Giuseppe Francese

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"Avevo quegli occhioni scuri quando bruscamente sei andato via. Ho ancora gli stessi occhi e con loro continuo a percorrere le impervie strade della vita. Senza di te, ma con te. E mentre proseguo l'ineluttabile cammino della vita, mi guardo intorno."
(Giuseppe Francese)


Giuseppe Francese

Giuseppe Francese (Palermo, 9 settembre 1966 - Palermo, 3 settembre 2002) è stato uno dei quattro figli del giornalista Mario Francese ucciso da Cosa Nostra nel 1979. Grazie a lui venne riaperta l'inchiesta sul delitto del padre, fino ad arrivare a rendergli giustizia.

Biografia

Nato nel 1966 a Palermo, Giuseppe era il figlio più piccolo di Mario Francese.
La sera che il padre fu ucciso, il 26 gennaio 1979, Giuseppe aveva solo dodici anni e si trovava in casa ad aspettare il padre di rientro da lavoro. Sentì gli spari, che rimasero impressi per sempre nella sua memoria.
Diplomato in Ragioneria, decise di non continuare gli studi e di mettersi subito a lavorare, grazie anche alla legge rivolta ai familiari delle vittime della mafia. Possibilità che nel corso degli anni gli creò qualche amarezza, dovuta alle voci che si sentivano su di lui. "Faccio parte di quella schiera di «fortunati», almeno così ci considerano in tanti, che hanno avuto un posto di lavoro presso la pubblica amministrazione in qualità di orfani di vittime della mafia. «Categoria fortunata», sì perché per entrare non abbiamo fatto alcun concorso, ma siamo stati assunti attraverso una legge nazionale. Ma c'è da chiedersi: quanti hanno fatto un concorso alla Regione? E quei pochi che lo hanno fatto non si sono rivolti a nessuno? I loro padri, magari: con le loro amicizie, a volte con le loro vere e proprie connivenze. Noi dobbiamo dire grazie solo ai nostri padri, morti da uomini in un mondo di «quaquaraqua». E se gli altri sono invidiosi, fanno bene ad esserlo, perché pochi hanno avuto la fortuna di avere padri come il mio."[1]
Venne assunto dunque alla Regione, come funzionario agli Enti Locali.
Nel lavoro Giuseppe viene ricordato come attento, preciso e onesto[2]. Un esempio da ricordare riguarda il momento in cui si occupò di Ipab: le sue segnalazioni venivano spesso messe a tacere. "Mi dicevano, per favore non sollevi problemi."[3]
Questo lavoro fu spesso, per Giuseppe, fonte di tormento. Si sentiva inascoltato e spesso isolato. Solo quando lo trasferirono in un altro settore riuscì a trovare un po' di serenità.

La scoperta della scrittura

Dagli amici e da chi gli è stato più vicino viene ricordato come un ragazzo estroverso, allegro, che amava viaggiare, e godersi la vita. Tuttavia col tempo si rese conto da solo che questa vita lo aveva stancato, e che era solo un buon riempitivo per quel vuoto che non gli dava pace. Cercò passatempi e interessi diversi e scoprì la passione per la scrittura, ereditata dal padre. Avrebbe voluto fare anch'egli il giornalista. E inoltre fu spesso impegnato nella lotta alla mafia.
A poco a poco, dunque, scoprì la passione per la scrittura, e così cominciò a scrivere pagine e pagine. E quando le pagine scritte furono tante, vennero messe insieme in una raccolta dal titolo "Con i miei occhi".
Gli stessi occhi con i quali Giuseppe cercava la verità; gli stessi con i quali voleva trovare giustizia per suo padre e capire perché era stato ucciso. Gli stessi occhi che gli fecero capire quanto scomodo potesse diventare anche il mestiere di un giornalista, se quest'ultimo veniva svolto con libertà.
"Ho scritto e scritto di mafia. Come mio padre, anche se non faccio il suo mestiere. Allora mi domando e vi domando: perché lo faccio? Forse soltanto per sete di verità. Verità ancora sconosciute, verità da chi per oltre vent'anni è stato arso dalla sete di giustizia. Così qualche inchiesta l'ho fatta anche io, in periodici poco conosciuti ma in cui ero libero di scrivere ciò che volevo. Ho riletto molte verità ufficiali ma ai miei occhi, occhi da ingenuo o forse solo di un povero stupido, sono verità che non convincono. Questa è la terra dei misteri. A volte la verità mi sembra che sia come un immenso puzzle, ogni tanto incastoni un pezzo e cerchi l'altro per andare avanti. Ma il puzzle è infinito e, nonostante tutto l'impegno possibile, non sarà mai completato."[4]

La lotta per la giustizia

Giustizia per tutti

La passione per la scrittura e il giornalismo, e la sete di verità portarono Giuseppe a interessarsi di numerose vicende, perlopiù legate a delitti di mafia o a persone che non avevano ricevuto giustizia proprio come suo padre.
Tra le vicende a cui Giuseppe si interessò vi fu quella riguardante l'uccisione del giornalista Cosimo Cristina, un giornalista considerato scomodo perché indagava gli affari della mafia nei territori di Termini, Cefalù e Madonie, e che inizialmente venne considerato come un suicida. Giuseppe si mise alla ricerca di informazioni e indagò a lungo, e scrisse anche un articolo dal titolo "Suicidato dalla mafia?"[5].
Grazie all'impegno di Giuseppe gli venne intitolata, inoltre, anche una piazza.
E ancora, si interessò all'omicidio di Ugo Triolo, un avvocato vice pretore ucciso a Corleone, rimasto senza giustizia per ventidue anni. Anche in questo caso Giuseppe scrisse un articolo, con la speranza che anche per quest'uomo si potesse avere un giorno la verità: "Quell'omicidio non risolto di ventidue anni fa"[6].
Ma Giuseppe andava anche oltre gli omicidi silenziosi della mafia, e si interessava di questioni inerenti la vita sociale in generale. Come quando si dedicò all'indagine sul lavoro minorile in Sicilia, soprattutto quello dei giovani immigrati: "Non riesco la notte nei pub a non guardare gli occhi profondi dei bambini di colore che cercano di vendere rose a chi con violenza li caccia. Ed io che mi occupo anche di minori immigrati so di non potere fare un cazzo per loro. Perché lo sfruttamento dei minori fa comodo a tanti"[7].

