Mafie a Imperia

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La provincia di Imperia nel ponente ligure è una delle province più infiltrate dalla criminalità organizzata di stampo mafioso in Italia. Per questa ragione nel 2014 fu definita dall’onorevole Rosy Bindi, allora presidente della Commissione parlamentare antimafia, «la sesta provincia della Calabria»[1].

mafie a imperia

Storia e attività

I primi insediamenti della 'ndrangheta

L’origine dell’infiltrazione criminale a Imperia risale agli anni ’50 del Novecento quando la provincia a confine con la Francia è stata interessata da notevoli flussi migratori principalmente di origine calabrese. La popolazione in provincia di Imperia in dieci anni aumentò mediamente del 20% a causa dell’immigrazione. La ‘ndrangheta seppe sfruttare questi flussi di immigrazione a suo vantaggio, replicando con successo a Imperia il microcosmo della terra d’origine.

Gli uomini delle 'ndrine trovarono un contesto sociale dove diversi cittadini di origine calabrese, a loro legati, erano già pienamente inseriti nella comunità del luogo e poterono così penetrare capillarmente nella gestione delle attività illegali (e legali) sul territorio, costituendo una sorta di zona franca lontana dalla regione di origine e, quindi, con meno pressione investigativa addosso[2].

Il collaboratore di giustizia Antonio Zagari dichiarò a più riprese che suo padre Giacomo, boss della 'ndrangheta col grado di santista, fu arrestato nel 1969 in provincia di Imperia mentre si trovava su un’auto con a bordo armi di vario genere. Secondo il collaboratore questo episodio fu indicativo del fatto che suo padre avesse conoscenze nell’area di Imperia già dalla metà degli anni ’60[3].

L'arrivo della camorra

Negli anni ’80 in provincia di Imperia si radicò anche la Camorra, in particolare nella zona di Sanremo dove si stabilì la famiglia Alberino, attiva nella contraffazione e commercializzazione di prodotti con marchi falsificati. La famiglia Alberino era collegata alla famiglia Tagliamento, legata allo storico clan camorrista napoletano Zaza, che opera tra Liguria e Francia, in particolare in svariati settori criminali nella città di Mentone, in collaborazione sia con la criminalità marsigliese, sia con esponenti della criminalità calabrese in Liguria[4].

L’inserimento della Camorra nella provincia di Imperia non fu conflittuale con le esistenti locali di ‘ndrangheta a Ventimiglia e a Bordighera. Probabilmente il passaggio di attività avvenne in maniera concordata, seguendo la strategia della ‘ndrangheta di tenere un basso profilo e non fare scalpore. La famiglia Tagliamento si interessò da subito alla realtà economica dei casinò, presenti sia a Mentone, sia a Sanremo.

Il boss della camorra imperiese era Giovanni Tagliamento, sospettato di svolgere per il clan di Michele Zaza traffico di stupefacenti, armi e contrabbando di sigarette[5].

L’11 novembre 1983 con l’Operazione San Martino i riflettori si accesero sul casinò di Sanremo, che risultò essere al centro di un sistema politico di tangenti e perno importante del riciclaggio mafioso siciliano.

'ndrangheta a Imperia

La locale di Ventimiglia

Uno dei comuni più interessanti per la criminalità organizzata fu Ventimiglia in quanto zona di frontiera al confine con la Francia. Ventimiglia tradizionalmente era luogo di passaggio per importanti canali di rifornimento di cocaina e hashish dalla Spagna (lo è tuttora), oltre a rappresentare una facile via di fuga per i latitanti.

Tra i lavoratori migranti giunsero personaggi affiliati ad organizzazioni criminali, alcuni dei quali in soggiorno obbligato, interessati a gestire vari traffici illeciti nella zona di frontiera.

Nel 1947 arrivarono a Ventimiglia sia Ernesto Morabito, trentasettenne proveniente da Molochio (Reggio Calabria), ritenuto vicino alla 'ndrina dei Piromalli di Gioia Tauro, sia Antonio Palamara con i suoi fratelli[6]. I Palamara erano ritenuti affiliati per parentela alle 'ndrine degli Alvaro, dei Palamara e dei Pelle.

