Mafia in Veneto

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Il Veneto ha sempre registrato una presenza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso sin dai tempi dell'invio nella regione di soggetti sottoposti alla misura del soggiorno obbligato. Il boss mafioso Vito Galatolo, quando decise di collaborare con la giustizia negli anni '90 ammise di continuare a reggere la famiglia dell'Acquasanta pur trovandosi stabilmente a Venezia, mentre i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano trascorsero parte della propria latitanza nella Regione, investendo in attività ricettive ad Abano Terme (PD).[1].

Negli ultimi tempi è cresciuto l'allarme dovuto alla presenza di interessi delle organizzazioni di tipo mafioso, in particolare della 'ndrangheta, il cui insediamento è principalmente legato a motivi economici di re-investimento dei profitti o di procacciamento di affari, anche attraverso l'infiltrazione nel sistema dell’aggiudicazione degli appalti pubblici, sebbene desti particolare preoccupazione anche il traffico illecito di rifiuti e quello di droga, avendo in quest'ultimo settore la 'ndrangheta la necessità di decongestionare il Porto di Gioia Tauro, sempre più efficacemente messo sotto controllo dalle forze di polizia e dalla magistratura[2].

Attualmente le organizzazioni criminale che si contendono l'egemonia nella regione sono la ‘ndrangheta e la camorra.

Presenze storiche e attuali

Cosa Nostra

Per quanto riguarda Cosa Nostra, nel Veneto si sarebbero registrate presenze di soggetti che tenderebbero a radicarsi economicamente sul territorio con una presenza stabile, ma non tale da assumere le connotazioni tipiche della regione di provenienza. Lo scopo principale di tali sodalizi va, infatti, individuato nel riciclaggio e nel reinvestimento di capitali illeciti, anche attraverso l'acquisizione di attività commerciali ed imprenditoriali, sfruttando l'opera di gruppi delinquenziali locali. La forte disponibilità di liquidità porta l'organizzazione a sostituirsi al sistema del credito legale e a praticare l'usura[3].

'ndrangheta

Per quanto riguarda la ‘ndrangheta, in specie catanzarese e reggina, si sono registrate qualificate presenze di soggetti ‘ndranghetisti a Padova, nell'ovest veronese e nel basso vicentino, riconducibili ad aggregati criminali di Cutro, Delianova, Filadelfia ed Africo Nuovo. Queste manifestazioni sarebbero diventate palesi con riferimento, oltre che al traffico di stupefacenti, anche alla ristorazione, al turismo e all'edilizia.

Con riferimento a quest'ultimo settore, il dato è emerso nel corso di un'operazione conclusa nel mese di aprile 2016 dalla Guardia di Finanza, con l’arresto, per bancarotta fraudolenta, di tre imprenditori attivi nella fabbricazione di infissi metallici in provincia di Treviso. Uno dei citati imprenditori, originario della provincia di Parma, sarebbe risultato in contatto con esponenti della 'ndrina dei Grande Aracri. Nello stesso periodo il Centro Operativo della DIA di Padova, con l'operazione Amaranto 2, arrestava alcuni presunti affiliati alla 'ndrangheta, in particolare alla 'ndrina dei Giglio, attivi prevalentemente nel traffico di sostanze stupefacenti[4].

Camorra

Per quanto riguarda la camorra, nella Regione è segnalata la presenza del clan dei Casalesi e dei clan del cartello napoletano noto come "Alleanza di Secondigliano", di cui facevano parte i clan Licciardi, Contini e Mallardo.

La loro presenza è stata definitivamente accertata dalla Corte di Cassazione nel 2015, con le condanne dell'operazione Serpe. L'operazione, scattata il 31 marzo 2011[5], rilevava la presenza di un'associazione camorristica dedita ai reati di estorsione, usura e sequestro di persona.

