Strage di Capaci

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La Strage di Capaci fu un attentato mafioso ad opera di Cosa Nostra in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Alle 17:58 del 23 maggio 1992 1000 kg di tritolo fecero saltare per aria il tratto dell'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci nel territorio comunale di Isola delle Femmine, sul quale stava transitando il giudice del Maxiprocesso con la scorta.

La strage

Una foto dopo l'esplosione della bomba

Sabato 23 maggio 1992 il giudice Giovanni Falcone stava tornando a Palermo, come era solito fare nei fine settimana, da Roma, dove ricopriva l'incarico di Direttore degli Affari Penali del Ministero di Giustizia. Il jet di servizio partito dall'aeroporto di Ciampino intorno alle 16:45 arrivò a Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Lo attendevano tre Fiat Croma blindate, con un gruppo di scorta sotto il comando dell'allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera.

Appena sceso dall'aereo, Falcone si sistemò alla guida della Croma bianca e accanto prese posto la moglie Francesca Morvillo, mentre l'autista giudiziario Giuseppe Costanza andò ad occupare il sedile posteriore. Nella Croma marrone c'era alla guida Vito Schifani, con accanto l'agente scelto Antonio Montinaro e sul retro Rocco Dicillo, mentre nella vettura azzurra c’erano Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. In testa al gruppo c’era la Croma marrone, poi la Croma bianca guidata da Falcone, e in coda la Croma azzurra. Alcune telefonate avvisarono i sicari che avevano sistemato l'esplosivo per la strage della partenza delle vetture.

Le auto lasciarono l'aeroporto imboccando l'autostrada in direzione Palermo. La situazione pareva tranquilla, tanto che non vennero attivate neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina guidata da Gioacchino La Barbera si affiancò alle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; furono gli ultimi secondi prima della strage.

Otto minuti dopo, alle ore 17:58, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci - Isola delle Femmine venne azionata dalla collina sovrastante attraverso un telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. Pochissimi istanti prima della detonazione, Falcone si era accorto che le chiavi di casa erano nel mazzo assieme alle chiavi della macchina, e le aveva tolte dal cruscotto, provocando un rallentamento improvviso del mezzo. Brusca, rimasto spiazzato, premette il pulsante in anticipo, sicché l'esplosione investì in pieno solo la Croma marrone, prima auto del gruppo, scaraventandone i resti oltre la carreggiata opposta di marcia, e su fino ad una zona pianeggiante alberata; i tre agenti di scorta morirono sul colpo.

La seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, avendo rallentato, si schiantò invece contro il muro di cemento e detriti improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio. Falcone e la moglie, che non indossavano le cinture di sicurezza, venero proiettati violentemente contro il parabrezza. Rimasero feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra, che infine resistette, e si salvarono miracolosamente anche un'altra ventina di persone che al momento dell'attentato si trovavano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell'eccidio.

L'Italia intera, sgomenta, trattenne il fiato per la sorte delle vittime con tensione sempre più viva e contrastante, sicché alle 19:05, ad un'ora e sette minuti dall'attentato, Giovanni Falcone morì dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma cranico e delle lesioni interne. Francesca Morvillo sarebbe morta anch'essa, intorno alle 22:00.

Insieme allo scoppio della bomba di tritolo ci fu un terremoto. L’epicentro era lì, allo svincolo autostradale per Capaci dove alle 17,58 del 23 maggio 1992 si aprì il cratere che inghiottì Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti di scorta, ma gli effetti arrivarono fino a Roma. Nei palazzi del potere. A cominciare dall’elezione del nuovo presidente della Repubblica avvenuta quarantotto ore dopo l’eccidio, che sancì la sconfitta di Giulio Andreotti e portò all'elezione di Oscar Luigi Scalfaro.

Antefatti e possibili cause

Giovanni Falcone era sempre stato nel mirino di Cosa Nostra, sin dal suo esordio nella sezione fallimentare del Tribunale di Palermo, nel 1978, dove si era distinto per la scrupolosità del suo lavoro, che poi passò alla storia come "metodo Falcone", messo a frutto nel 1980 nel processo contro Rosario Spatola, imprenditore re degli appalti pubblici, che vinceva senza concorrenza: cominciò a impostare le indagini seguendo la "traccia" dei soldi, arrivando ad allargare lo spettro investigativo a livello internazionale.

pool-antimafia
Il Pool antimafia

Per questo motivo nel 1983 venne chiamato da Rocco Chinnici a far parte del Pool Antimafia, che prevedeva il coordinamento e la centralizzazione dei processi di mafia in un unico ufficio investigativo, per condividere anzitutto le informazioni ed elaborare una strategia di contrasto maggiormente efficace. Fu poi con l'interrogatorio di Tommaso Buscetta, che richiese esplicitamente la presenza del solo Falcone agli interrogatori, il punto di svolta nelle indagini che poi avrebbero portato all'istruzione del Maxiprocesso di Palermo, iniziato 10 febbraio 1986 e conclusosi il 16 dicembre 1987 con la prima storica condanna ai vertici di Cosa Nostra. Dopo le dimissioni di Antonino Caponnetto e la dissoluzione del Pool ad opera del suo successore, Antonino Meli, Falcone accettò l'offerta di dirigere la sezione Affari Penali del Ministero della Giustizia, con la responsabilità di coordinare a livello nazionale la lotta contro la criminalità organizzata.

