Felicia Bartolotta Impastato

La mafia non si combatte con la pistola ma con la cultura.
(Felicia Impastato)


Felicia Bartolotta Impastato (Cinisi, 24 maggio 1916 – Cinisi, 7 dicembre 2004), è stata un'attivista antimafia, famosa per la sua strenua lotta per far riconoscere come vittima di mafia suo figlio, Peppino Impastato, ucciso da Cosa Nostra il 9 maggio 1978.

Felicia Impastato

Biografia

Nata in una piccola famiglia borghese (padre impiegato, madre casalinga), proprietaria di qualche terreno agricolo, Felicia si sposò a 21 anni con Luigi Impastato, membro di una delle famiglie mafiose più potenti di Cinisi: suo cognato Cesare Manzella, infatti, era il capomafia del paese. Dalla relazione con Luigi, Felicia ebbe due figli: Giuseppe, nato il 5 gennaio 1948, e Giovanni, di cinque anni più giovane. Il rapporto con il marito fu tormentato sin dall'inizio: Felicia e Luigi litigavano parecchio, soprattutto per la sua attività criminale in Cosa Nostra, che lo aveva portato a scontare anche 3 anni di confino a Ustica, oltre a contrabbandare generi alimentari durante la guerra. I contrasti più feroci vertevano soprattutto sulla segretezza delle attività del marito fuori casa.

Nonostante questo, l'infanzia dei due figli trascorse serena, fino almeno all'omicidio dello zio, Cesare, dilaniato da un'auto imbottita di tritolo nel 1963. L'evento traumatizzò a tal punto il giovane Peppino che lo portò a rompere con il padre a soli quindici anni, abbandonando la casa paterna e giurando: "E questa è la mafia? Se questa è la mafia allora io la combatterò per il resto della mia vita."[1]

Felicia, che difese da subito la scelta del figlio, era particolarmente disgustata della salda amicizia tra il marito e il nuovo capomafia del paese, Gaetano Badalamenti, tanto da rifiutarsi di andare in visita alla casa del boss. Fu in particolare quando Peppino decise di darsi alla politica e a fare comizi contro la mafia, che la madre cercò di proteggerlo, finanche andando a requisire e a bruciare tutte le copie de «L’idea socialista» sul quale il figlio aveva scritto un articolo contro i poteri mafiosi locali. Ma l'ascesa politica di Peppino era inarrestabile e cominciò addirittura a fare dei comizi in piazza, a cui Felicia non aveva il coraggio di andare, chiedendo però ai suoi compagni di militanza di dissuaderlo dal parlare di mafia.

Quando, otto mesi prima della morte di Peppino, morì in un tragico incidente anche Luigi (per lei un omicidio camuffato), Felicia capì che anche il figlio era in pericolo: Luigi andava infatti ripetendo che finché era in vita lui, nessuno avrebbe torto un capello a Peppino. Senza di lui, le cose erano più facili.

E infatti, la mattina del 9 maggio 1978, il cadavere in pezzi di Peppino venne trovato sui binari della ferrovia e venne fatto passare come un attentato finito male. Felicia, dopo alcuni giorni di smarrimento, decise di costituirsi parte civile, rompendo con i parenti mafiosi del marito che le consigliavano di non rivolgersi alla polizia e tanto meno di parlare con i giornalisti. Al contrario, negli anni della sua lotta per avere verità e giustizia per il figlio, Felicia aprì la sua casa a tutti coloro che volevano conoscere la storia del figlio:

«Mi piace parlarci, perché la cosa di mio figlio si allarga, capiscono che cosa significa la mafia. E ne vengono, e con tanto piacere per quelli che vengono! Loro si immaginano: ‘Questa è siciliana e tiene la bocca chiusa’. Invece no. Io devo difendere mio figlio, politicamente, lo devo difendere. Mio figlio non era un terrorista. Lottava per cose giuste e precise«. Un figlio che: «... glielo diceva in faccia a suo padre: ‘Mi fanno schifo, ribrezzo, non li sopporto... Fanno abusi, si approfittano di tutti, al Municipio comandano loro’... Si fece ammazzare per non sopportare tutto questo».[2]

Nonostante le delusioni, Felicia tenne duro e nel 2001 ottenne la condanna di Gaetano Badalamenti all'ergastolo e del suo vice, Vito Palazzolo, a 30 anni di reclusione. Già nel 1999 la Commissione Parlamentare Antimafia aveva messo nero e su bianco in una relazione le responsabilità delle forze dell'ordine nel depistaggio delle indagini, poi pubblicata in un libro[3].

Negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla memoria di suo figlio, accogliendo nella sua casa centinaia di giovani ogni mese. Giovani ai quali raccomandava: «Tenete alta la testa e la schiena dritta». Morì il 7 dicembre 2004 in quella casa, a Cinisi.

Note

  1. Condividevo ma non ho avuto lo stesso coraggio... Interview with Giovanni Impastato, Girodivita, March 2004
  2. Citato in "Enciclopedia delle donne"
  3. Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Relazione della Commissione parlamentare antimafia presentata da Giovanni Russo Spena, Editori Riuniti, Roma 2001, 2006, Editori Riuniti University Press, Roma 2012

Bibliografia

  • Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, Palermo, La Luna, 2003
  • Anna Puglisi, Felicia Bartolotta Impastato, in Siciliane. Dizionario Biografico, a cura di Mariella Fiume, Emanuele Romeo Editore, Siracusa, 2006