Legato, ''Narcotraffico, quella storica alleanza tra ’ndrangheta e Cosa Nostra'', La Stampa, 11 febbraio 2014</ref>. In Lombardia, invece, in provincia di Milano i Carollo avevano stretti rapporti con le 'ndrine di Corsico e Buccinasco, come rivelò l'indagine [[Operazione Duomo Connection|Duomo Connection]].


Sul piano dei reciproci favori, Totò Riina nel [[1991]] favorì la pace tra le 'ndrine mettendo fine alla [[Seconda Guerra di 'ndrangheta|Seconda guerra di 'ndrangheta]], in cambio dell'omicidio, il [[9 agosto]], del giudice [[Antonino Scopelliti]], il quale di lì a poco avrebbe dovuto rappresentare l'accusa nel ricorso in Cassazione sul [[Maxiprocesso di Palermo]].
Sul piano dei reciproci favori, Totò Riina nel [[1991]] favorì la pace tra le 'ndrine mettendo fine alla [[Seconda Guerra di 'ndrangheta|Seconda guerra di 'ndrangheta]], in cambio dell'omicidio, il [[9 agosto]], del giudice [[Antonino Scopelliti]], il quale di lì a poco avrebbe dovuto rappresentare l'accusa nel ricorso in Cassazione sul [[Maxiprocesso di Palermo]].