Il suo principale obiettivo fu la creazione di due organismi nazionali che sono tuttora i pilastri dell’azione contro il crimine organizzato: la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) e la DNA (Direzione Nazionale Antimafia). Lavorando dal centro, ossia a Roma, Falcone riuscì a fare ciò che gli era stato impedito di fare a Palermo: creare una visione unificata non soltanto di Cosa Nostra, ma dell’intero mondo del crimine organizzato italiano. L’idea era di un organismo nazionale che coordinasse le indagini fra le varie procure. Falcone volle che la nascita dell’organismo giudiziario fosse accompagnata dalla creazione della DIA. Questo organismo, formato da polizia, carabinieri e guardia di finanza, secondo la legge istitutiva si occupava in via esclusiva di tutte le indagini antimafia.

Nonostante il Fallito Attentato dell'Addaura avesse già dimostrato che Falcone fosse nel mirino di Cosa Nostra da tempo, il casus belli all'origine della Strage di Capaci viene individuato nella sentenza di condanna definitiva del Maxiprocesso del 30 gennaio 1992, emessa da una diversa sezione della Cassazione e non più da quella presieduta da Corrado Carnevale, detto l'Ammazzasentenze, proprio grazie a una circolare di Falcone.

Indagini e processi

Le prime indagini sulla strage di Capaci vennero inizialmente coordinate dal Procuratore capo uscente di Caltanissetta Salvatore Celesti, per poi passare il 15 luglio 1992 al suo successore Giovanni Tinebra. Al fascicolo vennero assegnati i sostituti procuratori Ilda Boccassini, Francesco Paolo Giordano e Fausto Cardella[1]. I primi risultati investigativi si ebbero nel marzo '93, quando, su indicazione del collaboratore di giustizia Giuseppe Marchese, (cognato di Leoluca Bagarella), gli agenti della Direzione Investigativa Antimafia diretta da Gianni De Gennaro riuscirono ad individuare il covo dove si nascondevano Antonino Gioè, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera[2], in in via Ughetti 17 a Palermo.

Intercettando le loro conversazioni, vennero raccolte le prove necessarie per incriminarli della Strage[3] e arrestarli, cosa che avvenne il 4 giugno '93[4].

Dopo essere stato arrestato, Gioè si suicidò in. carcere, probabilmente perché aveva scoperto di essere stato intercettato mentre parlava dell'attentato di Capaci e di alcuni boss e quindi temeva una vendetta trasversale[5]; invece Di Matteo e La Barbera decisero di collaborare con la giustizia e rivelarono per primi i nomi degli altri esecutori della strage. Per costringere Di Matteo a ritrattare le sue dichiarazioni, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro decisero di rapire suo figlio Giuseppe, che venne brutalmente strangolato e sciolto nell'acido. Questo non portò Di Matteo a desistere dalla collaborazione.

Le indagini sulla Strage di Capaci furono anche le prime in Italia nelle quali si usò l'analisi del DNA in ambito forense. Si trattò della prima indagine giudiziaria in Italia in cui si applicò l'analisi del DNA in ambito forense[6]: nei giorni successivi alla strage, gli inquirenti avevano trovato sulla collina che sovrastava l’autostrada diversi mozziconi di sigaretta, che grazie all'analisi del DNA effettuata col supporto di un team investigativo dell'FBI, vennero attribuiti ai due principali indagati, La Barbera e Di Matteo[7].

Il primo processo

Totò Riina
Totò Riina

Dopo le indagini, nel novembre 1993 i pubblici ministeri firmarono un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Giuseppe Agrigento, Leoluca Bagarella, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo, Giovan Battista Ferrante, Antonio Gangi, Domenico Gangi, Raffaele Gangi, Gioacchino La Barbera, Pietro Rampulla, Salvatore Riina, Antonino Troia, che veniva firmata l'11 aprile 1994. Nel settembre 1994, invece, venne emessa una nuova ordinanza contro Agate, Ferro, Giuseppe Madonia e Santapaola, in quanto componenti della “Commissione Regionale” di Cosa Nostra.

Il processo iniziò il 19 aprile 1995[8] e si concluse con la sentenza del 26 settembre 1997: la corte d’assise di Caltanissetta presieduta da Carmelo Zuccaro emise 24 ergastoli per la strage. La decisione aveva riguardato: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e tutti i componenti della commissione provinciale di Cosa nostra. I giudici condannarono a 26 anni di reclusione Giovanni Brusca, che aveva azionato il telecomando dell’esplosivo piazzato sotto l’autostrada. Minori erano state previste le pene per i collaboratori di giustizia, che avevano confessato di aver preso parte all’esecuzione della strage: Salvatore Cancemi (21 anni), Giovan Battista Ferrante (17 anni); Gioacchino La Barbera (15 anni e due mesi); Calogero Ganci e Mario Santo Di Matteo (15 anni).