La struttura criminale operante nel Ponente ligure, pur avendo preso origine dagli affiliati operanti in Calabria e adottandone in toto l’organizzazione, le tradizioni e i rituali, si differenziò per connotati meno sanguinari e violenti. Nel corso degli anni ha potuto così svilupparsi in maniera sotterranea costruendo una ramificazione basata su complicità, legami parentali e cointeressenze.

Tale situazione ha consentito di ottenere vantaggi sia in termini di offerta di posti di lavoro (primo passo per il controllo del territorio) sia di benefici di tipo economico mediante l'acquisizione di licenze o autorizzazioni per attività di imprese in svariati settori, che in breve tempo hanno portato molti calabresi residenti nel ponente ligure ad arricchirsi e a rivestire un ruolo di primo piano nel panorama dell'economia e della politica locale[7].

Questo atteggiamento strategico si affiancava comunque alle classiche attività criminali, tra le quali l'usura, le estorsioni e, nei casi più gravi, gli incendi ai danni di chi si opponeva alla signoria territoriale dei boss calabresi.

I gruppi calabresi presenti nell’estremo ponente estesero la loro influenza anche nella confinante Francia, interessando oltre la Costa Azzurra anche i territori di Tolone e Marsiglia[8].

I Marcianò, boss di Ventimiglia

Gli storici boss della locale di Ventimiglia furono i fratelli Francesco e Giuseppe Marcianò.

Il collaboratore di giustizia Cretarola, però, nel 2014 sostenne che il vero boss della locale di Ventimiglia fosse Antonio Palamara, residente a Ventimiglia Alta e nato a Sinopoli in provincia di Reggio Calabria, che si sarebbe occupato dei traffici illeciti[9], mentre Marcianò si sarebbe occupato di politica e appalti[10].

La locale di Ventimiglia si è interessata da sempre alla politica locale, anche ai livelli più importanti: già negli anni ‘80 Giuseppe Marcianò ottenne soldi in cambio di voti da dare a Giuseppe Teardo, politico del PSI iscritto alla loggia massonica P2 e presidente della Regione Liguria.

Per quanto riguarda la politica locale i Marcianò usavano il ristorante Le Volte per incontrare personaggi di vario genere, tra cui anche imprenditori tra i maggiori della zona che cercavano soluzioni per i loro problemi[11].

L’organizzazione era in grado di influire persino sulla presentazione delle candidature e sulla composizione delle liste, oltre ad offrire supporto elettorale nella prospettiva di futuri vantaggi[12].

Era un’abitudine degli 'ndranghetisti organizzare cene elettorali presso il ristorante Le Volte a Ventimiglia con la finalità di dare sostegno a un politico per poi ottenere favori da questo[13].

Come emerse nell’inchiesta Maglio 3 e in vari altri procedimenti, risultarono fortemente condizionate le elezioni regionali del 2010, le elezioni comunali di Vallecrosia del 2011 e i gruppi si stavano preparando per le elezioni comunali di Ventimiglia previste per il 2012.

Gli interessi economici invece erano portati avanti con una parvenza legale attraverso la società Cooperativa Marvon, di cui i Marcianò erano soci occulti, che si aggiudicò numerosi appalti pubblici dal comune di Ventimiglia, specialmente per quanto riguardava la realizzazione del porto di Ventimiglia e la raccolta rifiuti, beneficiando di un canale preferenziale con l’amministrazione comunale[14].

Per aumentare i progetti e i cantieri nel Ponente, Giuseppe Marcianò, intercettato il 29 agosto 2010 al ristorante Le Volte, affermò di aver mangiato con Paolo Berlusconi ad Arma di Taggia e di avergli chiesto di portare nuovi progetti nel territorio perché a suo dire: “qua siamo un po’ scarsi[15].

Prime inchieste antimafia a Ventimiglia

Le prime indagini nell’imperiese sulla ‘ndrangheta sfociarono nell’operazione denominata “Colpo della Strega”, che portò all’arresto di più di quaranta persone (tra cui Francesco Marcianò e Antonio Palamara), ritenute affiliate o contigue alla ‘ndrangheta radicata nel ponente ligure e responsabili di gravi reati: traffico di droga, rapine, estorsioni, omicidi e condizionamenti politici[16].