Il processo del padre

L'omicidio del padre fu per Giuseppe una ferita mai sanata, accompagnata sempre da una sete di giustizia e verità, soprattutto in seguito al fatto che il delitto venne inizialmente archiviato.
In Giuseppe si alternavano la rassegnazione e la rabbia, quella rabbia che darà nome ad uno dei suoi articoli più importanti: "Castelli di rabbia"[8].
La ferita mai sanata di Giuseppe venne "riaperta" con le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, definito da molti come non attendibile, ma per Giuseppe le sue parole diventarono l'inizio della ricostruzione dell'omicidio del padre.
Giuseppe cominciò ad indagare, ad approfondire, a raccogliere ogni informazione possibile. Anche la famiglia si mise accanto a lui, alla ricerca di quella verità che sembrava non arrivare mai.
Cominciò a ricostruire quel delitto di mafia di cui nessuno voleva parlare, e lavorò duramente per trovare tutti i pezzi e metterli insieme. Lottò senza arrendersi mai, nemmeno quando trovava soltanto porte chiuse e bocche cucite. Poi finalmente la svolta: nel 2000, dopo un'attesa durata vent'anni, il caso dell'omicidio del giornalista Mario Francese venne riaperto. E fu proprio grazie al figlio Giuseppe.
L'11 aprile 2001 il processo si concluse con sette condanne, per alcuni dei boss più pericolosi della Sicilia: Totò Riina, Francesco Madonia, Leoluca Bagarella (l'esecutore materiale), Antonino Geraci, Giuseppe Calò, Michele Greco e Giuseppe Farinella[9].
La famiglia Francese ottenne finalmente giustizia; e non soltanto per le condanne, ma perché finalmente l'omicidio di Mario Francese venne riconosciuto come un "delitto di mafia".

La morte di Giuseppe

Giuseppe non riuscì ad aspettare il processo di appello: quel vuoto che non lo aveva mai abbandonato lo portò a togliersi la vita, nella notte tra il 2 e il 3 settembre 2002 nella sua abitazione. Per questo motivo, come per Rita Atria è annoverato tra le vittime, benché indirette, del Potere mafioso.

In memoria di Giuseppe Francese

La Casa di Giuseppe Francese

Il 26 gennaio 2017 è stata inaugurata la "Casa di Giuseppe Francese" a Bagheria. Un centro di documentazione sui giornalisti uccisi dalla mafia; che mira ad essere, inoltre, un centro di aggregazione giovanile.
Quando Giuseppe si tolse la vita, la sua casa venne affidata dalla famiglia alla Parrocchia di San Giovanni Bosco e ad associazioni ad essa afferenti ("Parru cu tia", "3P" e "A testa alta") affinché si sviluppassero attività per i ragazzi. Da questo, la casa di Giuseppe è diventata a tutti gli effetti un Centro aperto al pubblico[10].

Il premio Giuseppe Francese

Il premio giornalistico intitolato a Giuseppe Francese nasce all'interno di quello dedicato al padre Mario Francese, istituito dal 1993.
Quello che porta il nome di Giuseppe è un premio rivolto ai giornalisti under 36 (l'età in cui morì Giuseppe).

Il tesserino da giornalista

I numerosi scritti di Giuseppe Francese vennero riconosciuti come attività pubblicistica dall'Ordine dei Giornalisti di Sicilia; per questo a Giuseppe fu riconosciuto il tesserino da giornalista post mortem[11].

Una piazza per Mario e Giuseppe

Piazza Mario e Giuseppe Francese

Il 25 gennaio 2014, a distanza di 35 anni dalla morte di Mario Francese, a Corleone si è tenuta l'iniziativa "intitolazione di una piazza" durante la quale è stata scoperta la targa che diede vita alla piazza intitolata a Mario e Giuseppe Francese[12].

Per saperne di più

Libri

  • Francesca Barra, Il quarto comandamento. La vera storia di Mario Francese che sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese giustizia, Rizzoli, 2011.
  • Totò Cernigliaro, Antonella Marino, Nicola Monterosso, Giuseppe Francese - il giornalista e l'impiegato: raccolta cronologica dei suoi articoli e il ricordo di due amici e colleghi, Palermo, 2003. (Disponibile presso la Biblioteca del Centro Studi Pio La Torre di Palermo.)

Film

Il 21 gennaio 2018 è andato in onda per la prima volta, su Canale 5, il film di Michele Alhaique "Delitto di mafia - Mario Francese"[13], che racconta l'omicidio del giornalista attraverso gli occhi del figlio.

Note

Bibliografia

  • Sito della Fondazione Mario e Giuseppe Francese
  • Sito del Centro Impastato
  • Archivio Live Sicilia
  • Michele Alhaique, "Delitto di Mafia - Mario Francese", Film, Canale 5, 21 gennaio 2018