In appello, furono ribaltate alcune assoluzioni: il 7 aprile 2000 la corte d’assise d’appello presieduta da Giancarlo Trizzino ha inflitto l’ergastolo anche a Salvatore Buscemi, Francesco Madonia, Antonino Giuffrè, Mariano Agate e Giuseppe Farinella, che in primo grado erano stati assolti. Sono state ridotte le pene per i collaboratori di giustizia.

Il 30 maggio 2002, la Cassazione confermò ventuno condanne e ha annullato quelle riguardanti Pietro Aglieri, Salvatore Buscemi, Pippo Calò, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Antonino Geraci, Francesco Madonia, Giuseppe Madonia, Giuseppe Salvatore Montalto, Matteo Motisi e Benedetto Spera. Un nuovo processo d’appello, fissato a Catania, riguardava anche le posizioni di alcuni mandanti ed esecutori della strage di via d’Amelio, su cui la Cassazione aveva sollecitato un nuovo esame.

Le dichiarazioni di Spatuzza e il processo "Capaci bis"

Gaspare Spatuzza
Gaspare Spatuzza

Quando nel 2008 Gaspare Spatuzza decise di collaborare con la giustizia, fornì ulteriori tasselli rispetto alla Strage di Capaci. Egli dichiarò, infatti, che circa un mese prima della strage era andato a Porticello insieme ad altri mafiosi di Brancaccio e della famiglia di Corso dei Mille (nello specifico, Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino, Lorenzo Tinnirello) per ricevere da un certo Cosimo alcuni residuati bellici recuperati in mare[9], dai quali poi venne estratto l'esplosivo consegnato a Giuseppe Graviano per utilizzarlo nella Strage di Capaci e in altri attentati.

Dopo queste dichiarazioni, la Procura di Caltanissetta riaprì le indagini sulla strage e nell'aprile 2013 il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta emise un'ordinanza di custodia cautelare per il pescatore Cosimo D'Amato, Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino, Lorenzo Tinnirello e Salvatore Madonia (accusato di essere stato un componente della "Commissione provinciale" di Cosa Nostra in qualità di reggente del "Mandamento di Resuttana" e quindi di avere avallato la strage)[10].

Il processo di primo grado

Nel maggio 2014 ebbe inizio quindi il secondo processo per la strage di Capaci, denominato "Capaci bis", che aveva come imputati Salvatore Madonia, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello[11]. Il 19 novembre il GIP di Caltanissetta condannò nel processo di rito abbreviato Giuseppe Barranca e Cristofaro Cannella all'ergastolo, mentre Cosimo D'Amato e Gaspare Spatuzza vennero condannati rispettivamente a trenta e a dodici anni di carcere.[12].

Nel settembre 2015, durante il processo, lo stesso D'Amato iniziò a collaborare con la giustizia e confermò anche in aula il suo coinvolgimento nella fornitura di esplosivi ai mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille[13].

A conclusione del processo di primo grado, il 26 luglio 2016 la Corte d'Assise di Caltanissetta condannò in primo grado Madonia, Lo Nigro, Pizzo e Tinnirello all'ergastolo, mentre Tutino venne assolto "per non aver commesso il fatto"[14].

Il processo d'appello

Durante il processo d'appello, vennero chiamati a deporre i collaboratori di giustizia Pietro Riggio, Maurizio Avola e Natale Di Raimondo, oltre al boss catanese Marcello D'Agata (che si avvalse della facoltà di non rispondere)[15].

Avola rese nuove dichiarazioni e si autoaccusò di aver trasportato detonatori ed esplosivo utilizzati nella strage, da Catania a Termini Imerese, insieme a D'Agata, mettendoli a disposizione delle famiglie palermitane, ma venne smentito dalle dichiarazioni di Di Raimondo[16].

L'ex-agente della Polizia Penitenziaria Pietro Riggio, poi divenuto collaboratore di giustizia, dichiarò che il suo compagno di cella, l'ex poliziotto Giovanni Peluso, gli aveva confidato di aver lavorato per il SISDE e di aver partecipato alle fasi esecutive della strage[17]; tuttavia Peluso smentì la circostanza, sostenendo di trovarsi quel giorno a un corso presso l'Istituto Superiore di Polizia per un corso. chiamato a testimoniare, Peluso (nel frattempo indagato della Procura di Caltanissetta per strage e associazione mafiosa a seguito delle accuse di Riggio[18].

Inoltre, nell'udienza del 15 gennaio 2020 testimoniò anche la genetista Nicoletta Resta, che avanzò l'ipotesi secondo cui ci potesse essere stata anche una donna sul luogo della strage, poiché erano stati rinvenuti resti di DNA femminile nei pressi del luogo dell'esplosione[19].

Il processo d'appello si concluse il 21 luglio 2020 con la conferma dell'ergastolo per Madonia, Lo Nigro, Pizzo e Tinnirello e l'assoluzione di Tutino[20]

La conferma delle condanne in Cassazione

La sentenza d'appello divenne definitiva dopo la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, il 14 giugno 2022, che confermò i quattro ergastoli e l'assoluzione per Tutino[21].

