Alberto Varone

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Alberto Varone (Carano, 1942 - Sessa Aurunca, 24 luglio 1991) è stato un imprenditore ucciso dalla Camorra.

Alberto Varone
Alberto Varone

Biografia

Nato a Carano, oggi frazione di circa duemila abitanti del comune di Sessa Aurunca, Varone si era sposato con Antonietta, insieme alla quale aveva avuto cinque figli, quattro maschi e una femmina. Per mantenere una famiglia così numerosa, Varone svolgeva due attività: di giorno conduceva un piccolo negozio di mobiliere in pieno centro a Sessa Aurunca, in Viale Trieste, mentre ogni notte, alle 3:00, si alzava per andare a prendere i quotidiani al deposito di San Nicola La Strada, una cittadina alle porte di Caserta, per distribuirli in tutte le edicole del suo comune, da Roccamonfina al Garigliano.

L'attività di distribuzione di Varone, tuttavia, faceva gola al clan dei Muzzoni, camorristi federati alla Nuova Famiglia nella lotta contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Le minacce a Varone si fecero via via più insistenti, con l'obiettivo di costringerlo a cedere l'attività: atti intimidatori, telefonate minatorie, nonché emissari del capo-clan Mario Esposito, che tentarono in ogni modo di impossessarsi delle sue attività economiche.

Nonostante il forte clima di condizionamento, il piccolo imprenditore continuò a resistere alle richieste, sempre più aggressive, divenendo suo malgrado una minaccia per la credibilità della stessa organizzazione criminale[1].

L’omicidio

Il 24 luglio 1991 Varone stava facendo la strada che percorreva ogni mattina, quando un commando armato di fucile a canne mozze esplose più colpi a distanza ravvicinata, uno dei quali lo colpì in pieno volto. Il piccolo imprenditore fu lasciato lì, in fin di vita, in località “Acqua Galena”, tra i comuni di Francolise, Teano e Sessa Aurunca.

Quando i carabinieri della caserma di Sant'Andrea del Pizzone giunsero sul luogo, allertati da una telefonata anonima, si resero subito conto che era in fin di vita. La disperata corsa per salvargli la vita, prima all’Ospedale civile di Capua, il “Palasciano”, poi al "Nuovo Pellegrini" di Napoli, dove fu trasferito alle 12:40 fu inutile. Varone spirò nel primo pomeriggio, alle 16:35, non prima di aver detto alla moglie Antonietta "Hai visto? Mario ce l'ha fatta...", riferendosi al boss Esposito.

Le indagini e il processo

Le prime indagini non approdarono a nulla: il procedimento giudiziario fu archiviato lasciando ignoti gli autori dell’omicidio.

La stessa moglie di Varone, Antonietta, fu accusata di favoreggiamento personale a causa della sua reticenza, accusa dalla quale fu poi assolta con formula piena appena iniziò a parlare con gli inquirenti. La donna infatti, in un primo momento, atterrita dalle minacce, nascose alle forze dell’ordine tutto ciò che la sua famiglia aveva dovuto subire, terrorizzata dall’idea che potesse toccare la stessa sorte del marito anche ai suoi figli. Fu solo a seguito di un pestaggio perpetrato ai danni del figlio Giancarlo, che aveva preso in mano l'attività di distribuzione del padre, che maturò la decisione di raccontare tutto. La donna capì solo allora «il suo silenzio non sarebbe stato sufficiente a proteggere i suoi figli. La camorra, una volta azzannata la preda, la finisce»[2].

Decise così, accompagnata da Monsignor Raffaele Nogaro, di denunciare alle forze dell’ordine tutto quello che era accaduto per anni alla sua famiglia, divenendo una delle primi “testimoni di giustizia”. La sua fu una decisione che le procurò l’ostilità dei propri familiari e la costrinse, insieme ai figli, ad abbandonare la sua casa e la sua terra e a trasferirsi in un luogo sicuro con nuove generalità, entrando nel programma di protezione.

La mattina in cui si aprì il dibattimento, Antonietta si presentò puntuale davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Era vestita di nero. Quando fu chiamata a testimoniare non ebbe tentennamenti e a testa alta raggiunse lo scranno riservato ai testi. «Alla baldanza del killer rispose così l’audacia imprevista della donna». [3].

Il processo di primo grado, grazie alla sua testimonianza, a quella del figlio Giancarlo e alla deposizione del collaboratore di giustizia Gianfranco Mancaniello, già affiliato al Clan dei Muzzoni, si concluse il 9 febbraio 2000. La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere comminò la pena dell’ergastolo per Mario Esposito, confermata poi in via definitiva dalla Corte di Cassazione.

Memoria

A Maiano di Sessa Aurunca sorge il presidio dell’associazione “Libera contro le mafie” intitolato proprio ad Alberto Varone, gestito dalla cooperativa sociale "Al di là dei Sogni", la quale, a partire dal 2008, aiuta i soggetti appartenenti a "fasce deboli" a trovare la dignità di nuovi percorsi di vita, grazie alle attività della fattoria didattica, dell’agricoltura sociale e del turismo responsabile e sostenibile.

Note

  1. Ministero dell’Interno, Testimonianze di coraggio: Alberto Varone la famiglia , il lavoro, il coraggio di dire “no”, Interno.gov , 21 luglio 2017
  2. Raffaele Sardo (2008), La Bestia, Milano, Melampo Editore, pp. 148-149.
  3. Sardo, op. cit., p. 151.

Bibliografia

  • Ministero dell’Interno, Testimonianze di coraggio: Alberto Varone, la famiglia, il lavoro e la forza di dire "no".
  • Sardo Raffaele (2008). La bestia, Milano, Melampo Editore.