Nicolino Grande Aracri

Da WikiMafia.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca


Nicolino Grande Aracri (Cutro, 20 gennaio 1959), è uno ‘ndranghetista italiano, capobastone dell’omonima ‘ndrina con la dote di “Crimine internazionale”. È conosciuto anche come “il geometra”, “lo zio” e “Mano di gomma”, a causa di un incidente con un trattore che gli ha provocato un grave danno alla mano.

Nicolino Grande Aracri


Biografia

I primi anni

Nato a Cutro da un padre allevatore e una madre casalinga, Nicolino Grande Aracri aveva numerosi fratelli. A causa delle brutte compagnie frequentate da giovane, il padre decise di mandarlo a vivere da uno zio a Cirò Marina. Da quanto si apprende da un ex assessore del comune di Cutro [1] proprio a Cirò Marina, Nicolino Grande Aracri iniziò a frequentare Antonio Dragone, storico capobastone di Cutro. Già nel 1987, il tribunale di Catanzaro emise un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Nicolino Grande Aracri.

Nel corso degli anni ’90 “Mano di gomma” si assicurò il proprio posto all’interno della ‘ndrina Dragone e soprattutto riuscì a ottenere il rispetto dalle ‘ndrine dei paesi limitrofi, quali Mesoraca, Petilia Policastro, Roccabernarda e Petronà. In quegli anni si dimostrò un abile organizzatore e uno scaltro stratega, che si distinse nella gestione del mercato degli stupefacenti, tanto da raggiungere una parziale autonomia[2]. Infatti, grazie ad alcuni ‘ndranghetisti cutresi che si erano trasferiti al Nord Italia e all’estero, portò gli interessi della famiglia Dragone ben oltre la Calabria.

Nel 1995, Nicolino Grande Aracri venne arrestato per la prima volta dai Carabinieri di Crotone a causa di possesso illegale di armi e munizioni da guerra. Da qui seguirono una serie di indagini che gli riconobbero un ruolo di primo piano all’interno della ‘ndrina di Dragone, riconosciuta come un’organizzazione criminale strutturata, principalmente dedita al traffico di stupefacenti. Il collaboratore di giustizia Rocco Gualtieri confermò la sua caratura criminale, indicando “Mano di gomma” come colui “che faceva parte su tutto il territorio della Calabria quando i Dragone erano su, aveva i pieni poteri giù in Calabria”.[3]

La rottura con i Dragone

Nicolino Grande Aracri, forte della sua importanza all’interno della più ampia rete criminale calabrese, decise di prendere le distanze dal boss di Cutro. Il processo di distaccamento da Dragone risultò evidente col rifiuto di fare da testimone di nozze al figlio del boss. Infatti, Raffaele Dragone[4] aveva deciso di prendere in sposa la vedova di Salvatore Grande Aracri, fratello di Nicolino. Questo processo di distaccamento culminò con l’omicidio di Raffaele Dragone, avvenuto il 31 agosto 1999, quando il vecchio capobastone era in carcere.[5]

Grazie alla presenza di sette fratelli nella provincia di Reggio Emilia, specialmente a Brescello, Nicolino Grande Aracri consolidò il proprio potere anche al Nord. Il passaggio dalla vecchia generazione di cutresi, rappresentati da Antonio Dragone, a quella giovane, capeggiata da Nicolino, venne in modo graduale. Inoltre, come emerge dall’operazione Sacco Matto, c’è stato un periodo di confusione in cui non erano chiari gli schieramenti in campo, portando così a una situazione di diffidenza tra gli affiliati.[6] Ed è proprio il processo Scacco Matto, con sentenza definitiva nel 2003 [7], a riconoscere l’esistenza di un gruppo facente capo a Nicolino Grande Aracri.

La conquista del potere

Il collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese dichiarò che nel periodo in cui sia Nicolino Grande Aracri sia Antonio Dragone erano in carcere ci fu la vera e propria rottura: “Poi, sempre nel carcere di Siano, Catanzaro, Grande Aracri Nicolino ebbe una discussione verbale con Dragone Antonio; siccome le aree del carcere di Catanzaro sono messe tutte quante in fila, Dragone Antonio all’epoca si trovava al quarto piano e noi ci trovavamo al primo piano. Mentre Grande Aracri Nicolino rientrava dal passeggio si era fermato al cancello dove c’era Antonio Dragone e Antonio Dragone gli disse: “tu mi vuoi ammazzare che mi stai dando la mano?” ed ebbero una discussione verbale con Dragone Antonio” [8].