Il processo a Messina Denaro come mandante

Matteo Messina Denaro
Matteo Messina Denaro

Il 22 gennaio 2016 il GIP di Caltanissetta emise un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, con l'accusa di essere uno dei mandanti delle stragi di Capaci e di via d'Amelio[22]. L'imputazione si basava sulle dichiarazioni di collaboratori di giustizia già acquisite nei vari processi sulle stragi, tra i quali Vincenzo Sinacori, Francesco Geraci e Giovanni Brusca. Questi ultimi in particolare riferirono che nel settembre 1991 Messina Denaro partecipò ad una riunione a Castelvetrano in cui Salvatore Riina comunicò la decisione di dare il via alla strategia stragista, inviando appunto a Roma il giovane rampollo mafioso di Castelvetrano insieme ad altri futuri boss per uccidere Giovanni Falcone, salvo poi richiamarli in Sicilia per progettare la Strage[23]; inoltre, sempre secondo Sinacori, Geraci e Brusca, lo stesso Messina Denaro avrebbe progettato l'omicidio di Paolo Borsellino mentre questi era Procuratore capo a Marsala, poiché il giudice stava disturbando gli interessi di Cosa Nostra nel trapanese[24].

Per questi motivi, il 23 gennaio 2017 il gup di Caltanissetta Marcello Testaquadra dispose il rinvio a giudizio per il boss latitante con l'accusa di strage. Il processo si aprì il 13 marzo successivo[25].

Al termine del processo, il 20 ottobre 2020 la Corte d'assise di Caltanissetta, presieduta dalla giudice Roberta Serio, condannò all'ergastolo Messina Denaro in contumacia per il reato di strage. Secondo le motivazioni della sentenza, Matteo Messina Denaro condivise in pieno «il piano criminale di Riina, da un canto, di colpire i nemici storici, gli inaffidabili e i traditori di Cosa nostra, dall'altro canto, di entrare in contatto con nuovi referenti con cui trattare per giungere ad un nuovo equilibrio»[26].

Il boss fu il protagonista «dell'altra faccia della medaglia del piano stragista... Matteo Messina Denaro, con i fratelli Graviano, faceva parte del cerchio magico di Riina... Brusca riferì ai giudici che Riina gli aveva fatto sapere che se fosse successo qualcosa, c'erano "i picciotti” (ND, Messina Denaro e Graviano) che sapevano tutto... loro erano la Cosa nostra segreta nascosta dentro quella conosciuta... la Supercosa l'hanno chiamata i mafiosi stessi»[27].

Il compito del boss di Castelvetrano «fu quello di concentrare l'intera Cosa nostra trapanese dalla parte di Riina e delle stragi... chi non volle farne parte, come l'alcamese Vincenzo Milazzo, venne ucciso con la fidanzata, Antonella Bonomo, che era incinta, appena qualche giorno prima di quel tragico 19 luglio»[28].

Il 19 luglio 2023, nel 31° anniversario della Strage di Via D'Amelio, la Corte d'Appello di Caltanissetta confermò la condanna all'ergastolo[29]. Con la morte di Matteo Messina Denaro, il 25 settembre 2023, il processo si è estinto per morte del reo.

I punti oscuri della Strage

Nonostante i numerosi processi che si sono tenuti nel corso degli anni, sono ancora molti gli aspetti riguardanti la Strage di Capaci che non sono stati mai chiariti.

Il mancato attentato a Roma

Giovanni Falcone Claudio Martelli
Falcone a Roma con l'allora ministro della giustizia Claudio Martelli

Secondo quanto è emerso nel corso delle indagini, Cosa Nostra aveva inizialmente pensato di eliminare Giovanni Falcone mentre si trovava a Roma. Infatti il giudice girava spesso per la Capitale a piedi, senza scorta, e sarebbe stato quindi un facile bersaglio[30]. Un gruppo di mafiosi, composto tra gli altri da Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano, era pronto a colpire, quando Totò Riina decise di annullare la missione romana[31].

Il motivo di questo cambio di piani non è mai stato chiarito. Se l’obiettivo di Cosa Nostra con la Strage di Capaci fosse stato solamente quello di eliminare Falcone, non è chiaro perché allora i mafiosi decisero di ricorrere a una elaborata ed eclatante strage in Sicilia, anziché a un agguato di più semplice realizzazione[32]. A tal proposito, nel 2009 l’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso espresse i propri dubbi davanti alla Commissione Antimafia:

«Perché si passò dall’ipotesi di colpire Falcone mentre passeggiava per le strade di Roma all’attentato con cinquecento kg di esplosivo, collocato a Capaci? La scelta dell’attentato ha una modalità “chiaramente stragista ed eversiva”. Chi ha indicato a Riina questa modalità con cui si uccide Falcone? Finché non si risponderà a questa domanda sarà difficile cominciare a entrare nell’ordine di effettivo accertamento della verità che è dietro a questi fatti».[33].