Alla fine, però, il tribunale di Imperia ritenne che il reato associativo fosse da escludere, perché presente solo in fase prodromica, senza prove di un vero e proprio vincolo associativo tra gli imputati. Si disse che gli imputati agirono come singoli e si proseguì con ingenti condanne per i singoli delitti perpetrati, ma non per il reato associativo e quindi senza applicazione dell’articolo 416bis[17].

Dalla sentenza si evince che:

a Ventimiglia e nel Ponente ligure più in generale si è riscontrato un certo fenomeno aggregativo riconducibile in senso lato alla ‘ndrangheta calabrese (…). Si può bene affermare, a parere giudicante, che nel circondario di San Remo si sono create le condizioni per l’instaurazione di un potere diffuso della malavita organizzata calabrese[18].

La locale di Bordighera

A Bordighera si stabilì la 'ndrina dei Pellegrino-Barilaro.

I fratelli Pellegrino Giovanni, Roberto e Maurizio (a differenza del più grande, Michele, l’unico ad essere risultato estraneo ai fatti nei processi riguardanti la famiglia) sono considerati molto vicini alla cosca Santaiti-Gioffrè di Seminara (RC)[19]. Coltivarono strette relazioni anche con Benito Pepè e Francesco Barillaro, poi indagati nell’indagine Maglio 3.

Tramite l’impresa “F.lli Pellegrino s.r.l.” iniziarono ad occuparsi di movimento terra aggiudicandosi numerosi appalti e subappalti, anche nel pubblico. La seconda società da loro amministrata si chiamava “Grotta del drago”. la società gestiva l’omonimo night club di San Remo[20].

Il modus operandi dei Pellegrino si discostò dalla più silenziosa e attenta locale di Ventimiglia: i fratelli Pellegrino consideravano l’agire sottotraccia come una pratica arcaica e non immediatamente appagante. Ciò portò la locale di Bordighera ad entrare in contrasto con la locale di Ventimiglia e a ritagliarsi sempre maggiore spazio di autonomia fino a distaccarsi[21].

I Pellegrino-Barilaro a Bordighera allungarono i loro tentacoli pure sulla cosa pubblica: sono comprovate le interazioni tra loro e il sindaco Bosio, a cui diedero appoggio elettorale e per cui organizzarono insieme ai Marcianò delle cene elettorali nel 2010[22].

L’attivismo politico dei Pellegrino valicava la circoscrizione comunale per giungere a fornire sostegno anche a candidati alle elezioni per la Camera dei Deputati (Eugenio Minasso, di Alleanza Nazionale, stesso partito dove militava Giovanni Pellegrino), risultati poi eletti[23]. Da alcune intercettazioni sembra che Minasso si sia fatto portare tramite Giuseppe Marcianò pure da Antonio Palamara e lo stesso Palamara gli avrebbe promesso una sessantina di voti[24].

I Pellegrino e le prime inchieste

La famiglia Pellegrino attirò l’attenzione degli inquirenti soprattutto dopo una riunione della Giunta Municipale in cui si discusse sull’opportunità di cedere licenze per l’apertura e la gestione di sale giochi e slot nel Comune di Bordighera.

In questa riunione gli assessori Ingenito e Sferrazza espressero contrarietà alla concessione di tali licenze e la sera stessa furono intimiditi da Francesco Barilaro e Giovanni Pellegrino che rinfacciarono a Sferrazza l’appoggio elettorale ricevuto[25].

Sferrazza comunicò in seguito all’Arma dei Carabinieri che il sindaco era favorevole all’apertura della sala giochi dei Pellegrino perché aveva “favori da rendere”[26].

Il dirigente del Settore Commercio del Comune di Bordighera riferì che fu l’assessore Rocco Fonti a presentarsi con un rappresentante dei Pellegrino per informarsi sui requisiti necessari per aprire una sala giochi. Dopo l’incontro fu presentata la domanda di apertura da parte della società “R.M. di Pepè Lucia sas”, intestata alla moglie di Maurizio Pellegrino[27].

