Strage del rapido 904

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Strage del rapido 904

La Strage del Rapido 904 (detta anche strage del treno di Natale), è una strage avvenuta il 23 dicembre 1984 alle 19:08 all'interno della Grande Galleria dell'Appennino, all'altezza di San Benedetto Val di Sambro (a 40 km da Bologna). Una bomba, posta all'interno della nona carrozza della seconda classe del treno n.904, partito da Napoli con destinazione Milano, deflagrò all'interno della galleria: il bilancio della strage fu di 17 morti e 267 feriti.

La Strage

La dinamica e il precedente dell'Italicus

Sempre all'altezza di San Benedetto Val di Sambro, nei pressi della Grande Galleria dell'Appenino, esattamente dieci anni prima, il 4 agosto 1984, era stato effettuato un altro attentato, di matrice terroristica, ai danni del treno Italicus. Mentre però nel caso dell'Italicus la bomba venne fatta esplodere all'esterno della galleria dell'Appennino, nella strage del rapido 904 gli attentatori amplificarono la portata dell'esplosione, facendo deflagrare la bomba all'interno della galleria. La strage del rapido è la prima strage in Italia dove una bomba viene azionata a distanza tramite un telecomando.

La strage del Rapido 904 è l'unica strage, all'interno di quella che viene definita la "strategia delle tensione", di cui sono stati condannati i mandanti; ad oggi sono invece sconosciuti gli esecutori e non sono del tutto chiari i moventi che hanno portato a compierla.

Una bomba di questa portata non si vedeva dalla Strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980: proprio in occasione dell'attentato al Rapido 904, si sperimentò per la prima volta il piano di emergenza predisposto dal sistema centralizzato di gestione delle emergenze costituito dal comune di Bologna.

Le vittime

Le vittime furono in totale diciassette:

Nei mesi successivi persero la vita, a seguito delle gravi ferite riportate:

Le indagini

Per prima si mosse la Procura della Repubblica di Bologna: venne richiesta una perizia chimico-balistica per accertare il materiale utilizzato e le dinamiche dell'esplosione; durante le indagini saltò fuori un testimone che aveva visto una persona sistemare proprio nella nona carrozza detonata due borsoni, alla fermana della Stazione Santa Maria Novella di Firenze. Così il corpus delle indagini venne trasferito alla Procura di Firenze. Le indagini furono svolte dal pubblico ministero Pier Luigi Vigna.

Guido Cercola e Friedrich Schaudinn

Il 29 marzo 1985, appena tre mesi dopo la strage, vennero ritrovate due valigette contenenti radiocomandi a lungo raggio a Roma, durante una perquisizione in un appartamento del quartiere Prati. Il proprietario dell'immobile era Guido Cercola, il "luogotenente" del mafioso Giuseppe Calò, capo della famiglia di Porta Nuova a Palermo, soprannominato "il cassiere di Cosa Nostra".

Dalle indagini emersero i rapporti tra Cercola e un certo Friedrich Schaudinn, un tedesco che secondo le dichiarazioni del mafioso aveva costruito il sistema di radiocomandi per utilizzarlo in un impianto antifurto. Le indagini condotte dimostrarono l'assoluta compatibilità di questo tipo di radiocomandi con attentati come quello effettuato sul Rapido 904. Interrogato a Roma, Shaudinn confessò di aver consegnato il dispositivo a Cercola all'inizio del dicembre 1984, al costo di 18 milioni di lire: a pagare la somma fu proprio il boss di Cosa Nostra Pippo Calò.

Il ritrovamento dell'esplosivo

L'11 maggio 1985, in un casale di Poggio San Lorenzo (Rieti) vennero ritrovati alcuni detonatori, sei chili di tritolo e due panetti di esplosivo Semtex, uno dei quali parzialmente utilizzato. Il casale era di proprietà di Pippo Calò. L'esplosivo ritrovato venne dichiarato compatibile con quello utilizzato per la strage di Natale.

La pista napoletana

Ad un certo punto delle indagini, giunse la notizia dal capoluogo campano che qualche settimana prima della strage, negli uffici della Questura, l'ex-poliziotto ed attivista di Avanguardia Nazionale Carmine Esposito, con vari precedenti penali, aveva parlato di un possibile attentato alla vigilia di Natale. Esposito era un assiduo frequentatore, all'interno del Rione Sanità, di una gang di rapinatori, camorristi, mafiosi e criminali veneti, guidata da Giuseppe Misso. Il 7 luglio 1985 una retata decimò i componenti della gang e due degli esponenti arrestati, Mario Ferraiuolo e Lucio Luongo, cominciarono a parlare, facendo dichiarazioni anche in merito alla strage del Rapido 904. Ferraiuolo e Luongo affermarono che i profitti ricavati dalle loro rapine erano stati destinati ad attività politiche e che poche settimane prima della strage si era svolta una riunione dove avrebbe partecipato un deputato dell'MSI, Massimo Abbatangelo. Luongo dichiarò inoltre di aver ricevuto dal deputato missino una valigia contenente esplosivo, di cui specificò i dettagli: un combinato di Semtex H e Brixia B5 (quest'ultimo tipo venne ritrovato anche sulla scena del fallito attentato all'Addaura nel 1989 e in Via D'Amelio nel 1992). In una successiva perquisizione della casa di Abbatangelo vennero trovate anche pistole e proiettili. Luongo e Ferraiuolo riferirono infine che la mattina del 23 dicembre 1984 Carmine Lombardi, giovane di 17 anni protetto di Misso (all'epoca latitante in Brasile), era salito sul Rapido 904 insieme all'esplosivo utilizzato nella strage. Tuttavia, Lombardi era però già stato ucciso il 5 marzo 1985.