Sette anni prima del matrimonio di Raffaele Dragone, due omicidi in Emilia-Romagna portarono Nicolino Grande Aracri a essere il centro di potere della ‘ndrina cutrese. All’interno della ‘ndrina Dragone erano presenti due famiglie alla ricerca di maggiore autonomia, i Vasapollo e i Ruggiero. Nel settembre del 1992 Nicola Vasapollo venne ucciso a Pieve Modolena, frazione di Reggio Emilia. Il mese successivo la stessa fine toccò anche Giuseppe Ruggiero: quattro persone travestite da Carabinieri fecero irruzione nella sua casa a Brescello e gli spararono. Così facendo, come sostiene Nando dalla Chiesa, da un lato il clan Dragone diede prova della propria caratura criminale punendo gli “autonomisti”, ma dall’altro, con il boss Dragone, il figlio Raffaele e il nipote Raffaele in carcere, la ‘ndrina precipitò in un vuoto di potere di cui ne trasse beneficio proprio Nicolino Grande Aracri[9]. Nell’ottobre del 2020 la Corte d’Assise del tribunale di Reggio Emilia all’interno del troncone Aemilia 92 condannò Nicolino Grande Aracri all’ergastolo come mandante dei due omicidi.

La tentata strage di Reggio Emilia

Nel 1982, il tribunale di Catanzaro stabilì il soggiorno obbligato per Antonio Dragone nel comune di Quattro Castella, in provincia di Reggio Emilia. Dopo pochi mesi, l’allora capobastone del locale di Cutro si spostò nella piccola frazione di Puianello, nell’albergo dei famigliari di Paolo Bellini, rinviato a giudizio per la strage di Bologna del 2 agosto. La conoscenza con Bellini diede i suoi frutti sedici anni dopo. Infatti, all’interno della faida tra i Grande Aracri e i Dragone, Paolo Bellini lanciò una bomba a mano nel bar Pendolino a Reggio Emilia, il luogo d’affari dei seguaci di Nicolino, causando decine di feriti[10].

Paolo Bellini, chiamato a testimoniare nel maxiprocesso Aemilia, ha confessato che Nicolino Grande Aracri era il primo obiettivo del gruppo, tanto che gli era stato commissionato l’omicidio di “Mano di gomma” a Cutro. Secondo la sua confessione, per ucciderlo gli era stata data una mitragliatrice, una pistola, due bombe a mano e un’auto blindata per la fuga. Il colpo sarebbe dovuto avvenire in un locale che il futuro boss di Cutro frequentava spesso, con i suoi collaboratori più fidati. Paolo Bellini era stato incaricato di uccidere tutti quelli che erano con lui. Tuttavia, l’ordine non arrivò mai e Nicolino poté continuare con la sua strategia[11].

La fine della faida con i Dragone

Grazie all’appoggio della ‘ndrina Nicosia di Isola di Capo Rizzuto, Don Nicola, appellativo datogli all’interno dell’organizzazione criminale per la sua rilevanza, portò avanti la faida con i Dragone, uccidendo Raffaele Dragone nel 1999. Così facendo, Grande Aracri isolò il vecchio boss, rimasto con solo due fedeli, Antonio Macrì e Rosario Sorrentino.

Nel 2003, Antonio Dragone venne scarcerato e cercò di riprendere il controllo di Cutro, imponendo il pizzo a tutti gli esercenti del paese calabrese. Tuttavia, ormai rimasto senza alleati, fu ammazzato il 10 maggio 2004. La Corte di Cassazione, all’interno del processo Kyterion, ha condannato all’ergastolo i fratelli Nicolino ed Ernesto Grande Aracri per essere i mandanti dell’omicidio del vecchio capo bastone e Angelo Greco, in quanto l’esecutore materiale. Solo dopo la morte del vecchio capobastone, “Mano di gomma” divenne il boss di Cutro.

