Giorgio Ambrosoli

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È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.[1]
(Giorgio Ambrosoli)

Giorgio Ambrosoli (Milano, 17 ottobre 1933 – Milano, 11 luglio 1979) è stato un avvocato italiano. Fu assassinato da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività Ambrosoli stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.

Giorgio Ambrosoli


Biografia

Infanzia e adolescenza

Figlio primogenito di Omero Riccardo e Piera Agostoni, Giorgio Ambrosoli nacque a Milano in via Paolo Giovio e frequentò le scuole elementari in via Crocefisso fino al 1943, quando la famiglia fu sfollata a Ronco di Ghiffia, sul Lago Maggiore, a causa dei bombardamenti. Qui Ambrosoli frequentò elementari e medie, mentre continuò gli studi al Liceo Classico Manzoni a Milano, dove non si distinse per lo studio e fu anche costretto a ripetere l'anno della maturità. Nell'anno accademico 1952-53 Giorgio s’iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e negli stessi anni s’impegnò attivamente nell’Unione monarchica Italiana, partito politico italiano volto a instaurare in Italia la monarchia costituzionale. Qui conobbe la sua futura moglie Anna Lorenza Goria, che sposò nel 1962 nella chiesa di San Babila e con la quale ebbe tre figli: Francesca, Filippo e Umberto.

Nel 1958 si laureò con una tesi in Diritto Costituzionale dal titolo “il Consiglio Superiore della Magistratura”. Subito dopo iniziò la pratica forense, diventando procuratore ed esercitando la professione legale nello studio dell’avvocato Cetti Serbelloni. Nel 1964 Ambrosoli ebbe l’occasione di specializzarsi nel settore del diritto societario e fallimentare, essendo stato chiamato a collaborare con i commissari liquidatori della Società Finanziaria Italiana. Tale collaborazione durò diversi anni, durante i quali Giorgio maturò qualità professionali ma anche umane, tra cui un profondo senso di giustizia.

La nomina a commissario liquidatore della Banca Privata Italiana

Il 27 settembre 1974, dieci anni dopo la vicenda SFI, Ambrosoli fu nominato dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli[2] commissario liquidatore unico della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, nata il 1° agosto dello stesso anno dalla fusione tra la Banca Privata Finanziaria e la Banca Unione. Nonostante due prestiti di 100 milioni di dollari con cui il Banco di Roma (braccio operativo della Banca d'Italia) aveva acquisito il pacchetto di maggioranza della Banca Unione, il patrimonio della Banca Privata Italiana risultò inesistente e la banca nacque già sull'orlo della liquidazione coatta. Come scrissero successivamente gli ispettori di vigilanza della Banca d'Italia nei loro rapporti, il patrimonio delle due banche era stato interamente assorbito dalle perdite, coperte con numerose irregolarità amministrative. Il 24 settembre la banca fu messa in liquidazione coatta.

 
L'Impero di Michele Sindona, nel marzo 1974; riadattamento dal Corriere della Sera del 9 ottobre 1974

L’8 ottobre 1974 anche la Franklin National Bank, che Sindona aveva acquistato nel 1972, fu dichiarata fallita. Come ebbe modo di accertare la Commissione Parlamentare d'Inchiesta[3], Sindona si servì in primo luogo del deposito bancario di denaro, facendo apparire ingenti somme di denaro sotto forma di deposito in valuta straniera che in realtà non erano liquide ma immobilizzate presso banche estere del suo stesso gruppo; in seconda battuta, utilizzò il classico espediente delle cosiddette “scatole cinesi”, con il quale controllava più società a fronte di un investimento di capitale minore rispetto al valore reale delle società controllanti.

Il lavoro da commissario liquidatore

Come commissario liquidatore, Ambrosoli aveva il compito di accertare lo stato d'insolvenza, lo stato passivo e il piano di riparto tra i creditori. Nel fare ciò fu aiutato da una squadra di polizia tributaria della Guardia di Finanza e in particolare dal maresciallo Silvio Novembre con il quale intrattenne non soltanto un rapporto di natura professionale ma anche una vera e profonda amicizia. Il processo fu invece affidato al giudice istruttore Ovilio Urbisci e al pubblico ministero Guido Viola.

In ottobre Ambrosoli accertò che le perdite erano di 207 miliardi, dichiarò lo stato d’insolvenza e l’avvio dell’azione penale. Cinque mesi dopo, il 25 febbraio del 1975 Ambrosoli era pronto per il deposito dello stato passivo della Bpi: 531 miliardi, di cui 417 al passivo e 281 all'attivo tra crediti, immobili, partecipazioni azionarie. Escluse dal rimborso lo Ior, la banca del Vaticano, e tutte le banche e società direttamente o indirettamente legate al gruppo Sindona.

La lettera alla moglie Anna

Il giorno stesso del deposito dello stato passivo, Ambrosoli scrisse alla moglie Anna una lettera, dalle cui parole poi il figlio Umberto ricavò il titolo del suo libro[4]:

«Anna carissima, è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.

Ricordi i giorni dell'Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.

Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [...] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi [...]