Il 25 gennaio 2018, la DIA individuò e arrestò nella città di Tijuana, in Messico, dove viveva con la moglie e i due figli e gestiva un ristorante, Salvatore Longo, latitante dal 2007, il quale aveva anche durante la latitanza applicato a diversi commercianti del settore dell'abbigliamento tassi di usura annui superiori al 200% per conto del Clan Licciardi. I reati di estorsione ed usura, commessi nelle province di Verona e Brescia tra il 2005 e il 2009[6]

Tali presenze, inoltre, sarebbero state concentrate soprattutto sul litorale veneziano, nell'area compresa tra San Donà di Piave e Jesolo. Particolarmente rilevante fu l'arresto di Luigi Cimmino, a capo dell'omonimo clan, il 5 marzo 2016 a Chioggia, in provincia di Verona[7]

L'Operazione At Least

Il 19 febbraio 2019 un'operazione della Guardia di Finanza di Trieste e della Polizia di Stato coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia si è conclusa con 50 arresti, 11 obblighi di dimora e un sequestro preventivo di 10 milioni di euro contro un'organizzazione camorristica legata al Clan dei Casalesi, radicata nel Veneto Orientale sin dalla fine degli anni '90: l'organizzazione controllava da anni un vasto territorio con l'uso delle armi e si dedicava ad estorsioni, usura, danneggiamenti, riciclaggio, traffico di stupefacenti, rapine ed altro.

L'operazione, nata dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, è riuscita attraverso intercettazioni ambientali e indagini bancarie a ricostruire una rete criminale che agiva in tutti i settori (riciclaggio, usura, estorsione, rapine, prostituzione, lavoro in nero e caporalato). In particolare, gli uomini del clan riciclavano denaro finanziando imprese locali di varia natura, specie nell'edilizia, quindi applicavano tassi usurai e passavano all'estorsione sia a favore degli "assistiti", se indebitati, che direttamente sugli stessi imprenditori.

Il denaro accumulato, anche con rapine, veniva poi convogliato nella gestione della droga e della prostituzione con l'aiuto di commercialisti per assumere persone sfuggendo alla fiscalità, se non addirittura in nero o attraverso il caporalato. Le vittime, specie dell'usura, venivano inoltre costrette a partecipare all'attività camorristica arricchendo sempre di più il tessuto malavitoso, di fatto conquistando il territorio lungo la costa da San Donà di Piave a Eraclea, Caorle e Jesolo. Il gruppo mafioso, una volta insediatosi in Veneto, aveva rilevato il controllo del territorio dagli ultimi epigoni della mala del Brenta, assorbiti nella struttura.

Il gruppo è legato ai clan Bianco e Bidognetti, il cui boss è Francesco noto come ‘Cicciotto ‘e mezzanotte‘. Capi indiscussi nel veneziano erano Luciano Donadio e Raffaele Buonanno, nato in Campania ma già nel veneziano negli anni ’90. Con loro un gruppo proveniente da Casal di Principe come Antonio Puoti, Antonio Pacifico, Antonio Basile, Giuseppe Puoti e Nunzio Confuorto che hanno, nel tempo assoldato persone campane e veneziane come Girolamo Arena, Raffaele Celardo e Christian Sgnaolin.

Tra gli arrestati ci sono anche Mirco Mestre, sindaco di centrodestra di Eraclea (località balneare in provincia di Venezia), e un agente del commissariato di Jesolo, Moreno Pasqual. Mestre, avvocato, era stato eletto primo cittadino nel maggio 2016 con una lista civica di centrodestra. Secondo gli investigatori avrebbe vinto le elezioni nel 2016 con 81 voti di scarto sul rivale grazie a un pacchetto di oltre 100 procuratigli dal gruppo criminale, del quale aveva sollecitato l'intervento. Il primo cittadino avrebbe anche indicato i candidati della propria lista su cui convogliare le preferenze, poi eletti, in cambio di favori su istanze amministrative presentate da società controllate dagli uomini del clan. Il poliziotto, invece, è accusato di aver fornito informazioni riservate ai malavitosi su indagini nei loro confronti, accedendo illecitamente alle banche dati della polizia, e di averne garantito protezione e supporto in seguito a controlli da parte di altre forze dell'ordine.

La Mafia del Brenta: l'organizzazione storica

La Mafia del Brenta, ben più nota come "la Mala", è stata una specifica forma di esercizio di potere operante nel Veneto, in particolare nelle province di Venezia e Padova, dalla fine degli anni '70 fino a metà anni '90. L'associazione, al cui vertice si trovava Felice Maniero, è ad oggi l'unica associazione criminale riconosciuta come mafiosa che non aveva al suo interno affiliati alle mafie tradizionali: la banda di Maniero, infatti, era composta da soggetti veneti che si sono costituiti in associazione e hanno iniziato a delinquere[8].