In base a quanto dichiarato da alcuni collaboratori di giustizia, il piano iniziale di uccidere Falcone a Roma cambiò perché Riina aveva nel frattempo «cose più grosse per le mani»[34]. Uno dei mafiosi del commando romano, Vincezo Sinacori, dichiarò infatti di aver ricevuto l’ordine di interrompere l’attività in corso e di rientrare in Sicilia perché l’attentato sarebbe avvenuto in maniera diversa[35]. Inoltre il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza definì quel cambio di programma un passaggio fondamentale:

«La genesi di tutta questa storia è quando non si uccide più Falcone a Roma con quelle modalità e si inizia quella fase terroristica mafiosa, da lì non è solo Cosa nostra»”[36].

Ad oggi la spiegazione più logica di quell'improvvisa marcia indietro sembrerebbe quindi quella di un suggeritore esterno a Cosa Nostra, che fece cambiare idea a Riina[37].

L’ipotesi del “doppio cantiere”

Diversi elementi emersi nel corso delle indagini e il fatto che la realizzazione della strage abbia richiesto delle competenze tecniche molto complesse, in aggiunta a un’alta probabilità d’insuccesso, hanno fatto ipotizzare a un “doppio cantiere”, cioè alla presenza di un secondo commando oltre a quello mafioso[38]. Il primo aspetto importante riguarda una perizia effettuata dall'FBI dopo la strage, la quale rileva tracce di pentrite e nitroglicerina nei detriti prodotti dall’esplosione[39]. Queste sostanze chimiche sarebbero servite per potenziare la deflagrazione e non coinciderebbero con l’esplosivo da cava e con quello recuperato in fondo al mare che i collaboratori di giustizia hanno affermato di aver utilizzato a Capaci. Inoltre il pentito Gioacchino La Barbera raccontò ai magistrati di aver visto diversi uomini non appartenenti a Cosa Nostra durante la fase preparatoria dell’attentato[40]. In particolare durante un colloquio il collaboratore riferì che:

«Mentre stavamo mettendo da parte l'esplosivo per l'attentato a Falcone, in una villetta di Capaci, notai una persona che non avevo mai visto. Arrivò con Antonino Troia, il capomafia di Capaci, parlò pure con Raffaele Ganci, il capomafia della Noce. Non l'ho più vista quella persona»[41].

Dalla sentenza di primo grado relativa alla Strage di Capaci emerge inoltre il ritrovamento di strani reperti[42]. Poco tempo dopo l’attentato, infatti, venne ritrovato nei pressi dell’esplosione un sacchetto di carta contenente una torcia a pile, un tubetto di mastice per montaggio da edilizia e due guanti di lattice[43]. Siccome il sacchetto di carta appariva integro, e il 18 maggio c’erano state abbondanti precipitazioni, si dedusse che l’abbandono degli oggetti era avvenuto dopo tale data. Considerando che il caricamento dell’esplosivo nel cunicolo era stato predisposto e ultimato l’8 maggio, i giudici della Corte di Assise esclusero che gli oggetti fossero stati lasciati dal commando mafioso, aprendo alla possibilità che i reperti fossero stati utilizzati in un secondo momento, magari per aumentare la potenza dell’esplosivo[44].

A ciò va aggiunto che sui guanti di lattice i periti trovarono tracce genetiche riconducibili a una persona di sesso femminile e, data l’esclusione sostanziale delle donne dalle attività operative di Cosa Nostra, l’ipotesi di una presenza di un secondo commando oltre a quello mafioso sembrerebbe rafforzarsi[45].

I diari di Falcone

Giovanni Falcone annotava tutti i suoi impegni e incontri su due agende elettroniche: una Sharp IQ 8200 da 128kb di memoria; una Casio SF 9500 da 64kb[46]. Per questo motivo il 14 luglio 1992 il procuratore capo Salvatore Celesti incaricò due esperti informatici, Gioacchino Genchi e Luciano Petrini, di analizzare le due agende elettroniche, oltre a un pc fisso e uno portatile rinvenuti nell’ufficio romano di Falcone, e a un Toshiba portatile trovato a casa sua a Palermo[47]. Le indagini svolte dai due periti diedero dei risultati singolari e inattesi, generando ulteriori domande.

L’agenda Casio

L’agenda Casio venne ritrovata il 3 giugno 1992 in un cassetto della scrivania durante la perquisizione dell’appartamento romano del giudice[48]. Successivamente i periti Genchi e Petrini constatarono però che il contenuto della Casio era stato totalmente cancellato[49]. Tuttavia, grazie all’iniziativa di Genchi e alla ditta produttrice dell’agenda, fu possibile ricostruire il database precedentemente cancellato[50]. Tra le numerose annotazioni, vi erano quelle relative a un viaggio effettuato da Falcone negli Stati Uniti e quelle riguardanti il colloquio nel carcere di Spoleto con Gaspare Mutolo[51]. Inoltre insieme all’agenda Casio avrebbero dovuto esserci anche una scheda ram, cioè una memoria esterna dove venivano archiviati i dati, e il cavetto di collegamento con cui il giudice trasferiva le annotazioni sul computer[52]. Ma nonostante diverse persone ne confermassero l’esistenza, la scheda ram e il cavetto non vennero mai ritrovati[53].