Giorgio»

Presidente Fasco e l'offensiva di Sindona

Sempre nell'ottobre del 1975 Ambrosoli ricevette una comunicazione dalla Finanbank di Ginevra: erano in deposito nella banca numerose azioni della Fasco. Il deposito era intestato alla Banca Privata Finanziaria. Il 10 ottobre Ambrosoli andò a Ginevra ed essendo commissario liquidatore (incarico che lo legittima a operare) indisse come azionista di maggioranza un’assemblea straordinaria della società, facendo cadere i vecchi amministratori e nominandone di nuovi; alla fine della riunione Ambrosoli fu nominato nuovo presidente della Fasco.

Fu in quel momento che venne a conoscenza del sistema delle scatole cinesi ideato da Sindona, con le 300 società "matrioske". Sindona per tutta risposta denunciò Ambrosoli, accusandolo di essersi indebitamente impossessato della azioni Fasco, denuncia poi archiviata il 15 giugno dello stesso anno.

Dal 1976 in avanti il caso Sindona destò l’interesse dell'opinione pubblica e di diversi personalità politiche di spicco, tra cui l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il famoso capo della Loggia massonica P2, Licio Gelli. Come venne dimostrato successivamente, diversi alti esponenti delle forze politiche e del mondo della finanza appoggiarono Sindona e il suo piano di salvataggio della banca per addossare le perdite sui contribuenti.

L'offensiva sindoniana partì tra la fine dell’estate e l’inizio di autunno 1976: scomodando le già citate personalità politiche insieme ad un gruppo di personaggi del mondo finanziario e della comunità italoamericana a New York, portò avanti la tesi della sua persecuzione politica in quanto "banchiere anticomunista" utilizzando decine di "affidavit" (dichiarazioni giurate), al fine di bloccare l'estradizione in Italia richiesta dai giudici.

In un clima rovente la liquidazione della Banca Privata Italiana andò avanti con difficoltà, ma questo non scoraggiò Ambrosoli, che nel 1977 aumentò l'intensità della propria azione, lavorando alla seconda relazione nella quale avrebbe indicato le ragioni del fallimento della banca, poi consegnata all'autorità giudiziaria l'8 maggio 1978. Nel frattempo la Corte di Appello di Milano dichiarò lo stato d'insolvenza della BPI e la Corte di Cassazione respinse un'istanza di sospensione del processo penale avanzata da Sindona. In quei giorni l’avvocato dell'ex-banchiere scrisse sulla sua agenda “Sbarrare strada ad Ambrosoli.”

Il 10 dicembre Ambrosoli volò a New York per collaborare con i giudici americani che nel frattempo stavano cercando prove per l’istruzione del processo sul dissesto della Franklin National Bank. Nel frattempo, Sindona decise di rivolgersi alla mafia italoamericana, capendo di avere poche chance con la strategia condotta fino a quel momento.

Le minacce di morte

Il 28 dicembre 1978 Ambrosoli ricevette la prima di otto telefonate minatorie da parte di quello che lui stesso definì un "picciotto", per via del suo accento siciliano[5]. Come venne accertato in fase processuale, l'autore delle telefonate anonime era il massone Giacomo Vitale, cognato del boss di Cosa Nostra Stefano Bontate.

Nell'ultima telefonata del 12 gennaio, a mezzogiorno, Ambrosoli ricevette una minaccia di morte esplicita:

  • Giacomo Vitale: Pronto, avvocato
  • Giorgio Ambrosoli: Buongiorno
  • V: Buon giorno. L’altro giorno ha voluto fare il furbo, ha fatto registrare tutta la telefonata!
  • A: chi glielo ha detto?
  • V: eh, sono fatti miei chi me l'ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più.
  • A: ah non mi salva più.
  • V: Non la salvo più, perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto! Lei è un cornuto e bastardo!

Ambrosoli non ricevette più altre telefonate da parte di quell’uomo siciliano, che parlava per conto del “grande capo”. “Sindona?” chiese Ambrosoli durante una conversazione “No, Giulio Andreotti” rispose il siciliano.[6]

Il 13 giugno un commesso della BPI sul coperchio di un bidone della spazzatura trovò i pezzi di una pistola segata, una 7,65. Tipico messaggio mafioso con l’univoco significato: ti faremo a pezzi come quella pistola. Sindona stava cercando di mettere fuori gioco Ambrosoli proprio prima dell’arrivo dei giudici americani a Milano.

L’omicidio

La mattina dell’8 luglio 1979 i giudici americani arrivarono a Milano per la rogatoria di fronte al giudice istruttore Giovanni Galati. Nel suo studio s'incontrarono i giudici americani e i magistrati italiani insieme agli avvocati di Sindona e Giorgio Ambrosoli. La seconda udienza si tenne la mattina del 10 luglio, mentre la terza mercoledì 11 luglio 1979.