L'epicentro delle attività criminali dell'associazione era Campolongo Maggiore (dove oggi si trova il 16% dei beni confiscati della regione), piccolo paese a sud della Riviera del Brenta. Qui vi furono le negoziazioni con lo Stato, qui si nascosero per anni i latitanti, così come sempre qui veniva portato l'oro delle rapine a fondere nei crogioli e si sono inabissate e nascoste le auto nel Brenta[9]. È stato quindi il luogo dove la Mafia del Brenta ha governato gli affari criminali del Veneto per vent'anni.

Per quanto riguarda l’evoluzione dell’organizzazione, vi sono tre fasi:

  1. Criminalità minore (anni 1975-1980): il gruppo vede la partecipazione di un ristretto numero di aderenti, dedito a rapine, estorsione e alla gestione del gioco d'azzardo clandestino;
  2. Criminalità emergente (anni 1980-1984): l'organizzazione si struttura maggiormente e instaura i primi contatti con altre associazioni criminali, aumentando le sue attività (rapine (laboratori orafi, hotel, casinò), ricettazione, estorsioni, gioco d’azzardo, sequestri di persona, traffico di stupefacenti). A livello mediatico si enuclea come "Mala del Brenta", dandosi una precisa identità;
  3. Criminalità consolidata (anni 1984-1994): si dota di un profilo internazionale e viene identificata come "Mafia del Brenta", in quanto esprime del tutto il metodo mafioso, modificando parzialmente la sua struttura, le sue attività ed i suoi interlocutori e rientrando pienamente nella definizione di associazione a delinquere di stampo mafioso[10].

L'iter processuale, iniziato nel 1986, trovò la propria conclusione il 1° luglio 1994, con la sentenza della Corte d’Assise di Venezia. Gli imputati a processo furono 110, 91 veneti e 19 “foresti”, come definiti dai giornali dell'epoca, le cui pene complessive sono quantificabili in 503 anni di carcere e 1787 milioni di multa. Le condanne totali furono 79, di cui 21 per associazione a delinquere di stampo mafioso.

Felice Maniero venne arrestato a Torino il 12 novembre 1994 e appena sei giorni dopo l’arresto dichiarò la volontà di collaborare con la giustizia. Condannato a 25 anni di carcere, ridotti a 17 grazie alla collaborazione, nel 2010 è tornato in libertà[11].


Note

  1. Citato in Andrea Oskari Rossini, La mafia in Veneto: intervista a Paolo Borrometi, Articolo 21, 30 gennaio 2018.
  2. Direzione Nazionale Antimafia, Relazione Annuale (periodo dal 1° luglio 2015 - 30 giugno 2016), Roma, 12 aprile 2017, p.960
  3. Direzione Investigativa Antimafia, Relazione sull'Attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, Primo Semestre 2016, p.56.
  4. Ivi, p.93
  5. cfr Ordinanza di Custodia Cautelare 10381/10 RGNR, Giudice per le Indagini Preliminari - Tribunale di Venezia, 31 marzo 2011
  6. Direzione Investigativa Antimafia, Relazione sull'Attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, Primo Semestre 2018, p. 260
  7. cfr Ordinanza custodia cautelare coercitiva nr. 326/15 - Procedimento Penale nr. 34416/14 + 51108/13 RGNR, Tribunale di Napoli - Ufficio del GIP, 7 luglio 2015; Ivi, p.142
  8. Arianna Zottarel, La Mafia del Brenta, Melampo Editore, p. 21
  9. Ivi, p. 25
  10. Ivi, pp. 71, 72 ,73
  11. Ivi, pp. 111-118


Bibliografia

  • Direzione Investigativa Antimafia, Relazione sull'Attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, Primo e Secondo Semestre 2016; Primo e Secondo Semestre 2017; Primo Semestre 2018.
  • Direzione Nazionale Antimafia, Relazione Annuale (periodo dal 1° luglio 2015 - 30 giugno 2016), Roma, 12 aprile 2017.
  • Osservatorio sulla Criminalità Organizzata (CROSS), Primo Rapporto trimestrale sulle aree settentrionali, Università degli Studi di Milano, settembre 2014
  • Rossini Oskari Andrea, La mafia in Veneto: intervista a Paolo Borrometi, Articolo 21, 30 gennaio 2018.
  • Zottarel Arianna, La Mafia del Brenta - la storia di Felice Maniero e del Veneto che si credeva innocente, Melampo Editore, 2018.