I computer nell’ufficio del Ministero

L’ufficio di Falcone presso il Ministero di grazia e giustizia rimase sotto sequestro dal 23 al 30 maggio 1992. Poi inspiegabilmente vennero tolti i sigilli e in questo modo sia il computer portatile che quello fisso nel suo ufficio rimasero incustoditi per quasi un mese[54]. Come constatarono i periti in seguito, nel mese di giugno risultarono diversi accessi ai computer protetti da password e numerosi file, come quelli riguardanti le indagini su Gladio, vennero non soltanto aperti ma anche modificati[55].

Il Toshiba

Esaminando il computer Toshiba trovato dai familiari del giudice nell’abitazione di Palermo, i periti Genchi e Petrini scoprirono un’importante anomalia. Risultò infatti che il 9 giugno 1992 qualcuno aveva inserito nel computer un programma chiamato PC tools, che consentiva di «modificare, di rinominare, di cambiare la data dei file, di cancellarli, di renderli del tutto illeggibili, di riempirli di zero, insomma di fare una serie di operazioni sul disco rigido»[56]. Inoltre Genchi rivelò che il Toshiba, così come l’agenda Casio, erano stati ritrovati dai familiari nella casa di Falcone in un periodo di gran lunga successivo alle ispezioni che erano state effettuate in precedenza[57].

La sparizione dei floppy disk

L’ex collaboratore di Falcone a Palermo, Giovanni Paparcuri, raccontò che il giudice prima di lasciare la Sicilia per andare a Roma «si era fatto predisporre una copia delle memorie dei suoi computer che vennero sistemate in un centinaio di floppy disk»[58]. Ma dopo la strage nell’ufficio di Falcone a Roma ne vennero ritrovati solamente ottanta. Una ventina di floppy disk scomparirono quindi nel nulla. Come dichiarò Paparcuri, che copiò personalmente i dischetti, in quei cento floppy disk erano presenti la banca dati e l’archivio del giudice, con appunti e annotazioni di carattere personale ma anche indagini riservate come quella su Gladio[59].

I viaggi di Falcone negli Stati Uniti

giovanni falcone
Giovanni Falcone

Pochi giorni dopo la morte di Falcone si diffusero diverse voci riguardo a un possibile viaggio effettuato dal giudice negli Stati Uniti. Questo viaggio sarebbe avvenuto un mese prima della Strage[60]. Il 29 maggio l’ex giudice Carlo Palermo, deputato de La Rete, confermò questo viaggio, affermando in un dibattito che Falcone dopo l’omicidio di Salvatore Lima si era recato negli Stati Uniti per parlare con il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta[61]. Mentre le indagini proseguirono, il 22 aprile 1993 la trasmissione «Il rosso e il nero» di Michele Santoro mandò in onda un’intervista telefonica al procuratore di Brooklyn Charles Rose[62]. Questi dichiarò di aver incontrato Falcone negli USA nell’aprile del '92 e che il giudice aveva visto Buscetta nell’ambito di una sua indagine[63].

La stessa intervistatrice di Rose, Maria Cuffaro, affermò durante il processo per la Strage, il 4 gennaio 1996, di aver avuto conferme del viaggio di Falcone a Washington dall’avvocato Dick Martin, ex agente dell’FBI, e da Larry Byrne, funzionario del dipartimento di Giustizia americano[64]. Ma a confermare il viaggio negli Stati Uniti non ci furono solamente i tre testimoni americani e l’ex giudice Palermo. Anche il ministro della Giustizia Claudio Martelli in un primo momento ne diede conferma (salvo poi negarlo il 25 settembre 1992)[65]. Inoltre l’8 gennaio del '96 si aggiunse a loro anche Giuseppe Ayala, il quale testimoniò di essere stato messo a conoscenza da Falcone di un viaggio a Washington successivo all’omicidio Lima[66].

Nonostante le smentite provenienti dal ministero di Giustizia, un'altra conferma venne dall’analisi dell’agenda Casio, il cui database era stato completamente cancellato. Dopo la ricostruzione dei contenuti da parte dei periti, all’interno di essa risultarono infatti diverse annotazioni relative a viaggi effettuati da Falcone negli Stati Uniti tra il 28 aprile e il 3 maggio del '92[67]. L’agenda confermerebbe quindi le parole dei magistrati Ayala e Palermo, nonché quelle degli americani Rose, Martin e Byrne.

Infine controllando i tabulati telefonici di Falcone, il perito Genchi si accorse che, proprio nei giorni del presunto viaggio, il cellulare del giudice non aveva registrato chiamate[68]. Questo fatto confermerebbe quindi la teoria della trasferta americana, dato che i cellulari dell’epoca perdevano il segnale all’estero e risultava parecchio strano che un giudice del calibro di Falcone non avesse ricevuto o effettuato telefonate per un periodo così lungo[69]. Per fugare ogni dubbio, Genchi propose quindi di controllare le carte di credito del giudice, le quali avrebbero svelato o meno la sua presenza negli Stati Uniti. I magistrati tuttavia non presero mai in considerazione tale possibilità[70]. Anche se il ministero di Giustizia ha sempre smentito la possibilità di un viaggio da parte di Falcone negli Stati Uniti tra il 28 aprile e il 3 maggio, non ha mai saputo o voluto spiegare cosa fece il giudice (che lavorava per tale ministero) in quel periodo[71].