 
Luogo dell'omicidio di Ambrosoli

La rogatoria era terminata, mancava solo la firma. Il processo della Franklin National Bank era avviato e la procedura di estradizione era ormai sulla buona strada (anche se, richiesta il 24 febbraio 1975 fu concessa solamente il 25 marzo 1980)

Lo stesso giorno dell'arrivo dei giudici presso l'Hotel Splendido di Milano arrivò anche tale "Robert McGovern", in realtà William Joseph Aricò, assoldato con 250mila dollari da Sindona nell’autunno del 1978 per togliere la vita ad Ambrosoli. La mattina dell’11 luglio il killer noleggiò una Fiat rossa 127, targata Roma T42711.

La sera dell’11 luglio Ambrosoli, dopo una serata trascorsa con vecchi amici, era sull’uscio di casa. Venne avvicinato da Aricò, sceso dalla Fiat rossa, il quale gli chiese in italiano: “"Il signor Ambrosoli?"” e Giorgio: “"Sì"”. Prima di sparare tre colpi di pistola al pett con una Magnum 357 il killer disse “Mi scusi signor Ambrosoli[7]

La vita di Ambrosoli cessò così, sul passo carraio di casa sua. Aricò ripartì la mattina dopo per gli Stati Uniti. Il funerale di Giorgio Ambrosoli si celebrò il 14 luglio 1979 nella chiesa di San Vittore a Milano. Nessuna autorità di governo fu presente. Presenti invece il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e il futuro Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, oltre a numerosi magistrati milanesi.

Il processo, la condanna di Sindona e la sua morte

Il 3 agosto Sindona scomparve da New York improvvisamente. Inizialmente si ritenne fosse stato rapito da terroristi di estrema sinistra che avevano come scopo quello di raccogliere informazioni sulle operazioni finanziarie illecite, sul suo rapporto con uomini politici e sull’omicidio Ambrosoli. Quando ricomparve a New York, il 16 ottobre, fu lui stesso a confessare di aver lasciato volontariamente gli Stati Uniti ed era giunto in Sicilia, simulando il proprio rapimento con l’aiuto di esponenti mafiosi italoamericani e siciliani. Con il finto rapimento l'ex-banchiere sperava di distrarre l‘opinione pubblica dai delitti a lui attribuiti e passare da carnefice a vittima. Inoltre cercava indirettamente di minacciare uomini politici ed esponenti del mondo finanziario, a cui era stato legato.

Fatto particolarmente rilevante è che fu proprio in occasione delle indagini sul finto rapimento di Sindona che i magistrati Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono le liste P2 e i membri della loggia massonica, di cui anche Sindona faceva parte. Alla fine del 1980 Sindona fu condannato a 25 anni di reclusione per il fallimento della Frankiln National Bank. Dopo la condanna, gli USA concedettero l’estradizione di Sindona in Italia sia per il fallimento della BPI sia per l’omicidio Ambrosoli.

Nei primi mesi del 1985 Sindona fu processato e condannato a 15 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta, mentre il 4 giugno iniziò il dibattimento del processo per l’omicidio di Ambrosoli, che si concluse il 18 marzo 1986 con la condanna dell’esecutore materiale e di Sindona alla pena dell’ergastolo.

Tre giorni dopo la sentenza, Michele Sindona morì nel carcere di Voghera a causa di un caffè avvelenato con il cianuro di potassio; le successive indagini appurarono che si trattò di un suicidio. La tesi dell'omicidio non trovò prove sufficienti per essere sostenuta.

Le polemiche sulla frase di Andreotti, nel 2010

L'8 settembre 2010 andò in onda una puntata de "La Storia siamo noi", condotto da Gianni Minoli, nella quale il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti alla domanda sul perché fosse stato ucciso Ambrosoli rispose: "Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi 'se l'andava cercando'".

A seguito delle polemiche politiche che seguirono, in una nota il senatore a vita precisava: "Sono molto dispiaciuto che una mia espressione in gergo romanesco abbia causato un grave fraintendimento sulle mie valutazioni delle tragiche circostanze della morte del dottor Ambrosoli". Con quel "se l'andava cercando" intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto".

Onorificenze

Il 12 luglio [[1999] Giorgio Ambrosoli ricevette la Medaglia d'oro al valor Civile con la seguente motivazione:

«Commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all'incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all'estremo sacrificio

Per saperne di più

Libri

  • Corrado Stajano, Un eroe borghese, Milano, il Saggiatore, 2016
  • Umberto Ambrosoli, Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009

Cinema

  • Un eroe borghese, di Michele Placido, 1995.

Televisione

  • Qualunque cosa succeda. Giorgio Ambrosoli, una storia vera, di Alberto Nergrin, 2014.

Note

  1. Stajano C., Un eroe borghese, il Saggiatore, 2016 p.100
  2. Decreto del ministro del Tesoro del 27 settembre 1974
  3. Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche e amministrative a essa eventualmente connesse, VIII legislatura, Doc. XXIII, n. 2-sexies, 24 marzo 1982, Relazione conclusiva Azzaro Giuseppe
  4. Ambrosoli U., Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009
  5. La Repubblica, Cuccia tacque, Ambrosoli no, erano diversi, 10 dicembre 1985.
  6. Su youtube la registrazione di alcune telefonate
  7. Deposizione di Aricò, sentenza-ordinanza di G.Turone, processo a carico di Michele Sindona e altri, 17 luglio 1984

Bibliografia