Roberto Parisi

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Roberto Parisi (Torino, 4 settembre 1931 – Palermo, 23 febbraio 1985) è stato un imprenditore italiano, vittima innocente di Cosa Nostra.

Roberto Parisi

Biografia

Ingegnere laureatosi al Politecnico di Torino, divenne un noto imprenditore prima come titolare dell'Icem, società che sin dal 1970 aveva in appalto la manutenzione degli impianti di illuminazione pubblica della città di Palermo, poi, dal 1982, come patron del Palermo Calcio e vicepresidente dell'associazione degli industriali palermitani. Perse la prima moglie Elvira De Lisi e la figlia Alessandra nella strage di Ustica del 27 giugno 1980. La sua Icem era l'unica concorrente agguerrita in un mercato allora dominato dal gruppo Cassina, legato a Cosa Nostra.

L'omicidio

La mattina del 23 febbraio 1985, verso le 8:30, Parisi si trovava a bordo di una Fiat 131 guidata da Giuseppe Mangano, il suo autista di fiducia. L'auto stava percorrendo la strada che corre parallela alla via per l’Aeroporto di Palermo, nella zona tra i quartieri Partanna-Mondello e Tommaso Natale. I due erano oramai giunti a poche centinaia di metri dalla Icem, quando la loro auto venne affiancata da una Fiat Panda e da una Fiat Ritmo mentre, poco più avanti, ferma in attesa, c'era una Renault 4. All'improvviso, dai finestrini delle auto spuntarono diverse pistole e una mitraglietta.

Mangano venne colpito immediatamente e l'auto sbandò, andando a sbattere contro alcuni cassonetti dell’immondizia. I killer, a piedi, raggiunsero Parisi e Mangano, agonizzanti, e spararono contro di loro nuovamente. Mangano morì subito, Parisi dopo due ore di agonia in ospedale.

Indagini e processi

Dopo la sua scomparsa, venne reso noto che l'Icem era sotto indagine da almeno un anno da parte del Pool antimafia. Dieci anni dopo, nel 1995, il mafioso Emanuele Di Filippo divenne collaboratore di giustizia e si autoaccusò dell'omicidio, portando alla condanna all'ergastolo di Francesco Tagliavia, Lorenzo Tinnirello e Giuseppe Lucchese.

Parisi e i processi Contrada

La vedova di Parisi, Gilda Ziino, nell'ambito dei Processi contro Bruno Contrada, riferì di due episodi in relazione alle indagini della morte del marito nei quali Contrada aveva assunto comportamenti che l'avevano fortemente preoccupata e resa perplessa sulle finalità del suo intervento.

Subito dopo la morte del marito, Contrada chiese e ottenne un incontro riservato con la vedova, durante il quale "il dott. Contrada mi disse, con fermezza, che qualunque cosa io potessi sapere che riguardava la morte di Roberto dovevo stare zitta, non parlarne con nessuno e ricordarmi che avevo una figlia piccola... mi disse solo queste testuali parole".

Spaventata dalla velata minaccia nei confronti della figlia di un anno, in un primo momento la vedova rimase in silenzio, tacendo i contenuti dell'incontro, salvo poi riferirli al proprio avvocato, Alfredo Galasso, e poco dopo a Giovanni Falcone.

La domenica successiva all'incontro con Falcone, nel febbraio 1988, la vedova aveva ricevuto nuovamente la visita di Contrada che le aveva chiesto cosa avesse riferito al giudice del Pool antimafia; sorpresa che ne fosse a conoscenza, essendo in distacco a Roma, la vedova negò la circostanza.

Le circostanze furono poi confermate fino in Cassazione.

Bibliografia

  • Roberto Greco, Roberto Parisi e Giuseppe Mangano, 23 febbraio 1985, Antimafia Duemila, 23 febbraio 2018