Memoria

La strage di Capaci viene celebrata ogni anno a Palermo, sin dall'anno successivo alla strage. Nel 2002, nel decennale della Strage, lo Stato italiano istituì nella data del 23 maggio la Giornata della Legalità, con l'obiettivo di commemorare le vittime delle due stragi del '92.

Se prima le celebrazioni erano gestite dal Coordinamento antimafia palermitano, dai primi anni Duemila l'impulso principale venne dato dalla Fondazione Falcone. Tra le diverse iniziative collegate alla ricorrenza vi fu anche la Nave della Legalità, esperienza ideata dal Ministero dell'istruzione nel 2006 e definitivamente chiusa nel 2019[72].

Nel 2020, a seguito della pandemia da Covid-19 e le restrizioni conseguenti, WikiMafia lanciò la campagna "#EranoSemi – ricordiamo Giovanni Falcone sui social", dal 18 al 23 maggio, seguita da quella dedicata a Paolo Borsellino. Diverse iniziative poi sono state dedicate alla ricorrenza della Strage dall'enciclopedia, sia online che in presenza, oltre ad aver preso parte alle celebrazioni palermitane[73].

Voci Correlate

Note

  1. Attilio Bolzoni, Narcos, Falsa pista, la Repubblica, 16 luglio 1992
  2. Francesco Viviano, Il Palazzo di Giustizia nel mirino della mafia, la Repubblica, 24 marzo 1993
  3. Dino Martiriano, Antonino Gioè, boss "chiacchierone" si ammazzo' per paura della vendetta, Corriere della Sera, 12 novembre 1993, pagina 5.
  4. Alessandra Ziniti, In manette i fedelissimi di Riina, la Repubblica, 5 giugno 1993
  5. Attilio Bolzoni, Gioè suicida per coprire i piani futuri della mafia, la Repubblica, 1° agosto 1993
  6. Citato in Aldo Iacobelli (2016). "Il raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche e l'evoluzione della moderna genetica forense, in Rassegna dell'Arma dei Carabinieri, Volume 1, gennaio-marzo, p. 46.
  7. Francesco Viviano, Sulle tracce dei killer di Falcone, la Repubblica, 20 agosto 1992
  8. Carmelo Zuccaro, Sentenza 10/97 contro "Aglieri + 40", Corte di Assise di Caltanissetta, 26 settembre 1997, p.26
  9. Sergio Lari, "Verbale di interrogatorio di Gaspare Spatuzza", in Procedimento penale 2466/08 RGNR, 3 luglio 2008
  10. Salvo Palazzolo, Falcone, individuato il commando della strage "Ecco chi procurò l'esplosivo": 8 arresti, la Repubblica, 16 aprile 2013.
  11. Adnkronos, Mafia: pm Gozzo, Capaci bis processo molto importante, 21 maggio 2014
  12. Repubblica.it, Mafia: due ergastoli per strage di Capaci, 19 novembre 2014
  13. IlFattoQuotidiano.it, Mafia, nuovo pentito sulla strage di Capaci: è D'Amico il "pescatore di bombe", 28 settembre 2015.
  14. Adnkronos, Processo Capaci-bis, quattro ergastoli e un'assoluzione per la strage, 26 luglio 2016
  15. LaSicilia.it, Processo strage Capaci, Bertone: «Boss D'Agata non è pentito», 31 ottobre 2019
  16. LaSicilia.it, Pentito Avola al Capaci bis: «A casa di Ercolano spiegazioni sull'uso dell'esplosivo», 19 novembre 2019; LaSicilia.it, Strage di Capaci, pentito catanese "Non demmo armi ai palermitani", 29 novembre 2019.
  17. Karim El Sadi, Processo Capaci bis: la testimonianza del pentito Riggio sulle ombre dell'Attentatuni, Antimafia Duemila, 30 novembre 2019.
  18. IlFattoQuotidiano.it, Strage di Capaci, l'ex poliziotto indagato non si presenta al processo. Il pentito: "A Roma dovevamo uccidere pure Baudo e Santoro", 12 febbraio 2020.
  19. LaRepubblica.it, Strage di Capaci, il perito: "Possibile la presenza di una donna sul luogo dell'attentato", 15 gennaio 2020.
  20. IlFattoQuotidiano.it, Capaci bis, ergastoli confermati per Madonia, Pizzo, Lo Nigro e Tinnirello. La pg: "Esponenti delle istituzioni di allora parlino per fare luce", 21 luglio 2020.
  21. IlFattoQuotidiano.it, Strage di Capaci, confermati i 4 ergastoli nel processo bis. Assoluzione definitiva per Vittorio Tutino, 14 giugno 2022
  22. Panorama, Stragi di Capaci e via d'Amelio, il mandante era Matteo Messina Denaro, 22 gennaio 2016.
  23. LaSicilia.it, Mafia, pm racconta: «Cosa Nostra voleva uccidere Falcone a Roma», 2 luglio 2020
  24. LaSicilia.it, Ergastolo al latitante Messina Denaro: “Fu tra i mandanti delle stragi del ’92”, 21 ottobre 2020.