Il vicesindaco Iacobucci venne interessato anche dalla vicenda riguardante il night club Arcobaleno ritenuto collegato al night “La Grotta del Drago” di Giovanni Pellegrino. Il night club Arcobaleno venne segnalato più volte dai carabinieri per sfruttamento di prostituzione. Il locale operava sotto una veste di legalità per permessi conferitegli per interessamento diretto del vicesindaco Iacobucci[28].

Nonostante i ripetuti richiami al comune da parte dei carabinieri per mobilitare la Polizia Locale e far chiudere il locale, nulla si mosse per più di un anno[29]. La Polizia Locale infatti agiva sotto le dipendenze dello stesso Iacobucci.

Scioglimento dei comuni di Ventimiglia e Bordighera

In seguito agli eventi di Bordighera, il 24 marzo 2011 venne sciolto con decreto del Presidente della Repubblica il comune di Bordighera, con contestuale decadenza della giunta del sindaco Giovanni Bosio, per sussistenza di forme di ingerenza della criminalità organizzata[30].

Lo scioglimento, però, venne annullato nel 2013 dal Consiglio di Stato, nonostante fosse stato approvato dal Tar. La motivazione fu che lo scioglimento per infiltrazioni mafiose di un Comune non può essere deciso per singoli casi di intimidazione o di condizionamento anche se accertati, né di omesso controllo sull’affidabilità morale in un appalto. Per superare la volontà elettorale servono elementi concreti, univoci e rilevanti, al di là del singolo episodio che invece può determinare solo la sanzione per il suo responsabile[31].

Il 3 febbraio 2012 è il turno dello scioglimento di Ventimiglia e della giunta del sindaco Gaetano Scullino, dove si riscontrarono forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata. Anche questo provvedimento fu annullato qualche anno più tardi, nel 2016, per motivazioni però differenti.

In questo caso si sostenne che il sindaco Scullino ignorasse di star rafforzando la criminalità organizzata con le sue azioni e decisioni. La decisione di scioglimento, quindi, difetterebbe del condizionamento della libertà di determinazione degli organi elettivi, che avrebbero agito in maniera libera e senza costrizioni, sebbene ciò portasse a favorire le consorterie malavitose. Il decreto di annullamento recita:

«È indispensabile la prova, seppur nella ridotta modalità della raccolta di indizi gravi e concordanti, che la libertà decisoria degli organi elettivi del Comune, che risultano, infatti, colpiti, dalla misura del commissariamento, sia concretamente conculcata e limitata, se non annullata, dall’opera di condizionamento della criminalità organizzativa di stampo mafioso»[32].

I processi Maglio 3 e La Svolta

I due più importanti procedimenti giudiziari nei confronti della ‘ndrangheta imperiese furono Maglio 3 e La Svolta.

Il procedimento Maglio 3 interessò vari esponenti della ‘ndrangheta imperiese, coinvolti nei condizionamenti elettorali delle elezioni regionali del 2010. Furono condannati secondo l’articolo 416 bis i seguenti soggetti: Fortunato Barilaro (pena di 6 anni), Francesco Barilaro (pena di 6 anni), Michele Ciricosta (pena di 6 anni), Benito Pepè (pena di 6 anni) e altri[33].

Il percorso processuale derivante dall’operazione La Svolta invece fu molto contorto. Il processo La Svolta fece luce sulla presenza delle due locali di ‘ndrangheta, Bordighera e Ventimiglia, e ne portò a giudizio gli affiliati.

Il 7 ottobre 2014 il tribunale di Imperia condannò sia gli imputati della locale di Ventimiglia (Antonio Palamara, Giuseppe Marcianò, il fratello Vincenzo Marcianò, il nipote Vincenzo Marcianò, Omar Allavena e altri), sia gli imputati della locale di Bordighera (Giovanni Pellegrino, Maurizio Pellegrino, Roberto Pellegrino, Barilaro Antonino e altri).

Il 10 dicembre 2015 la Corte d’Appello confermò le condanne di Ventimiglia, ma assolse gli imputati di Bordighera e Antonio Palamara, condannato in primo grado a 14 anni in quanto capo della locale e assolto per non aver commesso il fatto.