Il radicamento tra la Lombardia e l’Emilia

Il soggiorno obbligato di Antonio Dragone fu una delle principali spinte che portarono la ‘ndrina di Cutro a fare affari al Nord, in particolare nella zona che Nando dalla Chiesa ha definito il quadrilatero padano: da Reggio Emilia a Piacenza, passando per Parma che si congiunge con l’asse Cremona-Mantova. Tuttavia, è solo con la morte dello storico boss che i cutresi hanno potuto costruire una sede distaccata dalla casa madre. Infatti, Nicolino Grande Aracri, stando a quanto affermato dal collaboratore di giustizia Cortese, lasciava completa autonomia ai referenti del Nord, tranne per gli omicidi che venivano decisi esclusivamente dal boss di Cutro, e questi gli corrispondevano una parte dei loro guadagni[12].

L’alter-ego di Nicolino: Francesco Lamanna

Una delle prime testimonianze del radicamento al Nord della ‘ndrina calabrese è dato dall’indagine “Grande Drago”, relativa a fatti tra il 2000 e il 2002. L’operazione si soffermò a lungo sull’alter-ego al Nord di Don Nicola: Francesco Lamanna, considerato il referente della famiglia Grande Aracri nelle province di Cremona, Piacenza e Parma e con l’alta dote di Vangelo[13]. Il collaboratore di giustizia Angelo Cortese ha sostenuto che “la cosca Grande Aracri aveva sezioni distaccate tra la Lombardia e l’Emilia-Romagna, dove a capo era stato messo tale “Testone”, alias Francesco Lamanna: questi gruppi erano le cosiddette ‘ndrine distaccate dalla cosca madre, in stretto contatto con essa, ma con certa autonomia anche se dovevano rendere conto a questa[14].

La sentenza di Cassazione del processo Grande Drago accertò che da una parte aveva operato un sodalizio criminale tra l’Emilia-Romagna e la Lombardia dedita al traffico di droga e alle estorsioni; dall’altro che questo sodalizio era composto da persone provenienti da Cutro che avevano un rapporto intenso di collaborazione con Nicolino Grande Aracri[15]. Così facendo, pur nell’autonomia lasciata agli altri ‘ndranghetisti cutresi, Don Nicola si assicurò di essere il centro di potere della mafia di Cutro.

Operazione Aemilia

Nel 2015 scattò l’operazione Aemilia, la quale portò al più grande maxiprocesso per mafia al Nord. Al centro delle indagini c’erano le cosche emiliane che risultarono essere relativamente indipendenti dalla casa madre. Il processo ha dimostrato il salto di livello che l’organizzazione mafiosa cutrese è stata in grado di compiere. Infatti, se l’operazione Grande Drago fu in grado di testimoniare la presenza delle mafie in Emilia-Romagna, Aemilia ha reso evidente le connivenze con la mafia di un’area grigia composta da imprenditori e non solo. Tanti sono stati i professionisti condannati con sentenza definitiva dal Tribunale di Bologna, come l’avvocato Roberta Tattini. Questa è stata condannata in cassazione a 8 anni e 8 mesi di reclusione, in quanto considerata la consulente finanziaria di Grande Aracri.

Un altro aspetto saliente del processo Aemilia ha riguardato la ricostruzione post sisma in Emilia-Romagna del 2012. I Carabinieri hanno intercettato una conversazione telefonica tra Gaetano Blasco e Antonio Valerio, considerati i capi organizzatori del distaccamento dalla casa madre cutrese insieme a Giuseppe Giglio e Antonio Silipo. Durante la telefonata, i due, subito dopo la scossa, stavano discutendo della creazione di società sicure per accaparrarsi i lavori per la ricostruzione. Inquietante è risultato il tono della conversazione, dove Blasco e Valerio ridevano ed esultavano di fronte al terremoto per la possibilità di fare affari[16]. Al termine del rito abbreviato, Nicolino Grande Aracri è stato condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione, ma non per associazione mafiosa.

Gli affari in Lombardia

Tra le tante costole del processo Aemilia, l’indagine Pesci, avviata dalla Direzione distrettuale antimafia di Brescia, ha emesso in via definitiva una forte condanna nei confronti di Nicolino Grande Aracri. Al boss di Cutro è stata inflitta la pena di 20 anni e 8 mesi di reclusione per associazione mafiosa. Secondo l’accusa, il gruppo criminale capeggiato da Mani di gomma avrebbe, grazie alla propria capacità intimidatoria, controllato settori dell’imprenditoria tra le province di Mantova e Cremona. Non solo, la ‘ndrina sarebbe stata in grado di insinuarsi nelle istituzioni locali, mirando ad assumerne il controllo[17].