L'intreccio: Cosa Nostra, la Camorra, la Banda della Magliana e l'estrema destra

Dalle indagini romane, fiorentine e napoletane, emerse un quadro fino a quel momento inedito: un intreccio tra Cosa Nostra, la Camorra, la Banda della Magliana e l'estrema destra. Molti studiosi concordano che questa partnership tra le due organizzazioni mafiose fosse dovuta al cambio di rotta avvenuto con la seconda guerra di mafia e la seconda guerra di camorra, dalle quali uscirono vincitori rispettivamente i Corleonesi in Sicilia e la Nuova Famiglia in Campania. Punto di riferimento per l'alleanza tra le due furono Pippo Calò e Giuseppe Misso. Secondo il pm Pier Luigi Vigna, il motivo che portò alla realizzazione della Strage del Rapido 904 furono le dichiarazioni di Tommaso Buscetta, l'esponente di spicco di Cosa Nostra che aveva deciso di collaborare con Giovanni Falcone: inscenando una strage simile a quella dell'Italicus, l'obiettivo dei Corleonesi e dei loro alleati campani era di sviare l'attenzione mediatica dalle rivelazioni di Buscetta ad una nuova emergenza terrorismo.

Gli sviluppi prima del processo

Nell'ottobre 1988 Ferraiuolo e Luongo decisero di interrompere la collaborazione, ritrattando le dichiarazioni rese precedentemente, il primo a seguito di minacce ai propri familiari, il secondo dopo un tentativo di suicidio. Nel frattempo, Friedrich Schaudinn, agli arresti domiciliari per aver presumibilmente costruito l'ordigno utilizzato nella strage, riuscì ad evadere e a fuggire in Germania, aiutato da alcune autorità tedesche, cosa che portò Vigna a porre sotto inchiesta i servizi segreti per favoreggiamento aggravato dalla finalità di terrorismo. L'Italia, tuttavia, non chiese mai l'estradizione di Schaudinn.

Il Processo

Nel processo di primo grado, il 25 febbraio 1989 la Corte d'Assise di Firenze condannò all'ergastolo, con l'accusa di strage, Pippo Calò, Guido Cercola, Giuseppe Misso e altri, mentre Schaudinn venne condannato a 25 anni.

Appello

Nel processo di secondo grado, vennero confermate le condanne a Calò e Cercola, mentre Misso venne assolto per il reato di strage, ma condannato per detenzione illecita di esplosivo; Schaudinn venne assolto per il reato di banda armata, ma condannato per il reato di strage a 22 anni.

L'annullamento in Cassazione, il nuovo processo e le condanne definitive

Il 5 marzo 1991 la prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Corrado Carnevale, annullò la sentenza di appello, con rinvio ad un nuovo procedimento: nel secondo processo d'appello vennero confermate tutte le condanne, salvo la pena di Misso per il reato di detenzione illecita di esplosivo, ridotta a soli tre anni. Il 24 novembre 1992, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione confermò le condanne, riconoscendo la matrice "terroristico-mafiosa" dell'attentato.

Il 18 febbraio 1994, la Procura di Firenze concluse il procedimento a carico del deputato dell'MSI Massimo Abbatangelo, la cui posizione era stata stralciata dal processo principale: assolto dal reato di strage, Abbatangelo venne condannato a sei anni di reclusione per aver consegnato l'esplosivo a Giuseppe Misso.

Il rinvio a giudizio di Riina nel 2013

Il 27 aprile 2011 i pm Paolo Itri e Sergio Amato della Direnzione Distrettuale Antimafia di Napoli emisero un'ordinanza di custodia cautelare per il capo dei capi Totò Riina, ritenuto il mandante della strage, sulla base di dichiarazioni di nuovi pentiti, tra i quali Giovanni Brusca. La Cassazione stabilì la competenza della Procura di Firenze, competenti il procuratore Giuseppe Quattrocchi e il magistrato della Dda Angela Pietroiusti: nel dicembre 2012 la procura chiuse le indagini e il 10 maggio 2013 rinviò a giudizio Totò Riina.

L'assoluzione di Riina in primo grado

Il 25 novembre 2014 si aprì, a Firenze, il processo. Secondo la DDA napoletana l'attentato si inserì in un disegno strategico di Riina per far apparire l'attentato come un fatto politico e come risposta al Maxiprocesso di Palermo[1]. Ciononostante, il 14 aprile 2015 Riina fu poi assolto per mancanza di prove[2].

L'appello

Il 27 aprile 2017 la Procura Generale di Firenze ha chiesto nuovamente l'ergastolo per Riina in qualità di mandante della strage. Il processo si chiuse con la morte del Capo dei Capi di Cosa Nostra.


Note

Bibliografia

  • Alexander Höbel, Gianpaolo Iannicelli, "La strage del treno 904", Santa Maria Capua Vetere, Ipermedium, 2006
  • Saverio Lodato, Quarant'anni di Mafia, Milano, Bur, 2013