In Cassazione il 14 settembre 2017 furono confermate le condanne di Ventimiglia della Corte d’Appello (Giuseppe Marcianò 15 anni e 4 mesi, il nipote Vincenzo Marcianò 7 anni, Giuseppe Gallotta 14 anni e altri) e venne disposto un nuovo processo d’appello per gli imputati di Bordighera in precedenza assolti.

Il 13 dicembre la Corte d’Appello condannò anche gli imputati di Bordighera e il 21 gennaio 2020 la sentenza di Cassazione pose fine ai travagli giudiziari di Bordighera: la sentenza confermò le condanne sancite dalla Corte d’Appello a Giovanni Pellegrino (10 anni e 6 mesi), Maurizio Pellegrino (10 anni), Roberto Pellegrino (8 anni), Antonino Barilaro (7 anni) e altri[34].

Politica locale recente

A Imperia Claudio Scajola, esponente di Forza Italia, da oltre quarant’anni è protagonista assoluto della politica locale, tanto che Imperia viene ritenuta dalla stampa un suo “feudo”[35].

Claudio Scajola iniziò la sua esperienza politica nel 1980 quando divenne consigliere ad Imperia e nel 1982 ne divenne il sindaco, ad appena 34 anni. Fu però presto costretto a dimissioni perché indagato nell’Operazione San Martino per concussione in un appalto riguardante il Casinò di San Remo da cui poi venne assolto[36].

Nel 1990 tornò a ricoprire la carica di sindaco di Imperia fino al 1995. Nel 1995 aderì a Forza Italia diventandone coordinatore provinciale. Nel 1996 venne eletto deputato per il collegio di Imperia e successivamente divenne coordinatore nazionale di Forza Italia fino al 2011.

L’unica condanna a suo carico (poi andata in prescrizione) fa riferimento al primo grado del caso Matacena: l’8 maggio 2014 venne arrestato dalla DIA di Reggio Calabria con l’accusa di aver agevolato la latitanza verso il Libano dell’ex deputato Amedeo Matacena, collega di partito in Forza Italia[37]. Amedeo Matacena era stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, dopo essere riuscito a portare nella provincia di Reggio Calabria 297 miliardi di lire di finanziamenti pubblici.

Matacena nel 1989 disse: “Voi giornalisti fate confusione tra delinquenza e mafia, che ha le sue regole morali. Regole morali simili a quelle del miglior galateo[38].

Scajola si sarebbe impegnato per trovare un “rifugio dorato” a Matacena, provando a convincere i magistrati che quelle sue attenzioni fossero dovute a dei tentativi di impressionare la moglie di Matacena per cui “si era preso una sbandata[39]. Il procuratore aggiunto Lombardo nella requisitoria aveva parlato di sovrapponibilità tra la vicenda Matacena e quella dell’ex senatore Dell’Utri, fuggito anche lui in Libano dopo una sentenza definitiva. Scajola disse di aver fatto tutto per amore. Nella condanna in primo grado venne quindi meno l’aggravante mafiosa e si dimezzò la pena richiesta. Il reato andò in prescrizione e la Procura generale di Reggio Calabria ha chiesto il non luogo a procedere.

A dicembre del 2017 Scajola si ricandidò a sindaco di Imperia e vinse il ballottaggio, diventando per la terza volta sindaco della città. Il 23 marzo 2023, all’età di 75 anni, venne rieletto al secondo mandato, diventando sindaco per la quarta volta.

Situazione attuale

Ad oggi il territorio di Imperia, nonostante le condanne dei processi La Svolta e Maglio 3, vede ancora un'importante presenza della 'ndrangheta. A capo della locale di Ventimiglia vi sarebbero i Marcianò di Delianuova (Reggio Calabria), propaggine delle cosche Piromalli e Mazzaferro della piana di Gioia Tauro (Reggio Calabria)[40].