Nel corso della stessa indagine, si è reso evidente come Nicolino abbia avuto un coinvolgimento diretto nel controllo del territorio. Infatti, Grande Aracri è stato riconosciuto come il mandante di numerosi reati-fine nelle province di Cremona, Mantova e Brescia. Il suo coinvolgimento “non si esaurisce nella fase programmatica ma permane e si manifesta attraverso una linea ininterrotta di comando e coordinamento[18]. A proposito di ciò, il nucleo investigativo dei Carabinieri di Mantova ha trovano rilevante segnalare i numerosi summit e riunioni mafiose, provando così l’esistenza di una forte struttura associativa del clan dei cutresi.

La notizia della sua collaborazione con la giustizia

Il 16 aprile 2021 il Quotidiano del Sud ha dato la notizia che nei giorni precedenti il boss aveva iniziato a collaborare con la giustizia, incontrando il Procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri. Quest'ultimo il successivo 9 giugno, con una nota ufficiale, ha dichiarato l'inattendibilità delle dichiarazioni del boss, sospettando "che l'intento collaborativo celasse un vero e proprio disegno criminoso".

Condanne

  • 2014: nell’operazione Tramontana viene condannato a 14 anni di reclusione;
  • 2018: nell’operazione Kyterion viene condannato in secondo grado all’ergastolo;
  • 2018: nel maxiprocesso Aemilia viene condannato definitivamente a 6 anni e 8 mesi di reclusione;
  • 2019: nell’operazione Scacco Matto viene condannato in secondo grado all’ergastolo;
  • 2020: nell’operazione Pesci viene condannato definitivamente a 20 anni e 8 mesi di reclusione;
  • 2020: nel troncone Aemilia ’92 viene condannato in primo grado all’ergastolo.

Note

  1. Dalla Chiesa, Cabras, Rosso Mafia, Milano, Bompiani, p. 69
  2. Ivi, p. 70
  3. Alberto Ziroldi, Ordinanza di applicazione di misure cautelari coercitive – Procedimento Penale n. 20604-10 RGNR, Tribunale di Bologna, 15 gennaio 2015, p. 197
  4. Dalla Chiesa, Cabras, op.cit., p. 72
  5. Ziroldi, op.cit., p 195
  6. Ivi, p. 198
  7. Ivi, p. 12
  8. Dalla Chiesa, Cabras, op.cit., p. 74
  9. Ivi, p. 91
  10. Paolo Bonacini, Aemilia 1992, chiesti quattro ergastoli per gli omicidi di 28 anni fa: c’è anche il boss Nicolino Grande Aracri, “Il Fatto Quotidiano”, 29 maggio 2020
  11. Tiziano Soresina, I mille giorni di Aemilia, p. 96
  12. Ziroldi, op.cit., p.244
  13. Ivi, p.248
  14. Grande Drago, p. 24
  15. Ivi, p. 35
  16. Ziroldi, op.cit., p. 696
  17. Rossella Canadè, ‘Ndrangheta, la Cassazione conferma i verdetti, “Gazzetta di Mantova”, 10 ottobre 2020
  18. Zanon Claudio (2013). “Annotazione conclusiva relativa all’attività di indagine n. 367/14/2011 - Procedimento penale n. 18337/11 (PESCI), Legione Carabinieri Lombardia - Comando provinciale di Mantova, Reparto operativo - Nucleo Investigativo, 6 giugno, p. 101

Bibliografia

  • Dalla Chiesa Nando, Cabras Federica (2019) “Rosso Mafia. La ‘ndrangheta a Reggio Emilia”, Milano, Bompiani.
  • Soresina Tiziano (2019) “I mille giorni di Aemilia. Il più grande processo al Nord contro la ‘ndrangheta”, Reggio Emilia, Aliberti.
  • Zanon Claudio (2013). “Annotazione conclusiva relativa all’attività di indagine n. 367/14/2011 - Procedimento penale n. 18337/11 (PESCI), Legione Carabinieri Lombardia - Comando provinciale di Mantova, Reparto operativo - Nucleo Investigativo, 6 giugno.
  • Ziroldi Alberto (2015). Ordinanza di applicazione di misure cautelari coercitive – Procedimento Penale n. 20604-10 RGNR, Tribunale di Bologna, 15 gennaio.