  25. Agi, Mafia: stragi, parte processo a Messina Denaro. Deporrà Spatuzza, 13 marzo 2017
  26. Citato in Rino Giacalone, Stragi del ‘92, confermato l’ergastolo per Messina Denaro, 19 luglio 2023.
  27. Ibidem
  28. Ibidem
  29. Ibidem
  30. Giuseppe Pipitone, Perché non lo hanno ammazzato a Roma? , Il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2019
  31. Giuseppe Pipitone, Giovanni Falcone, tutto quello che non torna sulla strage di Capaci 30 anni dopo. L’esplosivo, i buchi neri e i mandanti esterni (mai trovati) , Il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2022
  32. Carlo Sarzana di Sant’Ippolito (2018). Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Le cose non dette e quelle non fatte, Roma, Castelvecchi, p.14
  33. Cit. in Ivi, p. 179
  34. Edoardo Montolli (2018). I diari di Falcone. Le verità nascoste nelle agende elettroniche del giudice, Milano, Chiarelettere, p.11
  35. Carlo Sarzana di Sant’Ippolito, op.cit., p. 253.
  36. Giuseppe Pipitone, Giovanni Falcone, tutto quello che non torna sulla strage di Capaci 30 anni dopo. L’esplosivo, i buchi neri e i mandanti esterni (mai trovati) , Il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2022.
  37. Carlo Sarzana di Sant’Ippolito, op.cit., p.202
  38. Pipitone, op.cit., 23 maggio 2022
  39. Ibid
  40. Angelo Corbo (2016). Strage di Capaci. Paradossi, omissioni e altre dimenticanze, Firenze, Diple Edizioni, p.13 e p. 121
  41. Redazione Adnkronos (2022, 23 maggio). Falcone, a 30 anni da strage di Capaci zone d'ombra e misteri, Adnkronos
  42. Carlo Sarzana di Sant’Ippolito, op.cit., p.192
  43. Ibidem
  44. Ivi, p.193
  45. Pipitone, op.cit., 23 maggio 2022
  46. Edoardo Montolli (2018). I diari di Falcone. Le verità nascoste nelle agende elettroniche del giudice, Milano, Chiarelettere, p.44
  47. Ibidem
  48. Carlo Sarzana di Sant’Ippolito, op.cit. p.218
  49. Ivi, pp. 206-207
  50. Ivi, p.213
  51. Ivi, p.219
  52. Ivi, p.207
  53. Edoardo Montolli, op.cit., pp. 45, 72; Carlo Sarzana di Sant’Ippolito,op.cit., p.237
  54. Attilio Bolzoni, Salvo Palazzolo, Il diario scomparso di Falcone, Video-inchiesta, RepubblicaTV, 22 maggio 2014
  55. Edoardo Montolli op.cit., pp. 69-70; Pipitone, op.cit., 23 maggio 2022
  56. Carlo Sarzana di Sant’Ippolito, op.cit., p.232
  57. Ibidem
  58. Carlo Sarzana di Sant’Ippolito, op.cit., p.236
  59. Citato in Bolzoni, Palazzolo, op.cit.
  60. Edoardo Montolli, op.cit., p.147
  61. Ibidem
  62. Ivi, p.152
  63. Ibidem
  64. Ivi, p.155
  65. Ivi, pp.147, 156
  66. Ivi, p.156
  67. Carlo Sarzana di Sant’Ippolito, op.cit., p.147
  68. Edoardo Montolli, op.cit., p. 159.
  69. Ibidem
  70. Carlo Sarzana di Sant’Ippolito, op.cit., pp. 156-157.
  71. Edoardo Montolli, op.cit., pp.159-161
  72. Quell'anno Pierpaolo Farina realizzò per WikiMafia anche un MafiaVlog al riguardo su YouTube.
  73. Si veda la sezione di WikiMafia, "Li avete uccisi ma non vi siete accorti che erano semi"

Bibliografia

  • Archivio Storico La Repubblica.
  • Archivio Storico La Stampa.
  • Bolzoni Attilio, Palazzolo Salvo (2014, 22 maggio). Il diario scomparso di Falcone, Video-inchiesta' per La RepubblicaTV.
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  • Iacobelli, Aldo (2016). "Il raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche e l'evoluzione della moderna genetica forense, in Rassegna dell'Arma dei Carabinieri, Volume 1, gennaio-marzo
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  • Loforti, Gilda (1994). Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere - Procedimento Penale 2111/93, Tribunale di Caltanissetta - Ufficio del Giudice per le indagini preliminari, 11 aprile.
  • Montolli, Edoardo (2018). I diari di Falcone. Le verità nascoste nelle agende elettroniche del giudice, Milano, Chiarelettere.
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  • Trizzino, Giancarlo (2000). Sentenza 11/2000 contro "Aglieri + 38", Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, 7 aprile.
  • Zuccaro, Carmelo (1997). Sentenza 10/97 contro "Aglieri + 40", Corte di Assise di Caltanissetta, 26 settembre.