A Bordighera invece è operante la locale che fa riferimento al gruppo Barilaro-Pellegrino, espressione della cosca Santaiti-Gioffrè di Seminara (RC)[41]. I Pellegrino hanno spostato il baricentro progressivamente verso la costa francese, complici anche i buoni risultati dell’attività investigativa italiana[42]. La presenza, però, rimane forte: basti pensare che il 21 ottobre 2020 fu ritrovato a Ventimiglia il cadavere di un membro della malavita organizzata della Costa Azzurra, freddato con due colpi alla testa. Si trattò del primo omicidio di mafia dopo 25 anni in Liguria. L’esecutore dell’assassinio è stato individuato nel ventitreenne Domenico Pellegrino, figlio di Giovanni[43].

Bordighera con 19 fascicoli aperti è il quarto comune in Liguria per quantità di beni confiscati alle organizzazioni mafiose, dietro solo a Genova, Loano e San Colombano Certenoli e davanti a comuni come La Spezia che presentano una popolazione nove volte superiore.

Le locali minori

Oltre a Ventimiglia e Bordighera sono presenti “locali minori” a Taggia, Sanremo e Diano Marina.

A Taggia si è radicata la famiglia Mafodda, storico nucleo della ‘ndrangheta originario di Palmi. Proprio a Taggia è stato trovato un ricco arsenale di armi della ‘ndrangheta durante il lockdown nella casa di un residente di origini calabresi (esplosivi, bombe a mano, fucili a pompa, pistole mitragliatrici, un lanciarazzi…)[44].

Il 24 luglio 2023 venne arrestato Rocco Pronestì ad Arma di Taggia per usura, estorsioni e infiltrazioni nell’economia legale tramite alberghi bar e ristoranti della zona. Tra gli esercizi passati nelle mani delle cosche c’erano perfino il bar del tribunale e la mensa del carcere di Torino[45].

Il 3 aprile 2015 a Diano Marina gli ispettori del ministero analizzarono i cinque anni di amministrazione del sindaco Giacomo Chiappori e della giunta Basso, per valutare se ci fossero infiltrazioni di ‘ndrangheta nell’amministrazione comunale. Particolare attenzione fu posta negli appalti di gestione delle spiagge e del porto. Secondo gli ispettori dell’Antimafia Domenico Surace, originario di Seminara (RC), procacciò per Giacomo Chiappori circa 300 voti provenienti dalle famiglie calabresi che gli permisero di vincere[46].

Una volta sindaco, Chiappori nominò Domenico Surace amministratore unico della Gestioni Municipali SPA, che, secondo dei consiglieri di opposizione, amministrerebbe sostenendo spese di consulenza sospette[47]. Il processo sul voto di scambio a Diano Marina assolse il sindaco e vide prescrivere i reati condannati a Domenico Surace[48].

Domenico Surace si fece strada nella politica locale diventando più volte assessore. Comparse nelle intercettazioni fatte ad Alessio Saso (candidato per il PdL alle elezioni regionali del 2010 e condannato per voto di scambio con la ‘ndrangheta nel processo Maglio 3).

In queste intercettazioni Saso, parlando di voti, assicurava che su Diano Marina potevano contare su “anche i Surace sono… quello che fa il…il consigliere comunale[49]. Il nome di Surace compare nella mappatura degli esponenti della ‘ndrangheta redatta dalla Prefettura e consegnata alla Commissione Parlamentare Antimafia[50].

Il 23 dicembre 2016, però, un decreto del ministro dell’interno Angelino Alfano dispose che il comune di Diano Marina non dovesse essere sciolto per mafia per mancanza di presupposti.

Il 14 novembre 2023 una maxi operazione della Guardia di Finanza ha portato all’arresto di 27 residenti a Diano Marina e a Sanremo per traffico di stupefacenti e legami con la ‘ndrangheta. In manette sono finiti membri della famiglia Gioffrè e De Marte, a capo dell’organizzazione[51].

Attività della criminalità organizzata

I business illeciti portati avanti dalle associazioni criminali sono principalmente il movimento terra, la gestione rifiuti, traffico di stupefacenti, gioco d’azzardo, riciclaggio e usura. Le organizzazioni criminali straniere si occupano principalmente di immigrazione clandestina.

La presenza massiccia di criminalità organizzata nella regione è dimostrata sempre di più dal numero elevatissimo degli incendi dolosi e delle lesioni dolose. Tra Sanremo e Ventimiglia se ne contarono 305 in un anno mezzo, uno ogni 36 ore[52].

Nella classifica redatta dal Sole 24 sulla criminalità nel 2022[53] la provincia di Imperia ha diversi tristi primati sull’indice di “denunce ogni mille abitanti”: risulta come prima provincia per percosse, seconda per lesioni dolose, seconda per associazione a delinquere, prima per contraffazione di marchi, quindicesima per incendi dolosi (negli anni precedenti era nona). Nel litorale imperiese bar e locali andavano a fuoco a un ritmo impressionante e gli incendi dolosi rappresentano un tipico reato-spia della presenza mafiosa, che però difficilmente viene ricondotto al fenomeno.

Un pentito raccontò che ad Imperia c’era addirittura un prezzario del rogo: la ‘ndrangheta commissionava a prezzi fissi gli incendi dolosi servendosi di tossicodipendenti o manovalanza straniera[54].

Sono in crescita inoltre i reati legati alla criminalità ambientale. La Liguria, in proporzione alla sua superficie, è la regione dove si commettono più illeciti legati al ciclo del cemento. In Liguria viene commesso il 6% dei reati nazionali legati al ciclo del cemento, la stessa cifra di Toscana e Lombardia, che però rappresentano regioni ben più estese e popolate[55].

La provincia di Imperia presenta inoltre ritardi più che decennali sugli obiettivi di raccolta differenziata. Nella località denominata Rocca Croaire si verificano scavi e depositi di rifiuti completamente abusivi nell’area di competenza del comune di Taggia. È proprio qui che salivano i camion dei Pellegrino[56].

A Ventimiglia, tra l’altro, si celebra nel mese di settembre la ricorrenza della Madonna della Montagna, parallelamente a quella celebrata presso il Santuario di Polsi, a San Luca d’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria. Nel 2019 la cerimonia si svolse con tanto di presunto inchino della Madonna portata in processione davanti a Carmelo Palamara, fratello di Antonio, boss deceduto della locale di Ventimiglia[57].

Per quanto riguarda la presenza della criminalità straniera nella provincia imperiese si segnala la presenza di varie associazioni a delinquere di origine albanese e nordafricane che si occupano di immigrazione clandestina verso la Francia.

La magistratura si è distinta negli ultimi anni per i processi che hanno colpito duramente le locali di ‘ndrangheta, ma purtroppo si sono riscontrati dei rappresentanti della legge collusi: nel 2019 è diventata definitiva la condanna a Gianfranco Boccalatte, ex presidente del tribunale di Sanremo e Imperia, condannato per peculato e corruzione a fronte di un’indagine che coinvolse pure il suo autista, accusato di fare da tramite lo stesso giudice e alcuni pregiudicati calabresi che volevano ottenere favori o aggiustamenti di misure restrittive in cambio di denaro[58][59]. L’indagine fu coordinata dall’allora procuratore di Torino Gian Carlo Caselli.

Locali di ‘ndrangheta a Imperia

Le Locali principali della provincia di Imperia sono:

  • Locale di Ventimiglia
  • Locale di Bordighera

Le Locali considerate minori invece sono[60]:

  • Locale di Sanremo
  • Locale di Taggia
  • Locale di Diano Marina

Famiglie mafiose

Le 'ndrine attive sul territorio imperiese sono:

  • Marcianò
  • Barilaro-Pellegrino
  • De Marte-Gioffrè
  • Mafodda
  • Alvaro-Palamara
  • Pelle

Le famiglie di camorra attive sul territorio imperiese sono:

  • Tagliamento

Principali operazioni antimafia

  • La Svolta
  • Maglio 3
  • Colpo della Strega
  • Operazione San Martino
  • Il Crimine

Note

  1. Daisy Parodi, Antimafia, durissima la Bindi: "Imperia è la sesta provincia della Calabria", la Repubblica, 7 luglio 2014.
  2. Vittorio Tarditi, Relazione sulla missione in Liguria, Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, 26 luglio 1995, p. 14.
  3. Marco Antonelli, Stefano Busi, Punto a capo. Storia ed evoluzione di mafia e antimafia in Liguria, Genova, Genova University Press, 2022, p.43.
  4. Riviera24.it, ‘Ndrangheta, i tentacoli dei clan calabresi sull’estremo Ponente, 21 luglio 2020.
  5. Giulio Gavino, Arrestato in Francia Giannino Tagliamento, La Stampa, 21 maggio 2016.
  6. Marco Antonelli, Stefano Busi, op. cit., p. 61.
  7. Citato in Fiamma Spena, Comune di Ventimiglia (IM) – Relazione sull'esito degli accertamenti ispettivi, giusta delega in data 13 luglio 2011 - Verifica della sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento di cui all'art. 143 del decreto legislativo n.267/2000, port. N. 2/R/12, O.E.S Imperia, 4 gennaio 2012.
  8. Vittorio Tarditi, op.cit., p. 14.
  9. F. Tenerelli, M. Risi, ‘ndrangheta: per Cretarola è Palamara il boss della “locale”/ La ricostruzione del delitto Delfino, 24 aprile 2014
  10. Daisy Parodi, La verità del pentito: “una ‘ndrina ogni comune da Savona a Ventimiglia”, la Repubblica, 24 aprile 2014
  11. Paolo Luppi, Sentenza N. 877/14, R.G.N.R n. 902/10, Procedimento c.d. “La Svolta” contro Giuseppe Marcianò +35, Tribunale di Imperia – Sezione Penale, p. 134.
  12. ibidem, p. 221.
  13. ibidem
  14. ibidem, p. 243.
  15. ivi, p. 263.
  16. Marco Antonelli, Stefano Busi, op. cit., p. 30.
  17. Ivi, p. 31.
  18. ibidem, p. 64.
  19. Osservatorio Boris Giuliano, Le motivazioni della Svolta, Mafieinliguria.it, 8 gennaio 2015
  20. Biagio De Girolamo, Accesso presso l’Amministrazione comunale di Bordighera n. 296/11, Comando Provinciale di Imperia Reparto Operativo, 17 novembre 2010, p. 7.
  21. Paolo Luppi, Sentenza N. 877/14, R.G.N.R n. 902/10, Procedimento c.d. “La Svolta” contro Giuseppe Marcianò +35, Tribunale di Imperia – Sezione Penale, p. 192.
  22. Paolo Isaia, Cene e strette di mano ma mai voti di scambio, Il Secolo XIX, 6 maggio 2011.
  23. Paolo Luppi, Sentenza N. 877/14, R.G.N.R n. 902/10, Procedimento c.d. “La Svolta” contro Giuseppe Marcianò +35, Tribunale di Imperia – Sezione Penale, p. 492
  24. ibidem, p. 495.
  25. Biagio De Girolamo, Accesso presso l’Amministrazione comunale di Bordighera n. 296/11, Comando Provinciale di Imperia Reparto Operativo, 17 novembre 2010, p. 4
  26. Casadellalegalità.org, Il clan Pellegrino ed il comune di Bordighera, tutta la storia, 5 dicembre 2011
  27. Biagio De Girolamo, op. cit., p. 5
  28. Ivi, pp. 7-8.
  29. Ibidem
  30. Quirinale, Scioglimento del consiglio comunale di Bordighera e nomina di una commissione straordinaria, Decreto del Presidente della Repubblica GU n. 91 del 20 04 2011, 24 marzo 2011
  31. Anci.it, Consiglio Stato annulla scioglimento Comune Bordighera, per ‘azzerare’ servono elementi concreti e rilevanti, 15 gennaio 2013
  32. Osservatorio Boris Giuliano, Il consiglio di stato annulla lo scioglimento del comune di Ventimiglia, mafieinliguria.it, 29 febbraio 2016
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  36. Rino Di Stefano, Oltre l’orizzonte. Dal passato al futuro nell’avventura politica di Claudio Scajola, Genova, De Ferrari, 2006, p. 66
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  40. Direzione Investigativa Antimafia, Relazione 2° Semestre 2022, p. XXII
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  42. Marco Antonelli, Stefano Busi, op. cit., p. 92
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  49. Candito Alessia, ‘Ndrangheta, chiesto il processo per il sindaco di Diano Marina, Corriere della Calabria, 14 aprile 2015
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